Europa, Italia: la quinta essenza del cinismo politico contro i migranti

Ottomila esseri umani su un’isoletta grande quanto uno scoglio, se paragonata ai continenti. Africa ed Europa si incontrano là, a Lampedusa, dove la sovranità è italiana e dove la...

Ottomila esseri umani su un’isoletta grande quanto uno scoglio, se paragonata ai continenti. Africa ed Europa si incontrano là, a Lampedusa, dove la sovranità è italiana e dove la piattaforma geologico-tettonica è invece tutt’altro.

Centinaia di barchini, con altrettante centinaia di migranti a bordo, oltre il bordo stesso, quasi in mare, si affacciano alle prime coste del nostro Paese. Spinti da politiche governative che premono su altre politiche: quelle di un Vecchio Continente che andrà al voto per il rinnovo del Parlamento di Strasburgo e, quindi, è un po’ un liberi tutti.

Ognuno dei ventisette membri dell’Unione Europea gioca la sua cinicissima partita elettorale anche sulla pelle di questa gente: chi più ne respinge vince la medaglietta presso i propri cittadini votanti di argine al degrado, all’invasione e sostituzione etnica, alla protezione dei valori “giudaico-cristiani“, inventati lì per lì dalle destre di casa nostra, francesi, spagnole, tedesche ed ungheresi, eccetera, eccetera.

Visegrad o no, paesi dell’ovest o dell’est, guerra in Ucraina o meno, la questione migrante torna con forza al centro di uno scenario di disgregazione dell’Unione, checché ne dica la signora Ursula von der Leyen.

Se davvero siamo così vicini al patto compatto, unitario e magnifico sulla gestione prima di tutto tecnica, ma anche sinceramente umana, di coloro che approdano sulle coste di Grecia, Italia, Spagna per cercare una speranza di vita che altrove non trovano, come è possibile che Francia e Germania si blindino e rifiutino qualunque aiuto nei confronti dell’Italia?

La risposta più facile la si trova anche nei comportamenti del governo Meloni e del modo con cui è stata gestita la partita dei ricollocamenti dei migranti giunti negli altri paesi della UE e che, secondo le regole di Dublino, sarebbero dovuti essere riportati nei paesi in cui sono sbarcati.

La risposta, poi, starebbe anche nella questione meramente politico-elettorale: Macron deve fronteggiare i nuovi tentativi di Marine Le Pen di scavalcarlo per arrivare all’Eliseo un giorno e per sopravanzarlo anzitempo al voto del prossimo anno; mentre i tedeschi hanno il loro da fare per cercare di arginare Alternative für Deutschland e, allo stesso tempo, contendersi alcune presidenze dei Lander in bilico tra SPD e CDU.

Non parliamo poi di Polonia ed Ungheria. Qui siamo ad un livello di disumanità che fa il paio con le legislazioni omofobe da un lato, antiabortiste dall’altro, di negazione dei diritti delle minoranze e di coordinamento della giustizia da parte dei poteri esecutivi.

Una situazione oltremodo imbarazzante per Bruxelles e Strasburgo che, nel nome della compatezza continentale contro il Satana comune, oggi ispirato dalla NATO e dagli USA, nella Russia putiniana, mostrano un cauto ottimismo nella ricomposizione delle grandi differenze (eufemismo voluto) tra ovest fondatore della CEE e poi della UE, ed Est che vi si è progressivamente aggregato.

Intanto, quei paesi africani con cui, tronfiamente, i governi occidentali, primo fra tutti quello di Roma, hanno stipulato accordi economici sul gas, sul petrolio, su altre risorse energetiche in cambio di una lagerizzazione della situazione migrante nel nord del Sahel, con i subsahariani che vengono trattati come esseri inferiori, comperati e venduti dai trafficanti e lasciati poi a marcire nei campi-prigione di Libia e Tunisia, tentano la destabilizzazione dell’Europa.

Il fine è abbastanza immaginabile: ottenere ancora maggiori prebende e garanzie sia economiche sia politiche sulla stabilità di entrambi i fattori in una condizione globale ricca di incertezze. Putin ed Erdogan sostengono il governo libico di Tobruk, la presidenza di Haftar, mentre l’Europa appoggia quello di Tripoli.

Il dramma della guerra civile libica lo si vede anche all’arrivo delle catastrofi naturali: gli aiuti internazionali tardano ad arrivare, la contesa tra i mondi influenza soprattutto la sopravvivenza dei più fragili di una terra da cui il colonialismo non è mai veramente stato ributtato a mare. I migranti si trovano in mezzo ad un crocevia di interessi globali e particolari che stritolano le rivendicazioni umanitarie in un gioco perverso di concorrenza del potere politico e finanziario.

Su ottomila arrivi in pochissime ore a Lampedusa, ci sono quasi trecento minori non accompagnati da nessuno. Bambine e bambini caricati su dei veri e propri sandolini a cui soltanto la clemenza delle condizioni meteo ha permesso di arrivare salvi sulle coste italiane. Uno di loro è morto. Uno è nato.

Ma la politica europea, e quella italiana, sono così lontane dai “piccoli” fenomeni di una umanità disperata, spesso costretta ad affrontare rischi che, poco prima di imbarcarsi, erano anche soltanto lontanamente inimmaginabili. La presidente del Consiglio sostiene che bisogna fermare scafisti e migranti prima che partano, bloccare quindi quelli che in gergo vengono definiti i “movimenti primari” (quelli secondari sarebbero gli spostamenti dei migranti dopo l’approdo sulle nostre coste).

Ma per fare questo sarebbe dovuta essere messa in essere una macchina organizzativa, ispirata da una dottrina politica delle condivisione davvero intercontinentale dei grandi problemi a monte delle migrazioni: stipulare dei partenariati economici in cambio dell’instaurazione di un regime di repressione poliziesca (che dà adito a tanti episodi di corruttela e di traffico egualmente illecito di persone…) non è questa grande innovazione umana che si vorrebbe far passare come tale.

A partire da Minniti, il tema delle migrazioni è sempre stato trattato come qualcosa da respingere e non come un problema veramente comune. L’idea, un po’ tutta di destra, estratta dal cilindro dei comizianti durante le elezioni, non da ultimo da Salvini e Meloni, che l’Europa dovesse divenire una sorta di “fortezza” da blindare con blocchi navali, con natanti lasciati al largo per giorni e giorni, al freddo o sotto il sole cocente, produce oggi i suoi frutti.

L’idiosincrasia opportunistica tra i paesi dell’Unione Europea è un gioco al massacro di democrazie che dovrebbero contrastare la xenofobia, il razzismo, l’esclusione e ogni forma di tentazione suprematista nostra nei conronti di chi sbarca dall’Africa sulle coste elleniche, italiane ed iberiche. Invece, sebbe von der Leyen provi a dire che la UE è vicinissima ad un accordo unanime, mai visto prima, sul trattamento reciproco delle persone che migrano, il dato oggettivo è il dramma di Lampedusa.

Persino l’ONU ha preso una posizione di respiro internazionale nel merito: i diritti umani vanno garantiti e, quindi, l’Italia non può essere lasciata da sola ad affrontare questa situazione. Ma, beninteso, possiamo aggiungere noi, una Italia che si adoperi per il rispetto delle convenzioni di cui fa parte, prima fra tutte quella di Dublino.

I migranti, invece, sono ridotti allo status di merce elettorale, di oggetto di un baratto continuo che non consente alle istituzioni europee di darsi la patente di rispetto di una complessità delle esigenze di ciascuno e di tutti; ma, anzi, certifica ancora una volta la completa disarmonia in politica interna, così come del resto in quella estera, di una “unione” che è il contrario stesso del suo nome.

La lotta tutta italiana, invece, prenderà vigore nella contrapposizione tra alleati di governo: le destre unite al voto maggioritario e separate in casa in quello proporzionale europeo. Salvini farà la parte della Lega che ritrova il suo vigore anche nei sondaggi, dove oltrepassa la fatidica soglia del 10%. La parte di chi ha sempre sostenuto con risolutezza la centralità del tema delle migrazioni in quanto di nocumento per diritti civili, sociali, umani.

Il tutto parlando dal pulpito delle ipocrisie, quelle più radicali, più perniciose, quelle che diventano vulgata comune, narrazione – come si usa dire oggi – e quindi costrutto mentale aprioristico e pregiudiziale che è la base fondante di un razzismo di Stato o, per meglio dire, di una parte dello Stato. Un po’ come nell’Ungheria di Orbàn: dove si comprimono le libertà nel nome del diritto di maggioranza che, quindi, sarebbe diritto all’espressione della “normalità” naturale.

Così lontana è l’Unione Europea dal raggiungere una sua costituzione veramente democratica, civile, morale e umana, tanto quanto vicina è invece agli interessi economico-finanziari che devono per forza esigere la divisione di classe e anche etnica, così da sfruttare al massimo tutte le debolezze e trarne i massimi profitti.

Gli effetti collaterali di tutto questo sono le destre al potere, la riduzione delle grandi democrazie del Vecchio Continente, in subappalti ad una visione moderna delle migrazioni come qualcosa di irricongiubile alla loro storicità, all’incontinenza delle stesse, alla impossibile fermata della sempre differente ciclicità dei fatti che si ripetono solo nelle forme, ma nel concreto mutano profondamente.

Migrazioni ce ne saranno sempre. I motivi per cui avverranno invece cambieranno, così come i popoli che saranno costretti a spostarsi. Sembra che tutto questo non appartenga ad una cultura dell’oggettività da parte delle forze reazionarie e conservatrici. La loro (in)cultura è quella della preservazione delle identità nazionali che, anche questa è una lezione della Storia con la esse maiuscola, mutano e si tramutano in altro.

Delle grandi civiltà di un tempo, pochissime possono dire di essere arrivate fino ad oggi: gli italiani non sono certo i romani di Augusto. Possono fregiarsi di esserne i discendenti, ma usi, costumi, lingua, cultura, nemmeno lontanamente sono simili a quella dei popoli a cui la cittadinanza era stata estesa. Lungimirante la politica federativa degli imperatori nell’essere chiaramente volta ad un opportunismo politico-economico.

Tenere insieme i popoli più differenti fra loro è possibile solo se gli si danno uguali diritti e doveri. Una compensazione che oggi non è nelle corde né dei paesi africani, né di quelli europei. Ai migranti si richiedono solo i doveri e adeguamento ad una realtà in cui, se non si muore nei lager libici, se non si crepa in mare, si trova una piccola isola che esplode letteralmente di persone.

Persone che una politica davvero inqualificabile tratta come oggetto di una contesa locale e globale. La quinta essenza del cinismo è servita.

MARCO SFERINI

14 settembre 2023

foto: screenshot ed elaborazione propria

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