Non è un editoriale, ma forse sono auguri…

Questo dovrebbe essere l’editoriale di fine anno, quello dove solitamente si riepilogano i fatti, ciò che è avvenuto, forse pure quello che sarebbe potuto accadere ed invece manco per...

Questo dovrebbe essere l’editoriale di fine anno, quello dove solitamente si riepilogano i fatti, ciò che è avvenuto, forse pure quello che sarebbe potuto accadere ed invece manco per idea che sia successo, perché era proprio quello che avremmo voluto avvenisse e, puntualmente, come volevasi dimostrare si è verificato se non l’esatto opposto, poco ci manca.

Quindi, questo, è un editoriale diverso dagli altri. Anzi, non lo è proprio. Perché un editoriale, lo sapete, esprime – diciamo così – l’opinione tanto del direttore della testata quanto, un pochino, anche quella della redazione, perché dovrebbe essere la “linea” che ha il giornale cartaceo o internettiano che sia.

Ma noi noi tutto siamo tranne che una testata. Diamo un sacco di testate contro il muro, ci rompiamo prima le corna e poi proprio la testa. Ma ce l’abbiamo così tanto dura che alla fine ad avere la peggio è sempre il muro e noi ce la caviamo con quattro cerotti su un bernoccolo.

Se non avessimo la testa tanto coriacea non avremmo potuto resistere tutto questo tempo: prima a dire che, sì i diritti sono importanti, ma pure i doveri dovrebbero esserlo. E tra questi, quello di essere un pochino caparbi, per amore anche di quella che ognuno pretende sia la verità, ma in particolare per una empatia fortissima con chi sta peggio, peggio ancora del peggio che si possa immaginare.

Un tempo si diceva: con gli ultimi, e prima ancora i miserabili, i derelitti, quelli che non hanno né arte né parte e che la testa non sanno proprio dove sbatterla, perché non trovano più un muro su cui andarla ad infrangere. Fare “la Sinistra quotidiana” quotidianamente (o quasi) è un vizio, un vezzo, una passione, un divertimento soprattutto. Ma, attenti: non un gioco. Ci si diverte perché si prova passione.

Per le cose del mondo, per quelle anche extraterrestri che, spesso, sono misteriosamente fascinose, proiettano oltre la pigrissima e sterile dimensione umana ed umanoide, ominide, ristretta entro le paratie dei pregiudizi, degli ancestralismi più reconditi, delle malversazioni volute, cercate, imitazioni di altre imitazioni, per cui una strana idea diventa consuetudine ed eternizza da secolo a secolo la propria sciagurata esistenza a ridosso delle incoscienze.

Quando scriviamo, lo facciamo per astrarci un po’ dal contesto e, nel contempo, per rientravi meno luridi di prima; lordati dalle tante contumelie che ci riversano addosso i troppi orrori che mortiferano il pianeta, che annientano popoli, che, giorno dopo giorno, aumentano e non reggono più il confronto con le belle anime festaiole di queste giornate in cui siamo quasi costretti dalle consuetudini a scambiarci degli auguri che hanno un sapore amaro.

Un retrogusto di disgusto per migliaia e migliaia di morti nel Mediterraneo, in Ucraina; per millequattrocento israeliani uccisi, per oltre ventimila palestinesi assassinati dai bombardamenti criminali di uno Stato che si fregia eponimicamente (non si dice, ma fate finta di sì…) di un titolo democratico irrintracciabile nella sua geopolitica ormai quasi centenaria.

Un sapore agro, acido, da reflusso gastroesofageo. Una indigestione di sequenze di brutali scene di violenze che sono parafrasate ipocritamente dalle cronache di troppi giornali e televisioni intenti a giustificare l’aggressore, perché – tutto sommato – rappresenta i valori della “civiltà occidentale“.

E mentre, giorno dopo giorno, provi ad allontanarti dall’insopportabilità di tutto questo dolore, e lo fai scrivendo, quindi autoanalizzandoti, regalando al computer il ruolo di terapista d’emergenza, ma una emergenza pressoché costante e inalienabile, non hai tregua, non ha tempo di schermare un disastro disumano che, nemmeno poi tanto all’improvviso, te ne piomba un altro addosso, alle spalle, a tradimento.

In Argentina eleggono uno scriteriato economista liberista che si definisce ossimoricamente anarco-capitalista. Ma l’ossimoro è solo per chi pensa, a ragione, che l’anarchia che cavolo debba c’entrare con il capitalismo per duettarvi come se si fosse al ballo di corte moderno del Fondo Monetario Internazionale con invito della Banca Mondiale. Motosega in mano nei comizi, tra la folla che applaude quando sente parlare di “buttar giù la casta“, ti sembra di averlo già vissuto quel film.

Magari con qualcuno che su un canotto passava di mano in mano, nelle piazze prima bolognesi e poi di altre città, sull’onda del populismo montante. Hai provato a perderti anche allora nell’universo, a decontestualizzarti tra le stelle. Ma ne hai viste cinque e lì ti sei fermato a contarle. Mentre le pecore (che sono tutt’altro che quelle tontolone che la tradizione specista ha voluto in un certo qual modo tramandare, tra i tanti stereotipi attribuiti agli animali non umani, per farci sentire, noi, superiori!) erano comunque tante.

Troppissime per vederne anche solo una nera (altro stereotipo, ma questa volta di etnia o razza, se preferite). Del resto la mosca bianca fa pari e patta con questa altalena nausenate di cliché. Almeno così siamo a posto. O forse no? Ma, tornando al dunque (le bombe è meglio, di questi tempi, lasciarle davvero stare), Milei è il fondo toccato o, come recita un adagio, al peggio mai c’è fine, dunque, ad oggi la tragedia del liberismo che si fa Stato- totalizzante è al primo atto.

Trump, escluso dalle primarie di qualche Stato americano, come mi diceva bene un amico, ricorrerà alla Corte Suprema. Lì ha la maggioranza dei giudici dalla sua parte. Li ha nominati lui. Si presuppone che, pur datando i princìpi della Costituzione statunitense ad oltre due secoli e mezzo or sono, gli anticorpi popolari, democratici e liberali non siano poi tanto solidi se già una volta è capitato di vedere assaltato Capitol Hill da una folla di scalmanati a metà tra l’horror e la più inguardabile fantapolitica.

Metteteci la crisi climatica e lo squilibrio cerebral-globale di tanta parte delle destre conservatrici che negherebbero persino la luce del sole, il 2024 si prospetta tutto tranne che un anno tranquillo. E che Putin abbia dichiarato che la guerra in Ucraina durerà, almeno, ancora cinque anni… ti sembra poca cosa davanti all’immane farsa mondiale che diviene tragedia dopo essere stata una tutt’altro che inopinata commediaccia di provincia.

Motivi per stare un po’ allegri, per essere tendenzialmente ottimisti ne abbiamo? Sì! La sinistra in Italia. Tocca affidarsi alla ciambella di salvataggio dell’ironia, perché altrimenti cos’altro tocca se non tirarsi metaforicamente un colpo e ritirarsi a vita privata dopo aver lottato sempre per il pubblico nel pubblico e del pubblico?

Coraggio, lettrici e lettori, amiche ed amici, compagne e compagni. C’è sempre la schwa che ci salva dal sessismo linguistico, anche se poi, tre parole su quattro che pronunciamo ogni dì sono anglicismi nel migliore dei casi, cacofonie sincretiche e estremamente sintetiche della musica trap nel peggiore… Si potesse affermare il diritto all’uguaglianza cambiando un fonema, tutto sarebbe estremamente più semplice.

Ma non banalizziamo. Perché, qui l’ironia è messa fuori dalla porta per un istante, chi non si sente né al maschile né al femminile ha tutto il diritto di avere un modo per percepirsi ed essere percepito, quindi vissuto dagli altri. Non c’è mai stata una realtà bianca e nera, con cinquanta sfumature di grigio o di rosso (se ripercorriamo le scissioni a sinistra, le sfumature altro che cinquanta sono….). C’è sempre stata, anche se non ce avvedevamo, una società fatta di mille colori.

Ma gli arcobaleni sembrano iniziare sempre nel mare o in un lago o in un fiume (ed un motivo c’è!) per finire in qualche collina, dove la pentola d’oro non la trova mai nessuno. I campi dei miracoli sono fantastici, ma non esistono. Anche se, scorrendo la finanziaria appena approvata, parrebbe proprio di sì. Non agitatevi: i miracolati sono sempre loro. Non siamo noi. Noi, per intenderci…, il ceto medio, basso, ancora più in basso. I borghesi piccoli piccoli.

Mica quelli che che fanno beneficenza dietro compenso, che in televisione a domanda rispondono che cinquemila euro sono pochi per una vacanza di cinque giorni sulla neve. Averceli in tre mesi di onesto lavoro… Eppure, ogni tanto, i lavoratori vincono, o almeno pare. Quelli della GKN ottengono di vedere annullati i loro licenziamenti e di poter pensare ad una riconversione pubblica di una azienda praticamente liquidata nel nome delle delocalizzazioni che fanno fare fiumi e maree di quattrini sulla pelle dei moderni proletari.

Tra i buoni propositi operaisti e la cruda realtà del confronto col governo fintamente nazionalista dei fratellitalioti ci passa qualcosa di più del mare oceano. Ma la dimostrazione che la parola “inutilità” nella lotta è davvero inutile da pronunciare, l’abbiamo anche in questa fine di 2023 in cui sembra lontanissima l’eco delle conquiste del mondo del lavoro e dove, tuttavia, alla fin della tenzone i numeri della cruda realtà del neopauperismo moderno lasciano il segno.

Ed un segno sempre negativo per quel capitalismo italiano che vede negarsi la nuova “via della seta” da Meloni, cui tocca registrare i mal di pancia interni all’esecutivo sul MES e sugli altri meccanismi di prestito europei (leggasi pure: “strozzinaggio“), con una riproposizione del peggio antiriformistico delle leggi contro le pensioni e i pensionati, per un legame sempre stretto tra scuola e lavoro a tutto vantaggio dell’impresa, poco della cultura e della formazione.

Tra le saghe di storie infinite, dove il mito di Atreju viene rivisitato, un po’ come a Dante viene attribuito dal ministro della cultura il patentino di incominciatore della cultura di destra (nel ‘300!), veleggia la barca di un Paese che attende la riforma incostituzionale del premierato. Toccherà bocciarla convintamente col referendum, facendo meglio di quanto si fece, in termini di percentuali, con il pericoloso pateracchio renziano che, in sostanza, consentiva al governo di giganteggiare rispetto al Parlamento.

Poco c’è di nuovo sotto il tiepido sole che si riprende i suoi minuti di splendore dopo il solstizio invernale. Poco c’è di innovativo. A sinistra non si capisce che diamine si farà alle Europee. Lista della pace? Santoro, Fratoianni, Rifondazione, Potere al popolo!, oppure Unione Popolare? Tocca chiedere alla maga Wanda ex fotomodella un responso gialappico che, per quanto strambo possa essere, sarà sempre meglio della percettibile abulia politica del progressimo italico.

E’ quasi San Silvestro, per noi laici il 31 dicembre, semplicemente. E’ quasi finito un altro anno. E ne ricomincia un altro. E’ questa la novità. C’è ancora del tempo. Nello spazio e nelle nostre menti, nel moto a luogo e nella dinamica dei nostri pensieri per poter sostanziare qualcosa. Se ce la faremo non si sa. Partiamo bene, con un altro dubbio. Va bene che, nel dubbio, si assolve, ma qui noi stiamo dubitando troppo e rischiamo di essere un giorno condannati dalla Storia.

Per cosa? Per aver tentennato. Per esserci fatti convincere da troppi personalismi e particolarismi a rimandare un confronto tra sinistre che non necessariamente deve portare alla condominialità forzata. Basterebbe anche solo salutarsi dalle dirimpettaie finestre, invece che chiudere le persiane ogni volta che compare il proprio vicino.

Così, certo, non si vede lui. Ma non si vede più nemmeno tutto quello che c’è là fuori… Buona fine e buon inizio, che si fa tardi e sta per cominciare un’altra puntata del mio telefilm preferito. Quale è? Non ve lo dico. Ma voi provate comunque ad indovinare. Baci e abbracci.

MARCO SFERINI

30 dicembre 2023

foto: screenshot ed elaborazione propria

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