Cronache d’estate :: Il tempo delle mele al tempo del coronavirus

Sarà che la voglia di libertà prevarica ogni precauzione, mette da parte i fondamentali tre sacri princìpi di preservazione della debole bolla di contenimento che ci creiamo per evitare...

Sarà che la voglia di libertà prevarica ogni precauzione, mette da parte i fondamentali tre sacri princìpi di preservazione della debole bolla di contenimento che ci creiamo per evitare di essere contagiati dal Covid-19. Sarà pure che l’estate ti trascina, soprattutto se hai meno di vent’anni, ma certamente anche se ne hai venticinque o trenta, per cui i freni inibitori cedono alle pressioni frastornanti delle risate di gruppo, alla voglia di risocializzare, di ritrovarsi e di divertirsi.

In fondo quello che tutte e tutti andiamo cercando è trascorrere il tempo di questa vita con maggiore spensieratezza possibile, anche quando siamo intenti a studiare, a leggere, quando siamo concentrati in ricerche che consideriamo importanti per la nostra crescita individuale, per l’acquisizione di una coscienza critica, per la formazione intellettuale organica che ci deve poter sostenere nell’affrontare l’esistenza.

Quando quello in cui siamo intenti a fare passa, scorre senza alcuna difficoltà, ecco che in quel preciso istante abbiamo tradotto in realtà concreta la nostra essenza interiore, il nostro più intrinseco seme interiore che, di giorno in giorno, ci fa evolvere, trasformare, senza che noi ce ne accorgiamo.

In queste sere estive, tornando alle giovanili età che si incontrano per divertirsi e allontanare la pesantezza di certi pensieri anche soltanto per qualche ora, non è raro trovare frotte di ragazze e di ragazzi che portano la mascherina all’avambraccio, come se fosse un bracciale da servizio d’ordine o una fascia a lutto: solo, ha gli elastici bianchi, generalmente è di colore azzurrino e allora ciò permette di evitare una figuraccia nel mostrare le proprie condoglianze a chi porta quell’oggetto non sul viso, dove dovrebbe stare.

Le ragazze e i ragazzi parlano, si baciano, si abbracciano, scherzano fra loro e, mentre i giorni passano e l’estate entra nel suo pieno sviluppo, la voglia di rilassarsi arriva un po’ per tutti e nemmeno li guardi più con un piglio da rimprovero questi adolescenti a cui cosa mai potresti rimproverare se non di essere troppo amici, troppo sociali e quindi – nella dittatura spietata del coronavirus – colpevoli di mettere da parte le tre regole base per evitare contagi quasi sicuri?

Non esiste nemmeno una meccanica di causa ed effetto così uguale per tutte e tutti, per qualunque ambiente: in sostanza, quello che sappiamo è che una serie di fattori anche casuali sommati ad un tralasciare le regole di base della prevenzione possono aiutare l’epidemia a diffondersi. Così accade nei ristoranti, ma non in tutti: anche in quelli che rispettano rigorosamente le distanze fra i tavoli, l’obbligo delle mascherine per i dipendenti, nessun menu cartaceo, prenotazioni e album dei presenti per rintracciarli nel caso scoppi un focolaio.

Non si potrà mai sapere da dove arrivi il virus, chi sia l’asintomatico che l’ha portato, perché – a rigor di logica e di norme – chi ha la febbre se ne sta a casa e non va a mangiare o a ballare, tanto meno va a cuocersi sotto il solleone balneare o si mette pericolosamente in auto su autostrade dove le code chilometriche sono assicurate anche in assenza di cantieri di ripristino delle volte delle gallerie.

Basta sentire “Onda verde” ogni giorno per avere chiaro il quadro della situazione: alcuni svincoli sono divenuti storici per la presenza ultradecennale nelle citazioni dei conduttori. Nemmeno i dischi dei Rolling Stones, dei Beatles, di Zucchero o Laura Pausini sono stati così tanto citati nelle superclassifiche tanto quanto lo sono Barberino del Mugello o la Salerno-Reggio Calabria.

Come tutti, le ragazze e i ragazzi si calcano in auto, cercano un locale dove andare a bere, una “rotta per casa di dio” che li porti ad una festa. Sì, le mascherine le hanno, magari qualcuna ha nella borsa o nello zainetto un tubetto di gel per disinfettare le mani. Chi è ipocondriaco non ha problemi: la sua Amuchina-gel detergi mani è una presenza fissa cui è impossibile rinunciare.

Le serate passano così, tra un luna park sul mare, una riviera romagnola dal sapore quasi autunnale di un amarcord felliniano pieno di nostalgia del tempo che fu, mentre il volto del tuo pensiero va a sbattere contro la nebbia di un futuro difficile da intravedere. Hai appena scavalcato il crinale di un esame di maturità anomalo, dopo aver studiato due, tre mesi chiuso in casa, e ora a settembre inizierai un cammino universitario. Forse. Forse ancora con il coronavirus a fare da contorno ad un menu di giornate che si preannunciano ancora proibitive per vivere senza tante inibizioni.

Forse ci ha pure riflettuto su quante siano le costrizioni che ci avvinghiano ogni giorno senza che nemmeno ce ne accorgiamo: diamo per scontati tanti comportamenti e poi basta una mascherina per coprirti naso e bocca, per farti sentire con sempre meno fiato, con una difficoltà in più oltre a tutte quelle che avevi immaginato.

Già… l’estate non vi rende giustizia, ragazzi. All’inizio della pandemia ero anche io spaventato, come molti, forse come tutti a parte qualche irriducibile incosciente. Poi è il tempo a farti venire a patti con le ossessioni che nascono dalle paure, dagli spettri che non puoi battere con altri spettri ma solo con la razionalità, con quella grande capacità tutta umana di mettere il proprio cervello, la propria intelligenza al servizio dell’aumento del sapere: la scienza.

Le scoperte scientifiche, gli studi incessanti per arrivare ad un briciolo di sapere in più, sono persino commoventi, perché lì si può osservare in tutta chiarezza la vera e giusta propensione umana al miglioramento dell’esistenza di tutte e di tutti. Senza distinzione di classe. Lì, nel momento in cui un medico si adopera per gli altri, fino a quando non incappa nelle maglie del sistema, delle cure costose, dei ticket da pagare, della sanità privata che risponde soltanto ai dividendi degli azionisti di questo o quell’ospedale.

Le ragazze e i ragazzi che si abbracciano e si baciano, che si salutano non gomito a gomito ma molto più intimamente, sanno che i rischi di contagio ci sono. Ma li esorcizzano così, imprudentemente. Il redarguirli, del resto, vorrebbe dire fare la stessa con gli adulti che sono molto più indisciplinati e menefreghisti e che non hanno alcun alibi giovanilistico da addurre in merito all’evitamento delle protezioni necessarie per stabilire un minimo di separazione tra noi e il virus.

Non si può reprimere proprio tutto. Non ci possiamo reprimere senza soluzione di continuità. E’ disumano. Ma del resto, se vogliamo ritornare a vivere senza barriere invisibili messe lì dalla circolazione di una microbica entità che sta cambiando volto al mondo, qualche limitazione dobbiamo ancora porcela.

La libertà ci è necessaria, anche se rimane sempre irraggiungibile nella sua soggettiva pienezza. Molto più concretizzabile è il raggiungimento di libertà che nascono dalla conquista di diritti sociali, civili di massa. La libertà ci permette di sopportare la vita, di tollerarla e di sfuggire alla sua incomprensione. Valorizzare la libertà vuol dire in questa fase sapersi anche divertire sotto il sole, fare festa e ballare, non rinunciare a vivere. Ma con una mascherina sul volto, senza abbracci e baci, senza strette di mano. Magari ritrovandosi la pelle delle mani sottile, screpolata per i frequenti lavaggi. Sapendo però che così facendo, un po’ per tutti si accorciano i tempi della gabbia del coronavirus.

Anche questa è libertà, perché è rispetto degli altri che si riflette in noi. Le ragazze e i ragazzi lo sanno. Negano a sé stessi di volerlo continuamente sapere. Prima della bolla contro il virus, la prima intercapedine da creare è quella contro tutte quelle ansie che li soffocano molto di più di una mascherina. E’ il tempo delle mele al tempo del coronavirus: non è detto che debba essere una guerra civile con sé stessi. Si può sempre trovare un compromesso, partendo dalla considerazione che la solidarietà sociale, anche in questo caso, deve prevalere sugli istinti e gli egoismi personali.

Sembra proprio l’eterno contrasto tra amore ed amicizia, tra singolare solitudine e irrefrenabile tensione alla condivisione dei sentimenti: come Delia e Gaetano in “Nessuno si salva da solo“. Potremmo rileggerlo il libro della Mazzantini, magari proprio in questa estate, per rivivere gli errori di ognuno di noi, per ripercorrere quelli fatti insieme e per evitare che a prevalere siano i calcoli meramente individuali piuttosto che la felicità reciproca.

MARCO SFERINI

19 luglio 2020

foto: screenshot

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