Sovranisti e populisti alla prova della rappresentanza economica

Lo scontro interno alla compagine di governo mostra tutti i segni evidenti di una tensione sia politica sia economica che ricalca la contrapposizione tra grande finanza e media borghesia...

Lo scontro interno alla compagine di governo mostra tutti i segni evidenti di una tensione sia politica sia economica che ricalca la contrapposizione tra grande finanza e media borghesia imprenditoriale italiana.
E’ un’altalena di interessi che non riesce a trovare piena rappresentanza nell’esecutivo, ma è anche una lotta un po’ “eterna”, di quelle che non terminano mai veramente e che si ripresentano per forza di cose ad ogni nuovo insediamento di governo.
Del resto, qualunque esecutivo sieda a Palazzo Chigi, per funzione in questo sistema non può che interpretare e fare gli interessi della classe che un tempo, senza che si percepisse enfasi alcuna, si chiamava e definiva “dominante”.
Ma anche le classi dominanti hanno le loro evoluzioni e si frammentano pur rimanendo unite nello scopo primigenio di raggiungere l’essenziale che permetta loro di rimanere al vertice della società: la conservazione del privilegio, quindi del profitto.
Il ministro Tria è un tecnico e quindi i contrasti di questi giorni con i vicepresidenti del Consiglio sono stati interpretati dai grandi quotidiani nazionali come una manifestazione evidente dei sospetti che in qualche modo si ispiri alle politiche europee, alle indicazioni di Mario Draghi piuttosto che al sovranismo che dovrebbe uniformare l’azione di governo, comunemente accettato da entrambe le forze che lo sostengono.
In tempi di concentrazione economica sovranazionale, per l’appunto l’attenzione sul particolarismo, sul singolo paese come elemento di sviluppo di politiche svincolate da un più ampio quadro quanto meno continentale, è fumo negli occhi per un capitalismo bancario e finanziario che punta su cavalli forti come la Germania e sulla creazione di un binomio ed un asse tra Berlino e Parigi.
Del resto, la Brexit è oggetto di ripensamento da parte di molta parte del popolo britannico: ma il percorso è tracciato e non si torna indietro. Quindi la Gran Bretagna è fuori da questi giochi di potere (apparentemente).
Roma vorrebbe che il proprio governo fosse più “politico” e meno “tecnico”. La Roma di Palazzo Chigi. Perché, poi, la Roma quirinalizia invece punta a mantenere una osservazione particolarmente attenta sugli equilibri interni e, quindi, a non rinunciare ad una quota rilevante di quei tecnici che possono avere una funzione “neutrale” e svolgere il loro compito quasi a-politicamente, come funzionari preposti ad un dato compito e niente di più.
E’ un gioco complicatissimo di equilibri quasi impossibile da mantenere a lungo: infatti proprio sulla qualità delle nomine sulla Cassa Depositi e Prestiti, sul “tecnico” e sul “politico” si è giocato uno scontro che ha quasi portato alle dimissioni del ministro Tria e non è detto che a ciò non si arrivi nelle prossime ore se non si dovesse trovare una quadra in tal senso.
Tutto questo dimostra la difficoltà di una classe dirigente di governo non adeguata a rappresentare gli interessi delle media borghesia imprenditoriale da un lato e dell’alta finanza dall’altro: ciò che riusciva a fare bene il cosiddetto “centrosinistra” renziano provando ad ammantarsi delle sembianze persino sociali della sinistra stessa, grillini e leghisti devono ancora imparare a farlo.
Ovviamente da tutto ciò è escluso qualunque fattore che determini la messa in essere di politiche di tutela dei ceti più deboli del Paese.
Le parole del presidente dell’INPS Boeri sono state da lui medesimo ribadite e sottolineate in merito al cosiddetto “Decreto Dignità” sulla perdita dei posti di lavoro e Susanna Camusso annuncia la mobilitazione del sindacato verso un nuovo referendum se i voucher venissero reintrodotti: a memoria rimangono uno dei “migliori” sistemi di sfruttamento del lavoro precario fino ad oggi inventato. Una vera negazione di diritti sociali elementari…
Niente sociale, molto scontro tutto interno ad una piattaforma di governo che perfettamente risponde allo spirito della descrizione marxiana: quel ruolo di “comitato” lì a stabilizzare i conti e le cifre che garantiscano all’economia privata di viaggiare speditamente nel contesto di una crisi che non si supera con la rimodulazione tra tecnici e politici alla guida di importanti istituti statali.
La moderna borghesia padronale sta cercando una ricollocazione rappresentativa in un rimescolamento delle carte politiche fatto da un elettorato confuso, privo di riferimenti certamente ideologici e, per questo, impossibilitato a garantire quella “pace sociale” che da sempre veniva cercata attraverso il consenso che una parte della sinistra di popolo regalava al centro e alla destra in nome delle sicurezza, anzi, di più, del “securitarismo”.
L’abuso della politica pubblica per scopi privati ha generato sì una rivoluzione ma non sociale, soltanto elettorale, assegnando a forze apparentemente “antististema” il compito di scalzare i vecchi guardiani degli interessi privati per mettere al centro l’interesse e il bene comune.
E’ oggettivamente impossibile che forze liberiste, sovraniste e populiste si possano dedicare alla tutela del pubblico interesse: governano e governeranno, ma lo fanno e la faranno sempre dal punto di vista del mercato e dell’economia di mercato perché non hanno come bussola che li direziona il conflitto tra lavoro e capitale visto con l’occhio della critica di quell’economia-politica che stava a sottotitolo dell’opera più imponente e importante del Moro.
Scrive infatti Marx sui ruoli necessari, perché insiti e connaturati dal e nel sistema capitalistico: “La classe proprietaria e la classe del proletariato presentano la stessa autoalienazione umana. Ma la prima classe, in questa autoalienazione, si sente a suo agio e confermata, sa che l’alienazione è la sua propria potenza e possiede in essa la parvenza di un’esistenza umana; la seconda classe, nell’alienazione, si sente annientata, vede in essa la sua impotenza e la realtà di un’esistenza inumana.”.
Ecco, il problema è – tra l’altro – anche in questa percezione: i padroni sanno di non essere solo esseri umani, sanno di essere padroni e di trarre da questa condizione un privilegio di classe, per l’appunto. Si “alienano”, quindi, molto volentieri dalla natura umana.
I proletari, tutti gli sfruttati, precari, disoccupati, occupati e inoccupati di lungo tempo, oggi, anche grazie al “sovranismo” e al “populismo”, tecniche politiche che hanno sostituito il vecchio liberalismo del vecchio centrosinistra da Pentapartito, questa alienazione non la percepiscono e pertanto non hanno sufficiente coscienza dello sfruttamento che subiscono. Sono costretti prima di tutto ad accorgersi del pericolo “migrante” o dei rom.
Dopo, molto dopo verrà la concessione da parte del potere esecutivo di rendersi consapevoli che, se vivono miseramente, forse un po’ colpa di chi ha in mano le redini dell’economia lo sarà pure…

MARCO SFERINI

21 luglio 2018

foto tratta da Pixabay

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