Charlie Chaplin. Protagonista del novecento

IL PERIODO UNITED ARTISTS E I FILM EUROPEI. I grandi capolavori, il comunismo, il maccartismo

TERZA PARTE

Passato alla United Artits, Chaplin iniziò a pensare a progetti sempre più ambiziosi che non necessitavano di un cast fisso. Tuttavia, prima di dedicarsi a quei progetti, decise di realizzare un film capace di lanciare definitivamente, con un ruolo di grande rilievo, la carriera di Edna Purviance. La prima idea fu quella di portare sul grande schermo la tragedia di Euripide “Le troiane” (“The Trojan Women”) di cui Chaplin aveva già realizzato un adattamento. Ma la produzione si annunciò costosissima e il progetto fu abbandonato.

Chaplin nei panni di Napoleone, il capolavoro mancato del regista

L’attenzione si spostò quindi su un’altra importante donna della storia Giuseppina di Beauharnais, meglio nota come Giuseppina Bonaparte, la prima moglie di Napoleone. Le letture furono senza sosta dalle “Memorie di Napoleone Bonaparte” di Bourrienne (“Mémoires de M. de Bourrienne sur Napoléon”) alle memorie di Constant, il domestico dei Bonaparte, ma più le ricerche andavano avanti più emergeva la figura di Napoleone. Chaplin abbandonò quindi l’idea del film su Giuseppina per dedicarsi ad uno sul primo imperatore dei francesi, che sarebbe stato interpretato dallo stesso regista e incentrato sulla campagna d’Italia, fece anche delle prove in costume. Tuttavia anche quel progetto fu accantonato, ma non l’idea di dare un grande ruolo alla Purviance.

Peggy Hopkins Joyce

In quei mesi Charlie Chaplin conobbe Peggy Hopkins Joyce (Berkley, 26 maggio 1893 – New York, 12 giugno 1957) attrice dalla vivace vita sentimentale, sei matrimoni alle spalle, che ispirò il libro “Gentlemen Prefer Blondes” (“Gli uomini preferiscono le bionde”) uscito nel 1925 e portato sul grande schermo nel 1953 da Howard Hawks con Marilyn Monroe nel ruolo della protagonista. Durante la loro breve e bizzarra relazione, Peggy raccontò a Charles una serie di aneddoti sulla sua vita, con particolare riferimento ai suoi rapporti con un editore francese. Quei racconti furono la base per il film che avrebbe lanciato Edna Purviance. Nacque così A Woman of Paris (La donna di Parigi, 1923).

In un piccolo villaggio della Francia, Marie St.Clair (Edna Purviance) e Jean Millett (Carl Miller) vivono il loro amore ostacolato dai rispettivi genitori. Decisi a fuggire per sposarsi, i due vengono travolti da un mancato appuntamento alla stazione. La donna, credendosi abbandonata, parte da sola per Parigi, diventa l’amante del ricco Pierre Revel (Adolphe Menjou) e dimentica la sua vita in campagna, fino alla ricomparsa di Jean che è ancora perdutamente innamorato. I due giovani vogliono nuovamente sposarsi, ma la madre (Lydia Knott) di lui si oppone alla relazione, e spinge il figlio al suicidio.

A Woman of Paris (Adolphe Menjou, 1923)

La donna di Parigi, uscito nella sale il primo ottobre del 1923, fu il primo film diretto e prodotto, ma non interpretato da Charlie Chaplin (comparve solo come fattorino alla stazione), in cui il regista volle dimostrare di essere anche un autore e non solo la buffa maschera di Charlot. Mostrò, infatti, di quali raffinatezze visive e di quali complessità fosse capace l’arte cinematografica. La pellicola fu piena di innovazioni narrative e stilistiche, venne amato da una generazione di cineasti, da René Clair a Ernst Lubitsch, che rimase affascinata dalla forza con cui Chaplin riuscì a trasporre il romanzo ottocentesco e le psicologie dei personaggi all’interno della narrazione cinematografica. Alcune sequenze divennero giustamente celebri come quella alla stazione con le luci del treno riflesse sul volto di Marie. Ma l’assenza del Vagabondo, unito al moralismo feroce degli USA (la pellicola venne proibita per “immoralità” in 13 Stati), portò A Woman of Paris ad un clamoroso insuccesso. Chaplin, deluso e irritato, ritirò per anni tutte le copie in circolazione.

Edna Purviance, Mabel Normand e Courtland Dines

Logica conseguenza il film non lanciò la carriera di Edna Purviance. L’attrice, già alle prese con problemi di alcolismo dai tempi de The Pilgrim (in cui per l’ultima volta aveva recitato al fianco di Chaplin), terminò di fatto la sua carriera. Recitò nel film A Woman of the Sea (Una donna del mare) diretto da Josef von Sternberg, ma prodotto da Chaplin che non lo volle mai distribuire. Nel 1923 l’attrice fu coinvolta in uno scandalo. La notte di Capodanno la Purviance, infatti, era ospite del petroliere e magnate Courtland Dines. Ai due si aggiunse anche Mabel Normand (già al fianco di Chaplin nel periodo Keystone e l’anno prima accusata dell’omicidio del direttore della Paramount, William Desmond Taylor). Non si conosceranno mai le dinamiche, ma è certo che vi fu una sparatoria e un colpo esploso dalla pistola dell’autista della Normand colpì il petroliere che venne rinvenuto successivamente, parzialmente svestito, nella sua stanza. L’episodio pose fine definitivamente alle carriere delle due attrici. Mabel Normand morì il 22 febbraio del 1930 di tubercolosi a soli 37 anni. Edna Purviance, cui Chaplin continuò a versare un assegno mensile per oltre venti anni, morì di cancro alla gola all’età di 62 anni l’11 gennaio 1958.

Adolphe Menjou e Kirk Douglas in Paths of Glory (Orizzonti di Gloria, 1957) di Stanley Kubrick

La donna di Parigi lanciò, invece, la carriera di Adolphe Menjou (Pittsburgh, 18 febbraio 1890) che, dopo aver recitato in diversi film al fianco di Rodolfo Valentino, tra cui il celeberrimo The Sheik (Lo sceicco, 1921) diretto da George Melford, divenne il dandy cinico e raffinato per eccellenza in film quali Forbidden Paradise (La zarina, 1924) di Ernst Lubitsch, Morocco (Marocco, 1930) di Josef von Sternberg e The Front Page (1931) di Lewis Milestone, per il quale ottenne una nomination all’Oscar come Miglior attore. Durante gli anni del “maccartismo” collaborò attivamente con House Committee on Un-American Activities, la Commissione per le attività antiamericane. Nel dopoguerra da segnalare l’interpretazione del generale Broulard in Paths of Glory (Orizzonti di Gloria, 1957) di Stanley Kubrick. Morì di epatite cronica il 29 ottobre 1963 a Beverly Hills.

le foto dell’arresto di James Larkin negli USA

In quegli anni Chaplin era sempre più interessato alla politica, alle lotte operaie e al ruolo dell’URSS nello scenario mondiale. Non casualmente il regista andò a Sing Sing per incontrare James Larkin sindacalista e attivista socialista irlandese. Larkin era tra i protagonisti della First Red Scare (Prima paura rossa), ovvero il primo periodo di fervente anticomunismo negli USA. L’irlandese, dopo aver fondato in patria il Labour Party (Partito Laburista irlandese), la Workers Union of Ireland (Unione dei lavoratori d’Irlanda) ed essere stato tra i principali fautori del Dublin Lockout, emigrò negli Stati Uniti dove, tra l’altro, fu tra i fondatori del Communist Party of the United States of America (Partito Comunista degli Stati Uniti d’America, CPUSA). Entusiasta sostenitore dell’Unione Sovietica venne incarcerato l’8 novembre del 1919 con l’accusa di “criminal anarchism”, ovvero di essere un criminale anarchico, e imprigionato per cinque lunghi anni. La visita di Chaplin fece scalpore. Troppo per la terrà delle libertà.

Clare Sheridan e Charlie Chaplin

Così come venne considerata “fuori luogo” l’amicizia con la scultrice Clare Sheridan, cugina di Winston Churchill, ma soprattutto prima inglese a mettere piedi in Russia dopo la rivoluzione. La Sheridan aveva pubblicato il libro “From Mayfair to Moscow” (“Da Mayfair a Mosca”) ed era stata incaricata di scolpire i busti dei capi principali del Partito bolscevico a partire da Lenin e Trotzkij. Non solo, faceva conferenze parlando dei suoi “cari amici bolscevichi”. Ancora troppo per la terrà delle libertà.

La curiosità di Chaplin per il mondo non gli impedì, tuttavia, di fare la bella vita. Forte fu la sua amicizia col magnate William Randolph Hearst (colui che ispirò Orson Welles per il suo Quarto potere), uno degli uomini più ricchi e influenti degli USA. Chaplin frequentava assiduamente le ville di Hearst conobbe la moglie Millicent Veronica Wilson e soprattutto l’amante Marion Davies (Brooklyn, 3 gennaio 1897 – Los Angeles, 22 settembre 1961) una modesta attrice che fece molta della sua fortuna grazie alla relazione col ricco editore.

Marion Davies a bordo dell’Oneida

Il 15 novembre del 1924 Hearst organizzò a bordo del suo yacht, l’Oneida, una festa per festeggiare i quarantadue anni del regista Thomas Harper Ince. A bordo, oltre al magnate, l’amante Marion Davies, Charlie Chaplin, la giornalista, che oggi diremmo di gossip, Louella Parsons e ad altre attrici del gruppo. L’Oneida salpò da San Pedro alla volta di San Diego senza il festeggiato, impegnato sul set, che raggiunse la compagnia direttamente a San Diego.

In circostanze tutt’ora misteriose Ince morì a seguito di una ferita di arma da fuoco. Il Los Angeles Times titolò “Movie Producer Shot on Hearst Yacht!” (“Produttore cinematografico ucciso sullo yacht di Hearst!”), titolo che sparì nell’edizione della sera. Tutto venne liquidato come un attacco di cuore e il corpo di Ince venne cremato senza aspettare ulteriori approfondimenti. L’episodio, un po’ romanzato, venne descritto molti decenni dopo nel film Hollywood Confidential (2001) di Peter Bogdanovich. Secondo alcune ricostruzioni, più o meno documentate, il colpo di pistola era indirizzato a Chaplin colpevole delle troppe attenzioni verso Marion. Difficilmente sapremo mai cosa accadde su quello yacht, ma è invece certo che Chaplin continuò a fare grandi film.

The Gold Rush (La febbre dell’oro, 1925)

Le intuizioni erano alla base delle sue pellicole, molte delle quali si sviluppavano senza una vera e propria sceneggiatura, ma erano costruite in divenire. Così accadde anche per il successivo The Gold Rush (La febbre dell’oro) nelle sale il 16 agosto 1925, in cui, dopo l’insuccesso commerciale di A Woman of Paris, tornò a vestire i panni del Vagabondo.

Un cercatore d’oro solitario (Charlie Chaplin) per salvarsi da una tempesta trova rifugio nella capanna del violento Black Larson (Tom Murray). I due vengono raggiunti da un altro cercatore Big Jim McKay (Giacomone, nella versione italiana, interpretato da Mack Swain) che ha appena trovato una miniera d’oro. Sorteggiato, Black Larson va alla ricerca di aiuto, ma si imbatte nel tesoro di Giacomone. I due uomini rimasti nella baracca sono sempre più in preda della fame e sono costretti a mangiarsi perfino una scarpa. Finita la tempesta il Vagabondo arriva nel vicino villaggio dove si innamora della bella Georgia (Georgia Hale) che lo illude per far ingelosire un altro spasimante Jack Cameron (Malcolm Waite) e accetta, per finta, di passare il capodanno con lui. Giacomone, invece, si scontra con Black Larson (che ha la peggio e precipita in un burrone), ma perde la memoria e non ricorda più dove sia la sua miniera. Rintraccia così l’omino con i baffi. I due trovano la vecchia baracca, ma una tempesta sposta la capanna sull’orlo di un precipizio, fortunatamente vicino all’oro. I cercatori diventano così ricchi, ma il Vagabondo non dimentica l’amata Georgia.

Il “cercatore solitario” è costretto a magiare una scarpa per sopravvivere

Un capolavoro immortale, in cui Chaplin accentuò la componente di solitudine del suo personaggio, non a caso chiamato “Lose Prospector”, appunto “Cercatore solitario” che l’infelicità amorosa e l’ostilità della natura, sottolineano con ancora più forza, mentre compie una rivisitazione tenera ma disincantata del mito americano della frontiera.

Alcune sequenze sono entrate per sempre nella storia del cinema: Chaplin che per fame cucina e mangia una sua scarpa arrotolando le stringhe come fossero spaghetti, Giacomone che in preda ai morsi della fame vede nel compagno una grossa gallina, la celeberrima danza dei panini infilati nelle forchette, la baracca in bilico.

L’idea di fare un film capace di stimolare il senso del ridicolo da una tragedia, nacque a casa dei Fairbanks quando Chaplin vide alcune foto dei cercatori d’oro in Alaska a fino Ottocento. Fu in quell’occasione che pensò di portare tra i ghiacci il suo personaggio. L’autore dichiarò: “Dobbiamo ridere in faccia alla tragedia, alla sfortuna e alla nostra impotenza contro le forze della natura, se non vogliamo impazzire”.

la danza dei panini ne La corsa dell’oro

Entusiasta del progetto Chaplin si mise subito al lavoro con la sua proverbiale meticolosità, ma per terminare The Gold Rush ci vollero quattordici mesi, con ben 170 giorni di riprese effettuate. Oltre alla natura, autentica coprotagonista del film, a rallentare il lavoro fu una volta di più la vita privata del regista. L’attrice scelta come protagonista femminile fu Lita Grey, già interprete ad appena 12 anni in The Kid, ma dopo pochi giorni di riprese rimase incinta, aveva appena sedici anni, e Chaplin fu costretto ad un matrimonio riparatore. Il 5 maggio 1925 nacque Charlie Chaplin junior.

Sul set Lita Grey venne sostituita da Georgia Hale (St. Joseph, 24 giugno 1905 – Hollywood, 7 giugno 1985) nata da una famiglia di operai del Missouri venne eletta, ad appena 16 anni, Miss Chicago. Un incidente le impedì la carriera da ballerina, ma ad Hollywood ottenne successo grazie all’interpretazione in The Salvation Hunters (1924), primo lungometraggio di Josef von Sternberg. Dopo La febbre dell’oro fu scritturata dalla Paramount. La sua carriera finì con l’avvento del sonoro. Pare, infine, si legò sentimentalmente a Chaplin in una relazione che durò dal 1926 al 1931.

Georgia Hale e Charlie Chaplin

Dal matrimonio tra Chaplin e la Grey, che ispirò vagamente il romanzo Lolita di Vladimir Nabokov, il 31 marzo 1926 nacque un secondo figlio, Sydney Earle. Meno di un anno dopo, nel gennaio del 1927, gli avvocati della moglie presentarono istanza per la separazione. Fu il più sensazionale divorzio dell’Hollywood del tempo. La donna avanzò esorbitanti richieste economiche e cercò di distruggere in ogni modo la carriera del marito. Alla fine ottenne un risarcimento di circa un milione di dollari anche perché, al suo fianco o meglio contro Chaplin, erano schierati la grande stampa, che si accanì in maniera feroce contro l’artista inglese, i benpensanti e una parte dell’opinione pubblica, soprattutto americana.

In questo clima difficile, cui si aggiunsero problemi col fisco, Chaplin realizzò il successivo lungometraggio The Circus (Il circo) nella sale il 7 gennaio 1928.

The Circus (Il circo, 1928)

Costantemente senza lavoro il Vagabondo (Charlie Chaplin) viene scambiato per un ladro. Per scappare da un poliziotto, si rifugia sotto il tendone di un circo facendo involontariamente divertire più degli stanchi clown dello spettacolo (Henry Bergman, John Rand, Armand Triller). È pertanto ingaggiato dal padrone (Allan Garcia) che maltratta costantemente la figlia (Merna Kennedy, attrice suggerita da Lita Grey), provetta acrobata. Quando l’uomo capisce che il Vagabondo fa divertire il pubblico solo mentre combina pasticci, rovinando involontariamente il numero di altri, lo ingaggia come inserviente, con una paga bassa. The Tramp vive la vita del circo e si innamora della ragazza che è tuttavia invaghita della nuova attrazione del circo, Rex l’acrobata (Harry Crocker). Il Vagabondo pur di riconquistarla sostituisce il rivale in un pericoloso numero, ma quando la ragazza scappa dal circo e dal suo crudele pradre-padrone, il Vagabondo sa che il bene per la giovane è un altro. Finirà solo e malinconico al centro di un cerchio vuoto di erba calpestata dai tendoni del circo.

Merna Kennedy e Charlie Chaplin

The Circus ebbe una lavorazione sofferta portata a termine nonostante una tempesta che distrusse il tendone del circo prima dell’inizio delle riprese, un incendio avvenuto nel settembre del 1926, il furto di alcuni carrozzoni e il rischio del sequestro delle pellicola nella causa di divorzio (come era successo anni prima a The Kid) che portò ad otto mesi di stop. Nonostante le disavventure Il circo risulta uno dei film più completi di Chaplin capace di equilibrare in maniera straordinaria elementi drammatici e patetici con gag irresistibili, “La coreografia delle gag e il ritmo nelle sequenze comiche forse non sono mai stato così perfetti” (Mereghetti).

L’esigenza di non sfilacciare il racconto spinse Chaplin a sacrificare diverse divertenti sequenze poi recuperate da Kevin Brownlow e David Gill nel documentario Unknown Chaplin (Chaplin sconosciuto), ma in The Circus, il regista, più che in altri film, mise in gioco se stesso con un’amara analisi sul mondo dello spettacolo e sulla figura del comico.

il malinconico finale de Il circo

La pellicola piacque molto a Federico Fellini che dichiarò: “Chaplin rappresenta l’avventura e il mistero del cinema espressi da un attore comico di circo, cioè dall’attore meglio adatto a familiarizzare con un mezzo fondato sul movimento […] Il circo mi sembra uno dei suoi film più belli e più puri”.

Un film importante (nel 1969 l’autore scrisse nuove musiche per una riedizione), che Chaplin tuttavia non citò nemmeno nella sua autobiografia, elemento curioso visto che The Circus valse a Chaplin la prima candidatura all’Oscar come Miglior attore, nomination poi ritirata dall’Academy per conferire al regista il primo Oscar onorario della storia con la seguente motivazione “Per la versatilità ed il genio nella recitazione, sceneggiatura, regia e produzione nel film Il circo“. A tutt’oggi il più giovane regista a vincere il premio più ambito nel mondo del cinema. Il primo Oscar come Miglior attore venne, invece, assegnato al futuro nazista Emil Jannings.

City Lights (Luci della città, 1931)

Il 28 agosto del 1928 morì mamma Hannah mentre il regista era alle prese con un nuovo film. Il cinema aveva scoperto il sonoro, ma Chaplin, come disse l’amico David Wark Griffith: “cercava di […] conservare il silenzio di Charlot”. Benché sollecitato da tutti, l’autore decise di continuare a fare film muti o meglio non parlati visto che suoni e musica furono per la prima volta sincronizzati nel successivo City Lights (Luci della città) nella sale americane dal 6 gennaio 1931.

Il Vagabondo (Charlie Chaplin), con gli ultimi soldi in tasca, compra una rosa da una giovane fioraia cieca (Virginia Cherrill). La stessa notte salva dal suicidio un milionario ubriaco (Harry Myers). Questi sotto l’effetto dell’alcol è cordiale e gentile ma, passata la sbornia, lo maltratta e lo scaccia via. Il Vagabondo, innamorato della fioraia, decide di cercare il denaro necessario per un’operazione che le potrà restituire la vista. Dopo varie peripezie, tra cui un memorabile incontro di boxe, Charlot trova il milionario tanto ubriaco da convincerlo a dargli il denaro per guarire la ragazza, ma appena riesce a dare i soldi alla fioraia viene arrestato per furto. Uscito dopo un anno di prigione trova la ragazza finalmente guarita.

l’emozione del Vagabondo

Una nuova lavorazione tormentata che portò a tre anni di riprese, oltre centomila metri di pellicola impresse e alcuni licenziamenti portati dal nevrotico perfezionismo di Chaplin (il ruolo del milionario fu inizialmente affidato a Henry Clive che, dopo essersi rifiutato di gettarsi nell’acqua fredda, venne sostituito da Harry Myers), ma Luci della città fu un successo clamoroso grazie al consueto intreccio tra farsa e melodramma e all’analisi pungente delle apparenze e dei tabù della vita sociale.

Benché senza dialoghi, nel film il sonoro ebbe un ruolo determinante sia per lo sviluppo della storia (il rumore della portiera di un’automobile, fa credere alla fioraia che Charlot sia ricco) sia per le gag (dalle voci incomprensibili della autorità a inizio film al fischietto inghiottito per sbaglio dal protagonista).

Albert Einstein e Charlie Chaplin

La “storia” di Chaplin stava diventando sempre più la Storia del mondo. Il regista conobbe e frequentò Albert Einstein in viaggio negli Stati Uniti. Tra cene eleganti e musica, la moglie invitò il regista a Berlino, ma l’avvento del Nazismo costrinse gli Einstein ad emigrare negli Stati Uniti saldando così un’amicizia che durò per tutta la vita.

Non meno intenso fu il rapporto con Winston Churchill conosciuto per la prima volta nel 1926 nella villa di William Randolph Hearst e Marion Davies. Durante un nuovo viaggio in Inghilterra per la promozione di City Lights, Chaplin incontrò nuovamente Churchill che era all’opposizione del governo guidato dal laburista Ramsay MacDonald. Al regista venne spontanea un’osservazione “Quello che non capisco è il fatto che un governo socialista non altera lo status di un re o di una regina” e ancora “I socialisti dovrebbero essere contrari alla monarchia”. A queste parole l’uomo politico, con la consueta ironia, rispose “Se lei abitasse in Inghilterra le taglieremmo la testa per questa osservazione”.

Winston Churchill e Charlie Chaplin

La nuova visita a Londra coincise, a proposito di Storia del mondo, con la visita di un altro uomo che in quegli anni aveva avviato una lotta non violenta con il Regno Unito, si chiamava Mohandas Karamchand, ma per gli indiani era il Mahatma Gandhi. Grazie all’aiuto di Churchill i due si incontrarono in una modesta casupola nel quartiere povero di Est India Dock Road. Fuori centinaia di ammiratori, curiosi, fotografi. Chaplin era molto emozionato e i due iniziarono a discutere dell’indipendenza e del ruolo delle macchine: amiche o nemiche dell’uomo?

Charlie Chaplin e Gandhi

Non casualmente l’indignazione di fronte alla degradazione dell’uomo nello sviluppo tecnologico e nella sua sottomissione alla macchina, furono al centro del successivo Modern Times (Tempi moderni) la cui prima avvenne il 5 febbraio 1936.

Il Vagabondo (Charlie Chaplin), operaio in una fabbrica, è vittima e cavia delle macchine che letteralmente lo “divorano”, impazzisce e viene ricoverato in ospedale. Quando esce è affamato e senza lavoro. Durante una manifestazione di protesta viene scambiato per un sovversivo (agita una bandiera rossa) e arrestato dalla polizia. Uscito di prigione incontra una ragazza orfana, una monella (Paulette Goddard) e con lei vivrà tra mille difficoltà. Alla fine dopo l’ennesima fuga, il Vagabondo e la ragazza si ritrovano, all’alba lungo una strada polverosa lontana dalla città.

Modern Times (Tempi moderni, 1936)

Capolavoro assoluto. Uno dei film più complessi e sperimentali di Chaplin, in cui la didascalia iniziale racchiude il cuore del film: “Una storia in cui i personaggi sono l’industria, l’iniziativa individuale, l’umanità che marcia alla conquista della felicità”. Così mentre altri registi, come Frank Capra col suo You Can’t Take It with You (L’eterna illusione) vincitore dell’Oscar come Miglior film, si allinearono alla struttura ideologica del “New Deal” roosveltiano, Chaplin con Modern Times la negò.

Mai come in questa pellicola, infatti, la dimensione sociale e politica si affacciò così fortemente in un film comico (ammesso che i film di Chaplin possano essere catalogati in un unico genere).

l’uomo e la macchina

Gli operai si muovono come un gregge, con coordinati movimenti ritmati, quasi surrealisti. E se in questo spaccato non affiora una “coscienza di classe” e non c’è la consapevolezza di essere dei proletari, come ad esempio nei film di Ejzenštejn col quale Chaplin si confrontò più volte sul tema del comunismo in URSS, Tempi moderni rimane una favola satirica contro la meccanizzazione e lo sfruttamento sociale tanto esilarante quanto struggente.

La struttura di Modern Times fu ancora quella di un film muto, dalla presenza delle didascalie alle gag visive, il suono entrò marginalmente (si sentono le voci dei padroni) fino ad una delle scene finali divenute giustamente celebri, quella in cui il Vagabondo si esibisce cantando incomprensibilmente “Je cherche après Titine” scritta dal compositore francese Léo Daniderff nel 1917, ma resa immortale da Chaplin (tradotta in italiano con titolo “Io cerco la Titina” da Guido di Napoli).

il Vagabondo e la “monella” si allontanano, nell’ultima scena del film

La pellicola fu feroce tanto contro il capitalismo occidentale quanto contro lo stakanovismo, al punto che all’epoca venne accolta con successo solo in Francia e Inghilterra. In Germania e Italia fu bollato come sovversivo e filocomunista, negli Stati Uniti fu un fiasco commerciale. Tempi moderni fu davvero troppo moderno per quei tempi.

Ma Chaplin non si scoraggiò e sfidò l’impossibile: realizzare un film su Adolf Hitler. Il dittatore tedesco, ironia della sorte nato il 20 aprile del 1889, quattro giorni dopo Charlie Chaplin, aveva preso il potere in Germania e il Nazismo regnava incontrastato in mezza Europa. L’idea di un film sul Führer gli venne suggerita dal regista ungherese Alexander Korda (Pusztatúrpásztó, 16 settembre 1893 – Londra, 23 gennaio 1956) e Chaplin, dopo aver visionato decine di fotografie formato cartolina che mostravano Hitler durante un discorso, decide di farne una parodia. Nacque The Great Dictator (Il grande dittatore).

The Great Dictator (Il grande dittatore, 1940)

Un barbiere ebreo (Charlie Chaplin) viene ferito durante la Prima guerra mondiale e perde la memoria. Dimesso dall’ospedale dopo qualche anno, trova il suo Paese, la Tomania, sotto la folle dittatura di Adenoid Hynkel (Charlie Chaplin) che sogna di conquistare il mondo e perseguita gli ebrei del ghetto. Il barbiere si innamora della giovane Hannah (Paulette Goddard), ma è costretto alla fuga insieme a Schultz (Reginald Gardiner), un militare dell’esercito cui aveva salvato la vita nel prima conflitto mondiale. I due vengono arrestati e portati in un lager, ma a causa della straordinaria somiglianza, il barbiere viene scambiato per il dittatore e, sostituendosi a lui, riesce a pronunciare, anziché un discorso a favore dell’invasione della vicina Ostria contesa con la Bacteria (Batalia nell’edizione italiana) guidata da Benzino Napoloni (Bonito Napoloni nell’edizione italiana, interpretato da Jack Oakie), un appello alla pace universale.

la danza de Il grande dittatore col mappamondo

Probabilmente il più celebre film di Charlie Chaplin realizzato in pieno tempo di guerra, prima tuttavia dell’intervento USA. Il regista prese di mira le dittature europee, il suo Hynkel/Hitler puerile e vanitoso che danza col mappamondo è una caricatura perfetta (nonché una delle scene più note di tutta la storia del cinema), così come perfetto fu il Napaloni/Mussolini chiassoso e volgare come l’originale.

Ma Il grande dittatore, in cui Chaplin utilizzò alcuni spunti del suo film su Napoleone mai realizzato, fu anche l’ultima pellicola con il Vagabondo protagonista, sebbene bombetta, bastone e scarponi compaiano solo nella scena in cui il barbiere si prepara all’appuntamento con Hannah. Fu anche il primo film compitamente sonoro del regista. Per la prima volta, infatti, l’attore usò la parola sia per le farneticazioni di Hynkel sia per lo splenduto discorso finale che riproduciamo integralmente:

il discorso finale, ancora oggi un bellissimo appello pacifista

“Mi dispiace. Ma io non voglio fare l’imperatore. No, non è il mio mestiere. Non voglio governare, né conquistare nessuno; vorrei aiutare tutti se è possibile: ebrei, ariani, uomini neri e bianchi. Tutti noi, esseri umani, dovremmo aiutarci sempre; dovremmo godere soltanto della felicità del prossimo. Non odiarci e disprezzarci l’un l’altro.
In questo mondo c’è posto per tutti: la natura è ricca, è sufficiente per tutti noi; la vita può essere felice e magnifica.
Ma noi lo abbiamo dimenticato.
L’avidità ha avvelenato i nostri cuori, ha precipitato il mondo nell’odio, ci ha condotto a passo d’oca a far le cose più abiette.
Abbiamo i mezzi per spaziare, ma ci siamo chiusi in noi stessi; la macchina dell’abbondanza ci ha dato povertà; la scienza ci ha trasformato in cinici; l’abilità ci ha resi duri e cattivi.
Pensiamo troppo e sentiamo poco.
Più che macchinari, ci serve umanità.
Più che abilità, ci serve bontà e gentilezza.
Senza queste qualità, la vita è violenza, e tutto è perduto. L’aviazione e la radio hanno riavvicinato le genti. La natura stessa di queste invenzioni reclama la bontà dell’uomo, reclama la fratellanza universale, l’unione dell’umanità. Perfino ora la mia voce raggiunge milioni di persone nel mondo, milioni di uomini, donne , bambini disperati.
Vittime di un sistema che impone agli uomini di torturare e imprigionare gente innocente.
A coloro che mi odono, io dico: non disperate, l’avidità che ci comanda è solamente un male passeggero. L’amarezza di uomini che temono le vie del progresso umano, l’odio degli uomini scompare insieme ai dittatori. E il potere che hanno tolto al popolo, ritornerà al popolo.
E qualsiasi mezzo usino, la libertà non può essere soppressa.
Soldati! Non cedete a dei bruti! Uomini che vi sfruttano! Che vi dicono come vivere! Cosa fare! Cosa dire! Cosa pensare! Che vi irreggimentano! Vi condizionano! Vi trattano come bestie! Non vi consegnate a questa gente senza un’anima!
Uomini macchina, con macchine al posto del cervello e del cuore.
Voi non siete macchine, voi non siete bestie, siete uomini!
Voi avete l’amore dell’umanità nel cuore. Voi non odiate coloro che odiano solo quelli che non hanno l’amore altrui.
Soldati! Non difendete la schiavitù! Ma la libertà!
Ricordate,
Promettendovi queste cose dei bruti sono andati al potere: mentivano, non hanno mantenuto quelle promesse e mai lo faranno. I dittatori forse son liberi perché rendono schiavo il popolo. Allora combattiamo per mantenere quelle promesse! Combattiamo per liberare il mondo, eliminando confini e barriere! Eliminando l’avidità, l’odio e l’intolleranza! Combattiamo per un mondo ragionevole; un mondo in cui la scienza e il progresso, diano a tutti gli uomini il benessere. Soldati! Nel nome della democrazia siate tutti uniti!”

Hynkel/Hitler e Napaloni/Mussolini

Indimenticabili numerose scene: il proiettile che segue i movimenti del barbiere durante i combattimenti, Hynkel balla con il mappamondo sulle note dell’ouverture del Lohengrin di Wagner cui si contrappone la Marcia Ungherese n°5 di Brahms sulla cui gioiosa leggerezza il barbiere rade un cliente, i duetti da slapstick comedy tra Hynkel e Napaloni, i discorsi di Hynkel basati sulla caricatura della lingua tedesca.

La lavorazione di The Great Dictator iniziò nel settembre del 1939 e si protrasse fino al marzo del 1940, ma fu funestata, a dicembre, dall’improvvisa morte dell’amico Douglas Fairbanks. La prima ebbe luogo il 15 ottobre 1940 a New York e il successo del pubblico negli USA compensò in parte il fiasco di Modern Times. La critica fu, invece, tiepida anche perché la situazione politica era progressivamente peggiorata: Hitler non poteva essere rappresentato come un buffone e la Gestapo come dei “Keystone cops”. Anni dopo lo stesso Chaplin dichiarò: “Se avessi saputo com’era spaventosa la realtà dei campi di concentramento, non avrei potuto fare The Great Dictator; non avrei trovato niente da ridere nella follia omicida dei nazisti”. Ma Il grande dittatore rimane un grandissimo manifesto pacifista.

Il grande dittatore fu, come altri film di Chaplin, bandito dall’Italia fascista

In Italia la distribuzione dei film di Chaplin proseguiva senza una grande logica, senza seguire l’evoluzione dell’artista. Nel 1923 la Società Anonima Pittaluga ottenne nuovamente i diritti dei suoi film, ma distribuì confusamente dodici pellicole sia del periodo Essanay sia del periodo Mutual. Nonostante questo disordine distributivo, i film di Chaplin ottennero sia un successo di pubblico, sia un successo di critica (benché il suo personaggio nel processo di fascistizzazione venne talvolta chiamato Carlino o Carletto… sempre meglio del Salterello utilizzato per descrivere Buster Keaton). Le pellicole da un respiro più profondo e impegnato, Il monello, L’emigrante, La febbre dell’oro, Il pellegrino ottennero anche il plauso degli intellettuali dell’epoca da Montale ad Ungaretti, da Vittorini a Cecchi.

Non così entusiasta fu il regime fascista. L’allora esordiente Mario Sarandei sul numero di febbraio del 1929 della rivista “Cinematografo”, infatti, scrisse: “Ripugna alla nostra sensibilità di uomini e di fascisti […] il Signor Charles Spencer Chaplin non contribuisce a costruire quelle coscienze forti e maschie che all’Italia d’oggi occorrono”. Tempi moderni, nonostante fosse apprezzato da Mussolini (da qui la leggenda di una simpatia politica di Chaplin verso il Duce), venne etichettato come “incline al bolscevismo”. Il grande dittatore, film del 1940, raggiunse Roma nel 1944, venne bloccato dal regime e ridistribuito solo nel 1946. Non solo, la versione integrale nel nostro Paese venne proiettata solo nel 2002 grazie ad un’azione di restauro in cui vennero reintegrate le sequenze con in scena la signora Napoloni (Grace Hayle), sforbiciate dalla censura nel 1961 per non urtare la sensibilità di Rachele Mussolini!!! Il nuovo doppiaggio non fu all’altezza dell’originale.

Paulette Goddard e Charlie Chaplin ne Il grande dittatore

The Great Dictator fu il secondo e ultimo film “chapliniano” di Paulette Goddard, nome d’arte di Pauline Marion Levy. L’attrice, nata a New York il 3 giugno del 1910, conobbe Chaplin nel 1932, i due si sposarono l’anno seguente e divorziarono nel 1942, ma contrariamente a quanto accaduto con le altre ex mogli, rimasero in ottimi rapporti. La Goddard, attrice incostante, fu in lizza per interpretare Rossella nel celeberrimo Via col vento (pare che il ruolo saltò poiché non riuscì a dimostrare di essere sposata con Chaplin) e dopo Tempi moderni e Il grande dittatore, recitò per George Cukor, Jean Renoir e King Vidor. L’ultima film che la vide protagonista fu Gli indifferenti (1964) di Francesco “Citto” Maselli. Morì a Ronco sopra Ascona il 23 aprile 1990.

Ruolo della vita, infine, per Jack Oakie (Sedalia, 12 novembre 1903 – Los Angeles, 23 gennaio 1978) che ottenne la candidatura all’Oscar come Miglior attore non protagonista per l’interpretazione di Napaloni. Il grande dittatore ottenne altre quattro nomination (Miglior film, Miglior attore protagonista, Migliore sceneggiatura, Migliore colonna sonora), ma nessuna si trasformò in premio.

Professionista indomo, il 18 aprile 1942 Chaplin riportò nelle sale The Gold Rush, allungandolo a 72 minuti (accorciando la scena con l’orso, ma utilizzando molte sequenze alternative a quelle usate nel 1925), aggiungendo un commento sonoro e una nuova orchestrazione musicale, affidata a Max Terr. Elementi che portarono la pellicola ad essere candidata a due Oscar, quello per il Miglior sonoro e per la Miglior colonna sonora.

Joan Barry

Dopo il matrimonio con Paulette Goddard, Chaplin ebbe una breve relazione con Joan Barry (Detroit, 24 maggio 1920) una modesta attrice in cerca di notorietà, che accusò il regista di aver abusato di lei, fino a farle avere una figlia. Scoppiò un nuovo scandalo. Nel 1942 si aprì il processo che si concluse definitivamente solo nel 1948 con la condanna di Chaplin a pagare un assegno di mantenimento mensile fino al compimento dei 21 anni, nonostante le analisi del sangue avessero dimostrato che la bambina non era la figlia del regista. Per la seconda moglie, Lita Grey, non vi erano dubbi riguardo la paternità e Chaplin aveva fatto falsificare le analisi.

Una condanna scarsamente motivata, ma “esemplare”. Il lungo processo si intrecciò, infatti, con un’altra vicenda che ne determinò più o meno lo svolgimento. Con Tempi moderni e ancor più con Il grande dittatore, Chaplin fu accusato di filo comunismo dalla Commissione per le attività antiamericane (House Committee on Un-American Activities, HCUA). I due filoni di accuse trovarono terreno fertile nell’opinione pubblica americana che vide messi in pericolo due suoi tabù: il puritanesimo sessuale e l’anticomunismo. Chaplin non fece molto per sottrarsi alle accuse sulle sue simpatie politiche. Come scrisse l’amico Buster Keaton: “Charlie è un testardo, e quando veniva sfidato il suo diritto a parlare bene del comunismo, lui caricava a testa bassa”.

dalla “bandiera rossa” di Modern Times, Chaplin attirò su di se le attenzione della Commissione per le attività antiamericane

Chaplin scrisse al Presidente Roosvelt il 22 luglio del 1942 e nel dicembre dello stesso anno tenne un discorso al Madison Square Garden di New York durante un raduno sindacale: “Sui campi di battaglia della Russia, la democrazia sopravviverà o morrà. Il destino delle Nazioni alleate e nelle mani dei comunisti. Se la Russia è vinta, il continente asiatico – il più vasto e ricco del globo – passerà sotto il dominio dei nazisti […] Quale probabilità ci resterebbe, in tal caso, di vincere Hitler? […] Non possiamo rischiare di perdere la Russia, ultima linea di difesa della democrazia”. E ancora: “Ti saluto, Unione Sovietica, per la lotta magnifica che stai conducendo per la causa della libertà. Saluto il tuo coraggio, il tuo spirito d’iniziativa nel realizzare il più audace esperimento che la storia dell’umanità conosca: un esperimento umano nel corso del quale hai conseguito vittorie gloriose, nonostante tutti gli ostacoli di questo mondo. Nonostante le vociferazioni che tentano di denigrare la tua casa, sei cresciuta audace e libera; sei un esempio di ispirazione per l’uomo semplice. Io ti saluto, Russia, perché nulla può fermarti sulla via del progresso”.

Oona O’Neill con Charlie Chaplin nel 1944

In quell’intenso 1942, Chaplin conobbe la diciassettenne Oona O’Neill (Warwirck, 13 maggio 1925 – Corsier-sur-Vevey, 27 settembre 1991), figlia del celebre drammaturgo Eugene O’Neill. Nel 1943 i due si sposarono suscitando scandalo per la grande differenza di età della coppia, l’inventore del Vagabondo aveva infatti superato i 53 anni. La coppia, che rimase unita per tutta la vita, ebbe otto figli: Geraldine (1 agosto 1944), Michael (7 marzo 1946), Josephine (28 marzo 1949), Victoria (19 maggio 1951), Eugene, (23 agosto 1953), Jane (23 maggio 1957), Annette (3 dicembre 1959) e Christopher (8 luglio 1962).

Nel dopoguerra la corsa agli armamenti vedeva in testa gli USA, ma ogni posizione contraria all’atomica, come quella di Chaplin, veniva vista dall’opinione pubblica come un attacco agli americani e un favore ai sovietici. In questo clima il regista realizzò, con pochi mezzi, utilizzando parti del set di The Great Dictator, Monsieur Verdoux nelle sale l’11 aprile 1947.

Monsieur Verdoux (1947)

Monsieur Verdoux (Charlie Chaplin) è un impiegato di banca che, dopo trent’anni di servizio, viene bruscamente licenziato. Nonostante tutto deve mantenere la moglie inferma (Mady Correll) e il figlio Peter (Allison Roddan). La Francia del primo dopoguerra è piena di vedove ricche e bisognose di affetto e gentilezza. Il suo aspetto elegante, i suoi modi insinuanti gli permettono di conquistarle, di sposarle e ucciderle dopo essersi impadronito del loro denaro. Nessuno sospetta della sua doppia vita, ma quando in Europa affiorano nuove dittature e moglie e figlio muoiono, si lascia catturare. Condannato a morte si difenderà dicendo “Se si ammazza una persona si è un criminale. Se se ne ammazzano milioni si è un eroe. Le grandi cifre santificano tutto…”.

Ispirato da un’idea di Orson Welles, citato nei titoli di testa, su un moderno Barbablu, Monsieur Verdoux fu uno dei film più controversi del regista, allora boicottato negli USA dall’American League. Archiviato definitivamente Charlot, “Chaplin usò le armi del paradosso e dell’humour nero portando lo spettatore a simpatizzare per un moderno Landru, accanendosi contro il perbenismo piccolo-borghese delle vittime. Le trovate sono spesso irresistibili (la vedova baciata dalla fortuna – l’eccezionale Martha Raye – che resiste a tutti i tentativi di omicidio)” (Mereghetti) e la fusione tra satira e invenzioni narrative è molto riuscita. Ma fu un clamoroso insuccesso, circa un milione di dollari di passivo.

Chaplin passò dall’essere idolo delle folle a persona “sgradita”

Ma per Chaplin l’ostilità nella “terra delle libertà” cresceva di giorno in giorno. Il fatto che non avesse mai chiesto la cittadinanza USA veniva visto come un ulteriore segno di antiamericanismo. Finì nel mirino del FBI che aprì un corposo fascicolo. Nel settembre del 1947 il regista venne convocato dalla Commissione per le attività antiamericane. Non si presentò, ma mandò un telegramma che recitava “Non sono comunista, non mi sono mai iscritto ad alcun partito od organizzazione politica in vita mia”. La stampa lo bollò come “unfriendly” (“non amichevole”) al fianco di Bertold Brecht.

L’anno successivo venne nuovamente convocato dalla “Commissione”. Si presentò. HUAC: “Mr. Chaplin, risulta che le è stata rivolta una domanda, a proposito del suo film Monsieur Verdoux, ‘Lei è un simpatizzante comunista?”‘ e lei ha risposto: ‘Bisogna precisare’. Ricorda questa conversazione? Chaplin: “Durante la guerra erano tutti, chi più chi meno, simpatizzanti comunisti […] La mia idea di comunismo era la Russia”. HUAC: “Quale è il suo atteggiamento attuale nei confronti dell’Unione Sovietica?”. Chaplin: “Lo stesso che in passato. Una profonda gratitudine verso di loro. Quando leggo i giornali non vedo nulla in cui loro abbiamo commesso particolari crimini o oltraggi nei confronti della nostra democrazia”.

Limelight (Luci della ribalta, 1952)

Dopo il flop di Monsieur Verdoux, Chaplin tornò al lavoro convinto di non aver perso del tutto l’affetto del popolo americano. Si mise al lavoro per diciotto mesi, raccontando una bella storia d’amore, componendo musiche uniche e scritturando il vecchio amico Buster Keaton in una sorta di film-testamento. Era nato Limelight (Luci della ribalta).

Calvero (Charlie Chaplin), un clown un tempo celebre, salva la giovane ballerina Terry (Claire Bloom) dal suicidio. Trascorre molte giornate con lei, la guarisce da una paralisi psicosomatica, le ridà la voglia di vivere e la porta al successo. La ragazza si innamora del vecchio clown e vuole vivere con lui, ma Calvero è deciso a farsi da parte per favorire la storia d’amore tra Terry e il giovane musicista Neville (Sydney Chaplin jr.). Calvero ormai povero, ridotto sul lastrico, è costretto a esibirsi in spettacoli ambulanti per elemosinare qualche soldo. Un giorno però rivede Terry. La ballerina gli da la possibilità di esibirsi sul palcoscenico per un ultimo grande spettacolo al fianco di un altrettanto vecchio partner (Buster Keaton). Calvero morirà dopo la sua ultima esibizione.

Buster Keaton e Charlie Chaplin per la prima e unica volta insieme in un film

Girato in poche settimane e ispirato ad un romanzo dell’autore mai pubblicato (“Footlights”), Luci della ribalta fu un film struggente e malinconico in cui Chaplin rifletté sulla vecchiaia e sulla vita, portando in scena il suo vero volto, senza trucco e con i capelli bianchi.

La sequenza dell’ultimo spettacolo al fianco del partner è tra i vertici del cinema e non poteva essere diversamente visto che per la prima ed unica volta Charlie Chaplin e Buster Keaton condivisero la scena, superstiti rassegnati di un mondo che non c’era più.

Nel film comparve tutta la famiglia Chaplin in ruoli più o meno importanti. La moglie Oona fece la comparsa come spettatrice, il figlio Sidney jr divenne il giovane musicista innamorato della ballerina, Charlie jr. fu invece un clown, Geraldine, Michael e Josephine i bambini del quartiere. Ultima apparizione anche per Edna Purviance che si intravede tra gli spettatori.

Le musiche furono le più belle mai scritte da Chaplin a partire dalla struggente “Candilejas”, tema principale del film. Nonostante questo il film venne ritirato negli USA e vinse un Oscar “retroattivo” per la Migliore colonna sonora solo nel 1973.

Chaplin, in viaggio con la famiglia per la prima di Luci della ribalta, viene raggiunto dalla “sentenza”

Limelight fu l’ultimo film americano per Chaplin. Mentre era in viaggio, insieme alla famiglia, per presenziare alla prima mondiale del film avvenuta il 23 ottobre del 1952 all’Odeon di Leicester Square a Londra, al regista venne comunicata la condanna decisa dalla Commissione per le attività antiamericane: se fosse rientrato negli Stati Uniti sarebbe stato arrestato per “gravi motivi di sfregio della moralità pubblica e per le critiche trasparenti dai sui film al sistema democratico del Paese che pure accogliendolo gli aveva dato celebrità e ricchezza”. Non solo, il Ministro della giustizia dell’epoca stabilì per decreto che a Chaplin, in quanto cittadino britannico, non sarebbe stato permesso di rientrare nel paese a meno che non avesse convinto i funzionari dell’immigrazione di essere “idoneo”.

Recentemente sono stati resi pubblici parte degli archivi che riguardano l’attività politica di Chaplin, anche grazie ad un carteggio tra FBI e servizi segreti britannici. Secondo i primi il regista era un pericoloso comunista, una persona sgradevole, il “bolscevico di Hollywood”, per le spie inglesi era un radicale dalle idee progressiste. Il primo a denunciare le sue simpatie comuniste fu George Orwell, poi venne la “caccia alle streghe”, la crociata del senatore Joseph Mc Carthy e i fascicoli di John Edgar Hoover, allora potente capo del FBI. Molti archivi sono tutt’ora segreti, ma di sicuro Chaplin, che non nascose mai le sue simpatie frequentando anche il leader cinese Zhou Enlai, dichiarò “C’è molto di buono nel comunismo, possiamo utilizzare quello che c’è di buono e lasciare da parte il cattivo”.

il Primo ministro cinese Zhou Enlai e Charlie Chaplin

Nella primavera del 1953, Chaplin restituì il permesso di rientro, che pure gli era stato rilasciato all’atto della sua partenza dalle stesse autorità americane, e decise di trasferirsi con la sua famiglia in Svizzera, a Corsier-sur-Vevey.

Nel 1957 tornò dietro la macchina da presa per deridere e irridere la “caccia ai comunisti”, nacque A King in New York (Un Re a New York). Spodestato dal trono dell’immaginario paese europeo di Estrovia, Re Shahdov (Charlie Chaplin) trova rifugio negli Stati Uniti e va a vivere in un grande hotel. Il suo sogno americano si rileva però un incubo, perché prima una giornalista lo sfrutta a scopi pubblicitari poi accetta di farsi una plastica facciale, che immancabilmente esplode. L’unico aspetto positivo è l’amicizia con Rupert Macabee (Michael Chaplin) un ragazzino fanatico marxista. Si ritrova, pertanto, accusato di attività antiamericane e convocato dalla Commissione di inchiesta. Alle accuse risponde “Ma si può essere così stupidi? Un re comunista! Proprio non sapete cosa inventare”. Si salverà a stento e tornerà in Europa.

A King in New York (Un Re a New York, 1957)

Idolatrato dagli anni ’10 agli anni ’40 e poi perseguitato sia per la sua vita privata sia per le sue simpatie politiche, Chaplin con A King in New York si prese la sua piccola personale rivincita, in un misto di rabbia e tenerezza, prendendo di mira il mito del denaro e l’isteria collettiva delle persecuzioni maccartiste. Proprio per questo il film venne proibito negli USA fino all’elezione a Presidente di Jimmy Carter nel 1977.

A King in New York fu l’ultimo film che vide Charlie Chaplin protagonista. Nella successiva e ultima pellicola, fece, infatti, solo un piccolo cammeo, così come aveva fatto quaranta anni prima ne La donna di Parigi. Il 2 gennaio 1967 uscì nelle sale A Countess from Hong Kong (La contessa di Hong Kong).

A Countess from Hong Kong (La contessa di Hong Kong, 1967)

Natasha Alexandroff (Sophia Loren) si imbarca clandestina a Hong Kong in un lussuoso transatlantico e si nasconde nella cabina del ricco diplomatico Ogden Mears (Marlon Brando) che sta per essere nominato ambasciatore. Per evitare scandali e problemi con la moglie (Tippi Hedren), l’uomo organizza, insieme all’amico Harvey Crothers (Sydney Chaplin jr.), un finto matrimonio tra la clandestina e il suo maggiordomo (Patrick Cargill), ma le cosa non vanno come aveva sperato. L’ultimo film di Chaplin, e primo ed unico a colori del regista, fu un flop di pubblico e critica, nonostante la bravura dei due attori protagonisti.

Chaplin non smise tuttavia di lavorare. Grazie alle sue doti di compositore produsse la versione sonora di alcuni suoi capolavori: The Circus (1969), The Kid (1971) e A Woman of Paris (1975).

Chaplin con il secondo Oscar onorario

Arrivarono tardivi, ma prestigiosi riconoscimento. Nel 1970 gli venne consegnato a Venezia il Leone d’oro alla carriera. Nel 1972 tornò, per la prima volta dopo venti anni, negli USA per ritirare un secondo Oscar onorario “Per l’incalcolabile effetto che ha ottenuto rendendo la cinematografia la forma di arte di questo secolo” dalle mani di un emozionato Jack Lemmon.

L’Italia lo nominò Grande Ufficiale Ordine al Merito della Repubblica Italiana il 20 dicembre 1952. La Francia lo fece diventare, il 22 maggio del 1971, Commendatore dell’Ordine della Legion d’Onore. Non meno significativi i riconoscimenti nel Regno unito. Il primo gennaio del 1975 “Per meriti artistici” fu nominato Cavaliere Commendatore dell’Ordine dell’Impero Britannico (KBE) e il 4 marzo 1975 divenne Sir Charles Spencer Chaplin, ovvero Cavaliere di Sua Maestà per mano regina Elisabetta II d’Inghilterra (onorificenza già proposta ne 1956, ma bloccata per le sue simpatie comuniste).

Sir Charles Spencer Chaplin, grazie

Chaplin si ritirò definitivamente in Svizzera. Morì alle 4 del mattino della notte di Natale del 1977 nella sua casa a Corsier-sur-Vevey. Fu seppellito nel piccolo cimitero della cittadina svizzera (le sue spoglie vennero, nel marzo successivo, trafugate a scopo di estorsione, ma ritrovate 75 giorni dopo). Se ne andò così uno dei più grandi di sempre, se non il più grande, amato fino all’inverosimile e poi ripudiato. Sarebbe infinito fare un elenco delle citazioni e degli omaggi che il mondo, non solo quello del cinema, gli ha fatto e gli continua a fare. Citiamo solo il film Chaplin di Richard Attenborough, tratto dall’autobiografia del regista, con Robert Downey jr. nella parte del protagonista.

Oltre ai figli, da ricordare Geraldine attrice affermata, protagonista, tra gli altri de Il dottor Živago di David Lean e Nashville di Robert Altman, i lasciti più grandi di Chaplin rimangono il personaggio immortale di The Tramp, il Vagabondo, Charlot (chiamatelo come vi pare), grazie al quale fece simpatizzare il pubblico per i più deboli, e i suoi film in cui mise in scena l’anarchismo dell’individuo contro ogni omologazione.

LA PRIMA PARTELA SECONDA PARTE

MARCO RAVERA

redazionale


Bibliografia
“La mia autobiografia” di Charles Chaplin – Mattioli
“Charlie Chaplin” di Giorgio Cremonini – Il Castoro
“Memorie a rotta di collo” di Buster Keaton con Charles Samuels – Feltrinelli
“Buster Keaton” di Giorgio Cremonini – Il Castoro
“Storia del cinema” di Gianni Rondolino – UTET
“Il Mereghetti. Dizionario dei film 2017” di Paolo Mereghetti – Baldini & Castoldi

Immagini tratte da
foto 1 da pinterest.com, foto 2, 3, 5 da  it.wikipedia.org, foto 4 da  en.wikipedia.org, foto 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22 Screenshot del film riportato nella didascalia, foto 23 da cinemaforall.org.uk

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