Più di un quarto del territorio a rischio desertificazione

Allarme siccità, per l’Autorità di bacino del fiume Po ci troviamo a fronteggiare «la peggior crisi degli ultimi settanta anni»

L’immagine lunare del lago di Ceresole (Canavese, Torino) prosciugato, scattata a fine febbraio, fa il pari con quella recente del Po desertificato in provincia di Ferrara. L’anomalia non è di questi giorni, la viviamo da troppi mesi. Il secchissimo inverno in Nord Italia è stato la premessa di quella che, ora, l’Autorità di bacino del fiume Po definisce «la peggior crisi da 70 anni a oggi».

Il livello idrometrico del fiume Po al Ponte della Becca (Pavia) è sceso a -3,7 metri, uno dei livelli più bassi da almeno 70 anni, e a preoccupare – denuncia Coldiretti – è «l’avanzare del cuneo salino per la risalita dell’acqua di mare che rende impossibile la coltivazione nelle zone del delta».

La neve sulle Alpi è totalmente esaurita in Piemonte e Lombardia, i laghi, a partire dal Lago Maggiore, sono ai minimi storici del periodo, salvo il Garda e la temperatura è più alta fino a due gradi sopra la media. È «siccità estrema», le condizioni più critiche sono in Pianura Padana, ma anche a cavallo di Toscana, Umbria e Lazio, e poca pioggia è prevista nelle prossime due settimane.

In Piemonte, dove tra l’inverno e la primavera si è registrato un periodo record senza piogge (111 giorni, il secondo più lungo negli ultimi 65 anni), è allarme rosso.

L’Arpa ha invitato a non sprecare acqua. La scorsa settimana Utilitalia, in rappresentanza delle multiutility del servizio idrico integrato, aveva chiesto ai sindaci di un centinaio di comuni in Piemonte e di 25 in Lombardia (nella Bergamasca) sospensioni notturne dell’acqua, per rimpinguare i livelli dei serbatoi. «In molti di questi il razionamento dell’acqua per uso idropotabile c’è già», ha sottolineato Meuccio Berselli segretario generale dell’Autorità di Bacino del fiume Po. Coldiretti, in Piemonte lamenta, danni a oltre il 20% dei raccolti.

A Torino, secondo il sindaco Stefano Lo Russo, al momento «non ci sono criticità particolari», perché la città «ha un approvvigionamento idrico che non deriva da acque superficiali, ma da acque sotterranee che hanno tempi di ricarica più lunghi e che quindi consentono di poter essere un po’ più tranquilli». Ma il rischio di un peggioramento c’è e, conferma il sindaco, anche quello di chiedere lo stato di calamità.

Il Presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana ha già annunciato che chiederà lo stato d’emergenza. Anche la pianura lombarda è assetata.

La situazione più difficile riguarda l’area risicola tra la provincia di Pavia e quella di Lodi. Ma ciò che è più grave è la assenza di rifornimento dai bacini alpini, che in questo periodo dovrebbero beneficiare ancora delle acque del disgelo. «Da inizio anno – scrive Legambiente Lombardia, che invita a cambiare colture e consumi idrici evitando inutili battaglie per l’acqua – si è accumulato un deficit pluviometrico nei bacini alpini valutabile in circa 4 miliardi di metri cubi d’acqua».

L’Anbi, l’Associazione nazionale dei consorzi per la gestione e la tutela del territorio e delle acque irrigue, ha reclamato l’attivazione di una cabina di regia per il bacino del Po, che «ricomprenda i principali organi tecnici e politici, per valutare tutte le possibili soluzioni e conseguenti azioni in materia di rilasci e prelievi idrici in alveo, governando le inevitabili problematiche». Il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani ha annunciato la costituzione di un comitato di coordinamento nazionale di tutte le autorità di bacino.

Secondo il report settimanale dell’Osservatorio Anbi sulle Risorse Idriche, «l’emergenza acqua si sta rapidamente estendendo al Centro Italia». L’associazione parla della «prima stagione in cui si evidenziano in maniera massiva le conseguenze dei cambiamenti climatici sulla Penisola».

In Toscana, l’Arno, ha flussi dimezzati rispetto alla media mensile, l’Ombrone è ridotto a uno stato torrentizio. Nelle Marche, il fiume Sentino tocca già il minimo storico, come Esino e Nera. In Umbria, gli invasi del lago Trasimeno e della diga Maroggia sono praticamente dimezzati rispetto agli anni scorsi e il fiume Tevere registra il livello più basso dal 1996. In Lazio, grave è la situazione dell’Aniene, crolla la portata del Sacco, così come in calo sono i livelli dei laghi di Nemi e Bracciano.

Più di un quarto del territorio nazionale (28%) sarebbe, secondo Coldiretti, a rischio desertificazione. Un fenomeno che riguarda le regioni del Sud ma anche quelle del Nord con la gravissima siccità di quest’anno «che rappresenta solo la punta dell’iceberg di un processo che mette a rischio la disponibilità idrica nelle campagne e nelle città con l’arrivo di autobotti e dei razionamenti». In Puglia «le aree a rischio desertificazione rappresentano il 57% della superficie utilizzabile e il conto pagato dall’agricoltura soggetta ai cambiamenti climatici e alla siccità è salato, pari ad oltre 70 milioni di euro».

MAURO RAVARINO

da il manifesto.it

Foto di Carolyn

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