In difesa dei cinque licenziati di Pomigliano

«L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana». E ancora: «La...

«L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana». E ancora: «La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica possa essere indirizzata a fini sociali». È l’articolo 41 della costituzione, a citarlo ieri è stato Moni Ovadia nel convegno organizzato a Napoli «LicenziaNO le opinioni. Per la difesa della libertà di opinione dei lavoratori». Oggetto dell’incontro la vicenda dei cinque lavoratori della Fca di Pomigliano d’Arco, licenziati nel 2014 (senza reddito da maggio 2015) per aver inscenato all’esterno dell’allora stabilimento Fiat, il Giambattista Vico, il suicidio di un manichino con il viso di Sergio Marchionne, pentito per i lavoratori del reparto logistico di Nola che si erano tolti la vita dopo sei anni di cassa integrazione ininterrotta.

«Se rubo – ha continuato Ovadia – non posso dire di essere innocente perché non conosco le norme. Invece violare la Costituzione è permesso e legalizzato. La violenza a Pomigliano è stata fatta ai lavoratori, dovremmo insorgere, c’è la legge. Invece in Italia è stato possibile per un presidente del consiglio dire “sono stato eletto, posso fare quello che voglio”, in contrasto con l’articolo 1 della Costituzione che dice “la sovranità appartiene al popolo”. Ci hanno fatto entrare in un fascismo astuto e strisciante. Per questo hanno espunto lo studio della Costituzione dalla scuola». Cosa succede se l’azienda decide cosa un dipendente può o non può dire al di fuori dell’orario di lavoro? «Si regredisce a una situazione servile – la risposta di Ovadia – dove la professione non è più l’elaborazione di un progetto sociale fondato sulla giustizia. In Italia i veri estremisti sono quelli che si definiscono moderati».

Ieri c’era anche Francesca Fornario. I cinque licenziati ad agosto si erano presentati alla sede Rai di Roma in suo sostegno, per il diritto di satira: «Vorrei chiedere scusa a nome dei giornalisti e degli intellettuali – ha raccontato – perché abbiamo eliminato il conflitto dal racconto del paese. Ripetiamo che in Italia bisogna essere in armonia per far crescere il Pil e diminuire lo spread. Solo esempi positivi. Invece dovremmo raccontare lotte e conflitti, cancellati dal linguaggio». La storia degli operai assomiglia un po’ a quella della Fornario: «Il capostruttura di Radio2 mi ha detto che non avrei più dovuto fare satire su Renzi. Non ho firmato il contratto, sono andata in trasmissione e ho eliminato la satira dalla puntata, poi ho spiegato perché. Il capostruttura mi ha detto che non avrei dovuto farlo perché ero legata alla clausola di segretezza. Ma io non avevo firmato e comunque un rapporto di lavoro non cancella il diritto di critica, anche aspro. Me l’hanno ricordato i cinque operai di Pomigliano quando sono venuti a Roma per me, mi hanno ricordato cosa significa diritto di satira».

Infine, una considerazione amara: «Ascanio Celestini ha mandato un video, siamo sempre i soliti a schierarci. Il conflitto fa paura, stare con i deboli fa paura. Ci vuole coraggio: il conflitto c’è, chi non sta da una parte sta da quell’altra».

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ADRIANA POLLICE

da il manifesto.info

foto tratta da Pixabay

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