La festa nazionale di Rifondazione Comunista arriva a Borgo Panigale, Bologna, a due passi dall’ex aristocrazia operaia della Ducati e nel mezzo della città che in questi giorni guarda in faccia la crisi del modello economico del «food» con l’annunciata chiusura di Fico, la cittadella del cibo di Farinetti.

Il dibattito al Parco Cevenini ieri è entrato nel vivo col confronto tra Pablo Iglesia, volto di Podemos ed ex vicepremier spagnolo, e Franco Bifo Berardi, filosofo dei movimenti italiani dagli anni Settanta. «La Spagna è stata un laboratorio di innovazione dei movimenti ma anche dello spazio politico e mediatico classico – spiega il padrone di casa Maurizio Acerbo, segretario del Prc – Per questo abbiamo invitato Iglesias. Noi eravamo un laboratorio avanzato oggi siamo il laboratorio delle cose più sconce, a partire dall’estrema destra al governo».

Iglesias riconosce il suo debito verso la sinistra e i movimenti italiani. «Bologna è una città fondamentale nella mia biografia umana e politica – racconta – Sono arrivato qui 24 anni fa per fare l‘Erasmus. Ero un militante dei giovani comunisti, andai alla sede di Rifondazione comunista e mi diedero la tessera, credo di non averlo mai raccontato». Considera quegli anni sono stati decisivi.

«Qui ho conosciuto una cultura politica molto più avanzata di quella spagnola dell’epoca – prosegue – La sinistra autonoma, Toni Negri, le radio, le storie di Nanni Balestrini. Mi ricordo le proteste bolognesi contro il vertice Ocse del 2000, che anticiparono il movimento di Genova. Studiavo giurisprudenza, ma ero sempre a scienze politiche, in Aula c, un posto occupato dentro l’università».

Tutto ciò per dire che «in Italia abbiamo imparato cose importanti per l’esperienza di Podemos. Non solo Gramsci e l’importanza dell’egemonia culturale. Quando ho vissuto qui ho definito la mia ricerca sulle Tute bianche in Italia. Da voi vedevo forme diverse di azione collettiva, si portavano in piazza gommoni e scudi. Ciò ha finito per farmi capire che era importante la dimensione comunicativa. In piazza andavamo vestiti come gladiatori ma per fare una disobbedienza civile molto spettacolare».

Ecco il passaggio che ha tradotto nell’esperienza di Podemos: «La politica è sempre lotta per i significati delle cose – argomenta Iglesias – Lo scontro muscolare è stato archiviato dal femminismo, ma mi interessava l’azione di strada come dispositivo comunicativo. Da questo punto di vista, tutta la riflessione politica del post-operaismo italiano è interessante perché assume che le idee sono spazio politico e terreno di lotta».

Tutto ciò precipita nel movimento degli Indignados: «Alcuni anni dopo, quando avevo ancora i capelli lunghi, ho iniziato ad andare in tv – dice Iglesias – Mi invitavano perché facevo salire l’audience. Non ero un dirigente politico, avevo lavorato per Izquierda unida. Poi ci siamo candidati alle elezioni e il resto è storia». Adesso, dopo gli anni in cui sfidò il Psoe per l’egemonia nella sinistra spagnola, il ciclo di Podemos pare esaurito.

La sinistra spagnola si è affidata a Yolanda Diaz e Iglesias attribuisce questo declino alla guerra che il sistema mediatico ha condotto contro di loro. «Volete sapere che errori abbiamo fatto? – esclama – Non è una domanda da fare a uno che sta a terra, sconfitto e ferito dopo anni di attacchi».

Per Iglesias, senza costruire una forza mediatico la sinistra non ha nessuna possibilità di portare avanti il suo progetto politico. «Quando i compagni arrivano al governo, le tv e i giornali iniziano ad attaccare – sostiene – Il comportamento dei settori popolari non dipende solo dalle politiche sociali. Sono importanti, ma devono essere inserite dentro lo scontro ideologico». Da qui torna alla situazione italiana, che considera ancora un laboratorio: «La destra è più gramsciana della sinistra – afferma – Da questo punto di vista l’Italia è ancora avanti: non capisce Trump senza prima aver compreso Berlusconi».

Quando arriva il turno di Bifo, Iglesias prende appunti. Lui si schernisce: «Pablo viene da un decennio di battaglia politica ai massimi livelli – esordisce – Sarebbe presuntuoso discutere le sue cose».

Poi, in pieno stile bifiano, sostiene che non si capisce nulla della situazione attuale e della guerra se non si considerano le variabili «psicopatologiche». «La demenza senile come fenomeno di massa è la sola cosa che ci può spiegare la guerra in Ucraina. È la consapevolezza dolorosa dell’impotenza umana, politica, sessuale maschile. È ciò che produce questo istinto guerriero politicamente incomprensibile. Ricordate quando Bush diceva che Putin aveva gli occhi da ‘uomo buono’? I vecchi dementi che governano il sistema internazionale ricordano la scena di Oppeheimer, quando il protagonista dice ad Einstein: abbiamo distrutto il mondo».

L’altro fattore determinante, prosegue Bifo, è la «depressione»: «di fronte ad «angoscia, sofferenza, senso di inutilità e paura del corpo dell’altro», però, occorre vivere. «Come vivremo? – chiede alla platea – Questa domanda dobbiamo porci». Iglesias riconosce nel movimento femminista il soggetto che ha colto le contraddizioni fondamentali. E Acerbo dice ai suoi che bisogna sui concetti di «autonomia» e «diserzione».

GIULIANO SANTORO

da il manifesto.it

foto tratta da www.rifondazione.it