La solidità di una Costituzione non scritta

Contrordine, onorevoli membri dei Commons e dei Lords. Il parlamento non è mai stato prorogued. Così ha deciso la Corte suprema (UKSC 41). La proposta del primo ministro Johnson...

Contrordine, onorevoli membri dei Commons e dei Lords. Il parlamento non è mai stato prorogued. Così ha deciso la Corte suprema (UKSC 41). La proposta del primo ministro Johnson alla regina di chiudere il parlamento per cinque settimane era «unlawful, null and of no effect» (illegittima, nulla e priva di qualsiasi effetto), e così l’atto conseguente della regina (n. 69, 70). Quindi, il parlamento è ancora in sessione e può riprendere normalmente i lavori in qualunque momento. La House of Commons è stata già riconvocata.

La Corte ha spazzato via le obiezioni procedurali del governo che puntavano – affermando la natura intrinsecamente politica dell’oggetto – a sottrarre al vaglio giudiziale la proposta del primo ministro e l’atto della regina. I poteri di “prerogativa” regia sono invece assoggettati a limiti, in specie costituzionali. La responsabilità di verificarne il rispetto spetta al giudice, che non può sottrarsi «merely on the ground that the question raised is political in tone or context» (n. 39).

I principi costituzionali rilevanti nella specie sono quelli della sovranità parlamentare e della responsabilità politica del governo verso il parlamento (n. 41 ss.). Sono principi fondativi del sistema democratico e della forma di governo parlamentare, che risulterebbero sicuramente lesi se il governo potesse frapporre al lavoro legislativo un impedimento di durata rimessa a una sua scelta assolutamente discrezionale. Il potere di prorogation esiste ed è in sé costituzionalmente compatibile. Ma la durata della interruzione dei lavori parlamentari deve avere una «reasonable justification» (n. 49,50).

Qui si trova uno dei passaggi più significativi della pronuncia. Perché, a quanto si coglie, la proposta del primo ministro alla regina era stata motivata in termini di agenda legislativa del governo in parlamento, senza riferimento alla Brexit (n. 17-20). Né ovviamente sarebbe stato possibile esporre l’intenzione di bloccare il parlamento, perché ciò avrebbe appunto concretato una lesione della sovranità dell’assemblea. Ma in rapporto alla giustificazione addotta la durata della interruzione dei lavori era, sulla base dell’esperienza, irragionevole. «No reason was given for closing down Parliament for five weeks», e cinque settimane erano troppe (n. 57 ss.).

Dunque, la proposta del primo ministro dava una falsa rappresentazione, e induceva la sovrana in errore.

Fa parte del complesso fascino della Costituzione non scritta britannica che un terremoto ne scuota le antiche architetture traendo origine da una bugia detta alla regina. Ed essendo determinato da una pronuncia del giudice di costituzionalità che trova un precedente nel Case of Proclamations del 1611 (n. 32, 41). Almeno sul primo punto i politici nostrani avrebbero qualcosa da imparare. Il singolare minuetto che porta una regina a ignorare formalmente quel che tutti sapevano circa le vere ragioni di Boris Johnson può sembrare un elemento di fragilità della Costituzione britannica. Ma è fortissimo il principio che il governo non può legittimamente ostacolare il parlamento nell’esercizio delle sue funzioni di rappresentanza e di legislazione. Non c’è nessuna fragilità nella ferma decisione con cui la Corte suprema ha messo un freno al populismo del primo ministro. La Costituzione del 1948 è scritta e ha cancellato il concetto di sessione ancora presente nello Statuto albertino. Ma basta questo a ritenerla più solida di quella britannica?

Se e quali effetti la decisione potrà avere sugli equilibri politici generali rimane da vedere. Un effetto collaterale possibile è che si acceleri la corsa a nuove elezioni. Non solo, paradossalmente, per la vicenda Brexit. Ma anche perché non può rimanere al suo posto un primo ministro che ha consapevolmente ingannato la regina, inducendola a un atto illegittimo in danno del parlamento.

Dalle nostre parti, se fossero le bugie di politici anche autorevoli a portarci alle urne, dovremmo votare tutti i giorni.

MASSIMO VILLONE

da il manifesto.it

foto tratta da Pixabay

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