La repressione dei diritti e le fobie del potere che si conserva

E’ probabile che, se io mi trovassi in Russia, sarei arrestato, processato e portato in carcere dopo aver esposto dal balcone di casa mia una bandiera del movimento LGBTQIA+....

E’ probabile che, se io mi trovassi in Russia, sarei arrestato, processato e portato in carcere dopo aver esposto dal balcone di casa mia una bandiera del movimento LGBTQIA+. Per ironia della sorte, un arcobaleno, rovesciato, ma pur sempre con quasi tutti i colori dell’iride, separabili nella luce e nella luce riconducibili ad una armoniosa unità.

E’ probabile che, dopo aver esposto una bandiera per i diritti umani e civili, contro ogni forma di omotransfobia, sarei la prima volta imprigionato per due settimane e la seconda arrestato con l’accusa di far parte di una “organizzazione estremista“. Il che, nella Russia di Putin, equivale a dire “sovversivo“, “terrorista“, nemico dello Stato insomma.

E’ inoltre probabile che, se dovessi essere riconosciuto colpevole di un reato che ha qualcosa di kafkiano e che, infatti, serve ad uso e consumo di un regime che non tollera la benché minima critica e dialettica opposizione, mi toccherebbe rimanere dietro le sbarre per un periodo dai dodici ai quindici anni. In Italia, chi uccide senza premeditazione, fa, molto spesso, molti anni meno di galera.

Se invece mi trovassi, in questo primo dicembre 2023, in Ungheria, quindi dentro i confini dell’Unione europea, verrei additato come un elemento estraneo ad una comunità nazionale che il governo di Orbán intende sempre di più fondare sulla preservazione della famiglia tradizionale, quindi rigorosamente eterosessuale, dentro il contesto di un cattolicesimo privo di interpretazioni e sfumature moderne, in uno Stato che di liberale non ha pressoché nulla.

Caso mai mi capitasse di vivere in Iran, nonostante i movimenti di liberazione delle menti e dei corpi abbiano fatto grandi passi avanti, se venissi sorpreso a interagire anche soltanto con un uomo e, peggio del peggio, a fare l’amore con lui, entrambi saremmo considerati dei bestemmiatori del Corano, presi e impiccati sulla pubblica piazza; lasciati penzolare ai cappi di alte gru come monito per la popolazione.

Non andrebbe meglio in Cina, e così nemmeno in molti altri paesi tanto occidentali quanto orientali, tanto del nord quanto del sud del mondo, là dove i diritti civili vengono, se non proprio completamente negati, senza ombra di dubbio  molto limitati ed esiste una casistica che separa le persone di fatto, senza fare troppi riferimenti alla Legge.

Le differenze, quando diventano presupposti di critica del potere che le stigmatizza, le ghettizza e ne ha oggettivamente paura, sono mine vaganti per ogni forma di conservatorismo, di xenofobia, di sessismo, di omotransfobia, di razzismo in senso lato. L’uniformità è la migliore garanzia per un potere che pretende di preservarsi dalla considerazione altrui, imponendosi soltanto con la forza e non con il presupposto della ragione, tanto politica quanto sociale.

Putin, Orbán, non di meno Trump, Bolsonaro, gli ayatollah e i presidenti di mezzo mondo, compreso l’argentino Milei che, a parole, sostiene di essere favorevole alle unioni civili tra persone dello stesso sesso, rappresentano un fronte disomogeneo di ancoraggio ad un tradizionalismo che è sentito e fatto sentire come l’unica soluzione nei confronti di una deriva modernista che tende a qualificare ogni singola diversità, mettendo così in pericolo il concetto di “maggioranza“.

I più banali teorici dell’avversione nei confronti dei diritti civili (ed umani), nonché, di conseguenza, di quelli sociali (perché non esiste giustizia senza libertà e viceversa), asseriscono che la fluidità dei sentimenti e dei desideri, della fisicità corporea in cui si traducono attraverso la sessualità, è più che altro frutto di una moda, di una seduzione delle menti operata da chi vuole mettere in crisi i valori eterni di un mondo che si è retto per molti millenni sulla sola legittimità dell’amore tra uomo e donna.

Un po’ come accadde alla Chiesa cattolica quando venne discussa, criticata e poi scientificamente superata la visione geogentrica dell’Universo (e del nostro sistema solare anzitutto), e la stessa curia romana pensava che sarebbe crollata tutta l’impalcatura fideistica, teologica e teleologica che il Cristianesimo aveva costruito nel corso della sua elevazione a potere temporale diretto e indiretto negli affari dei singoli Stati, ciò accade con tanto con le moderne democrazie occidentali quanto con i regimi oligarchici, autocratici e oggettivamente dittatoriali del resto del mondo.

Le fondamenta del potere poggiano non solo su una struttura economica che sostiene le lobbies garanti della stabilità dei regimi, ma si fanno ancora più solide se la convinzione comune della legittimità di quel potere risiede nel diretto collegamento con una sorta di ancestralismo storico che si rimanda alla storia della propria nazione: se, quindi, c’è una specie di discendenza laica tra passato e presente, tra ieri e oggi. Paternamente rassicurante, amorevolmente materna.

Tutto quello che mette in discussione, anche soltanto velatamente, questo schema di perpetuazione del potere come quintessenza degli interessi economici e politici che si compenetrano, deve essere messo in grado di non nuocere. Pazienza se significa negare i princìpi fondamentali di una internazionalizzazione del diritto umano di vedere rispettate le prerogative personali dentro un contesto collettivo plurale e condiviso al tempo stesso.

Pazienza se si fanno enormi, giganti, titanici passi indietro, al di qua dell’Illuminismo, delle rivoluzioni sette-ottocentesche che ci hanno insegnato l’universalità dell’uguaglianza sociale, civile, morale. La grande epopea crudele delle contraddizioni evidenti negli Stati liberali che, ancora fino a pochi decenni fa, ammettevano la segregazione razziale dall’America a stelle e strisce al Sudafrica, per non parlare oggi della condizione del popolo palestinese, non ha finito di raccontarsi al mondo.

Se gli Stati Uniti sono giunti ad un compromesso con loro stessi, ed ancora oggi comunque faticano parecchio a riconoscere pienamente le differenze etniche, sessuali, culturali in tutto il loro territorio in modo omogeneo, altrettanto non si può dire di una serie di recrudescenze che sono state abilmente portate avanti da forze reazionarie nel cuore della vecchia Europa come in Russia, dalle lande desertiche e rocciose dell’antica Persia fino ai paesi arabi e oltre…

Dai diritti delle donne a quelli delle persone LGBTQIA+, dai diritti dei minori, dei bambini che diventano schiavi in Asia, quando non piccoli soldati sparsi nei tanti conflitti africani o oggetto di mercato degli organi da rivendere nei paesi del cosiddetto “primo mondo“, dalla risposta politica alla fame di libertà che esiste nella stragrande maggioranza delle nazioni fintamente fintamente democratiche o vistosamente illiberali, si riconosce oggi la qualità del progresso morale.

Se, durante la Guerra fredda, l’inconciliabilità tra diritti sociali e diritti civili nel campo socialista era il presupposto per una propaganda d’avanguardia in questo senso da parte tanto americana quanto europea, oggi ogni schema di netta contrapposizione è saltato. Il bipolarismo venuto meno con la caduta del muro di Berlino e con l’affermarsi dell’unipolarismo statunitense, ha segnato la fine di un confronto sui temi tra politica e società, soprattutto in Occidente, consentendo al potere di pensarsi e di dirsi aprioristicamente democratico. Qualunque cosa facesse.

Dalle guerre del Golfo ai Balcani, dalla lotta contro il terrorismo jihadista agli interventi neo-imperialisti (e neo-colonialisti) in Africa, per fronteggiare l’avanzata cinese e russa, la democrazia liberale non ha dato il buon esempio; non ha costretto il resto del pianeta a fare un passo avanti in materia di correlazione diretta tra vita sociale e vita personale, tra diritti di tutti e diritti di ciascuno.

La vittoria del capitalismo, anche in questo caso, ha fatto sì che a primeggiare fossero gli egoismi rampantisti, le corse solitarie e non le maratone di massa. E, siccome la globalizzazione ha portato il mercato un po’ ovunque e, ad oggi, non c’è un centimetro della Terra in cui non sia arrivato il capitale liberista, il consumismo sfrenato, la concorrenza sempre più spietata, i centri di potere hanno badato ai loro meschini interessi e hanno sacrificato a questi tutti i diritti che ancora non erano stati conquistati nel corso degli ultimi due secoli.

La storia americana ed europea, così interpretata, ha un vantaggio rispetto alla Russia, alla Cina, all’Iran, ai paesi arabi: non può scrollarsi da addosso quei mutamenti ormai secolari che impediscono, tanto per fare un esempio, di riconsiderare come attuali sistemi assoluti, pulsioni totalitarie, propensioni oligarchiche e autoritarie. Almeno sulla carta sono le costituzioni dei vari paesi ad escluderlo. Nella pratica, come ci insegnano gli esempi di Polonia ed Ungheria, ciò che sta scritto non sempre corrisponde a ciò che viene fatto.

Così accade che, mentre le guerre prendono nuovamente piede, per dirimere questioni pluridecennali di posizionamenti geopolitico-militari dall’Est europeo fino alle storiche criticità mediorientali, la congiuntura sfavorevole, per i diritti civili prende forma e si sostanzia ogni volta che i movimenti libertari dimostrano di valere qualcosa di più rispetto all’effetto dimostrativo che gli si vorrebbe sbrigativamente attribuire.

La decisione della Corte suprema della Federazione russa, di rendere ogni movimento per i diritti delle persone LGBTQIA+ una organizzazione estremista, praticamente illegale, è l’ultima spiaggia di un potere che ha paura della propria ombra, che sopravvive grazie ad un intricato sistema di relazioni interne e internazionali ma che, nei fatti, è sempre meno popolare, sempre più osteggiato seppure nel silenzio di una opposizione obbligata ad una clandestina invisibilità.

Se si vuole davvero abbattere ogni pregiudizio e ogni espressione drastica delle repressioni di Stato contro le differenze di genere, di sesso, di ceto, di cultura, non si può ritenere di arrivare ad una completa liberazione entro i confini del liberismo capitalistico. La lotta contro patriarcato, sessismo, omotransfobia, povertà sociale, culturale e morale, è una lotta anticapitalista.

Questo sistema economico è sempre il punto di partenza delle diseguaglianze e, per questo, non potrà mai esserne il punto di arrivo, il luogo metafisicamente ideale in cui si possa concepire una convivenza tra privilegi e libertà, tra doveri di tutti e diritti di pochi.

MARCO SFERINI

1° dicembre 2023
giornata mondiale per la lotta all’AIDS, contro ogni stigma e discriminazione

foto: screenshot ed elaborazione propria

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