Il ricorso al mito della purezza mi ha sempre fatto pensare ad una ricerca dogmatica, fatta di una incrollabile fede per qualcosa che è irrealizzabile in un contesto come quello capitalistico.
In un sistema economico antisociale, dove prevale l’egoismo e la ricerca assoluta dell’accumulazione proprietaria singolare, dove si impoveriscono miliardi di persone e si privilegiano poche decine di ricchissimi, è impossibile fare della purezza un elemento da porre a valore assoluto.
Si può essere “puri”, quindi essere dotati di una visione nettamente alternativa a quella del capitale e dei suoi corifei, ma non si può pretendere di fare della purezza un elemento di scissione rispetto al tutto.
Per questo il grido ripetuto, ossessivamente, per farlo diventare arma di convinzione di massa secondo cui l’onestà “è tornata di moda” o secondo cui, ancora, un programma politico deve basarsi su un altro tipo di purezza, quella dell’autosufficienza assoluta che prevede l’esclusione del dialogo e del confronto con altre forze politiche e sociali, è diventato aria fritta nel momento in cui ha dovuto fare i conti con i numeri usciti dalle urne.
Non si tratta di perdere la coerenza (che preferisco al concetto inquietante di “purezza”) ma di abbracciare il parlamentarismo e la democrazia come forme espressive più genuine e naturali di una vera Repubblica.
Il laicismo che ne consegue dovrebbe essere fonte di apprendimento del rapporto tra una unità fatta di differenze.
Nessuno deve chinare il capo. Qualcuno deve comprendere che non c’è spazio qui per nessun proclama populista, altisonante e ridondante. Qualcuno lo capirà in buona fede per davvero?
(m.s.)
foto tratta da Pixabay