Il sismologo: “Scosse così altrove non uccidono”

Intervista. Il sismologo dell'Ingv Camassi: "Non servono miracoli, ma risorse. Dove si fa la prevenzione sono contenuti anche i danni. I centri antichi sull'Appennino potrebbero essere adeguati al rischio senza stravolgimenti"

Ieri sera l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) ha informato che la situazione sismica «continua ad essere di forte attività, con molte repliche che si susseguono nelle aree» della scossa delle 3.36 di ieri. «È possibile che nei prossimi giorni ci sia ancora un numero elevato di scosse», aggiungono dall’istituto di via di Vigna Murata a Roma, dove nel pomeriggio c’è stata una conferenza stampa. Ma non chiedete a un geologo di fare previsioni sui terremoti.

Romano Camassi, sismologo dell’Ingv, gli ultimi due grandi terremoti prima di questo hanno avuto epicentri immediatamente a nord (Foligno ’97) e a sud (L’Aquila 2009) di Accumoli e Amatrice. Non bastava una cartina dell’appennino centrale per prevedere questa scossa?
Che sia un’area ad alto rischio lo sappiamo dalle carte della pericolosità: siamo in piena zona uno. Detto questo, i terremoti precedenti non sono così significativi in termini di prevedibilità. Riguardavano settori diversi della catena appenninica. Di faglie attive in quel settore ce ne sono tante. In questo caso, poi, diversamente da quanto accaduto all’Aquila, l’evento principale non è stato preceduto da nulla. È stato l’inizio di una sequenza, che ancora continua.

Proprio nulla? Le mappe che l’Ingv pubblica sul sito evidenziano proprio lì centinaia di piccole scosse negli ultimi mesi.
È un fenomeno quasi costante in quella zona dell’Appennino, piccole scosse che sono registrate solo dalle apparecchiature. Se però lei allarga l’osservazione agli ultimi due, cinque anni vedrà che non c’è una concentrazione superiore al resto della Zona 1.

Secondo l’Ingv è stata una scossa meno potente di quella dell’Aquila, malgrado sia stata anche questa del 6 grado Richter. Ed è stata superficiale, ma è stata avvertita da Napoli al Veneto. Come lo spiega?
In attesa di dati più completi, immaginiamo che sia stato un terremoto meno forte di quello dell’Aquila in termini di energia, misurato in «magnitudo momento»: 6.0 oggi e 6.3 allora. È una misura che la sismologia considera più rappresentativa perché calcolata sull’intero sismogramma e non solo sull’ampiezza massima. Quanto alla profondità, anche questa stima presenta numerose incertezze persino superiori a quelle sull’energia. Penso che alla fine scopriremo che è stato più profondo dei 4 Km stimati inizialmente.

I comuni più colpiti sono in Zona 1, come dice lei. Averli segnalati ad alta pericolosità non è servito a niente?
Per legge in Zona 1 ogni nuovo edificio va costruito in maniera che sia resistente ai terremoti. E ogni volta che si interviene su un edificio già esistente bisogna che sia adeguato al rischio sismico. È obbligatorio. Ma serve il tempo necessario e servirebbero molte più risorse.

I paesi sull’appennino sono tutti centri storici, è realistico pensare che possano essere adeguati al rischio?
Nel giro di qualche decennio si potrebbe fare. Un lavoro progressivo sull’adeguamento e miglioramento sismico è la vera prevenzione. Molto più che insegnare alle persone dove scappare o come proteggersi in caso di scossa.

È vero che le vecchie case in pietra e malta reggono meglio del cemento armato? Per metterle in sicurezza bisognerebbe stravolgerle?
Tendenzialmente non è vero. Hanno bisogno di interventi. Esistono tecniche anti sismiche non troppo costose che rispettano il patrimonio storico. Si può fare, altri paesi lo fanno. Non parlo solo di Usa e Giappone, anche in Cile un terremoto come questo non fa danni sul piano strutturale. E non fa vittime. C’è bisogno però che il nostro paese dedichi più tempo e più risorse agli interventi di prevenzione. Direi almeno un centinaio di volte superiori a quelle attualmente investite.

ANDREA FABOZZI

da il manifesto.info

foto tratta da Pixabay

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