La rappresentanza dei privilegi e del privato si gioca tutta al centro

La coagulazione del neocentrismo iperliberista è iniziata. Vuoi per contrarietà e non per aver saputo scegliere in tempo, come cantava il gigante pavanese, ma tant’è, Calenda che giurava e...

La coagulazione del neocentrismo iperliberista è iniziata. Vuoi per contrarietà e non per aver saputo scegliere in tempo, come cantava il gigante pavanese, ma tant’è, Calenda che giurava e stragiurava per sei milioni di volte (ma non di voti) di non volersi mai e poi mai alleare con Renzi, alla fine ha fatto il salto della quaglia.

Sessualpoliticamente inteso, con l’ormai ex alleato democratico e, invece, nella stretta vulgata politica del detto, ha cambiato repentinamente di campo, ha salvato l’ultrasalvabile, evitando anche di raccogliere quelle firme che forze improvvisate, ma si spera dal lungo futuro, come Unione Popolare devono prendere nelle vie e nelle piazze d’Italia sotto il sole cocente delle Feriae Augusti.

La grande imprenditoria si è mossa, mentre la grande proletaria sonnecchia, sta alla finestra degli accadimenti e dei tanti accidenti che le capitano addosso. Ora la modernissima borghesia italiana ha più chances su cui puntare e anche più tavoli su cui azzardare il gioco. Che per i padroni e i finanziari di casa nostra non è mai veramente azzardo, perché, come un tempo lo si diceva dei preti, anche lor signori cascano sempre in piedi grazie al compiacimento dei governi amicissimi, dei sindacati compiacenti e della mancanza di criticità e di coesione sociale che viene ben disposta da questa grande macchinazione quotidiana.

Non fosse che si crede fermamente nelle proprie idee, che le si considerano giuste e, quindi, da portare avanti e magari da far tornare in Parlamento, spiccherebbe il volo la tentazione di dar ragione a Mark Twain quando affermava che, se veramente le elezioni determinassero un qualche cambiamento sociale, non ce le farebbero fare.

Un gattopardismo a stelle e strisce, forse un po’ pennellato di cinismo, forse frutto più della rabbia rispetto ad una manifesta rassegnazione. Sia o non sia, questa nostra Repubblica e questa nostra Costituzione qualcuno deve provare ancora a difenderle dal punto di vista dei lavoratori, dei precari e dei tanti fragili sociali che subiscono ogni giorno le ripercussioni di una lotta di classe che nessuno finge più di vedere.

Mentre Calenda e Renzi saldano il patto del centro, si stringono la mano e fanno a metà tra seggi e nome nel contrassegno elettorale, si smagrisce la coalizione cosiddetta “democratica e progressista” pur incassando le candidature di un importante economista come Carlo Cottarelli. Ed è proprio per questo che l’inedia prende campo nell’asse dell'”agenda Draghi“, perché Azione e Italia Viva si intestano addirittura il Presidente del Consiglio e ne auspicano il ritorno a Palazzo Chigi quasi senza soluzione di continuità, nonostante il voto.

E’ una gara a chi è più amico delle grandi imprese, dell’alta finanza e degli interessi privati che andranno difesi dal tavolo tondo dell’esecutivo, anche se non si sa bene con quale maggioranza sarà possibile farlo. Il “piano B” di Letta può anche essere “Il partito che ha un voto in più viene chiamato a fare il governo“, ma se poi in Parlamento i rapporti di forza tra le forze coalizzate danno numericamente ragione alle destre… Eh beh, mette male realizzare un piano programmatico quinquennale, ancorché non sovietico ma nettamente piegato alle esigenze del capitalismo di nuovo modello.

Tra il dire e il fare, insomma, c’è sempre di mezzo qualche mare. E il mare magnum della politica italiana che si appresta alla presentazione delle liste per la competizione del 25 settembre è, più che altro, molto simile ad un grande lago di acqua salata, uno spettro acquitrinoso dove alcuni galleggiano, altri si aggrappano e altri invece piombano come sassi sul fondo.

Non tutto, ma quasi, pare giocarsi al centro: se l’astensionismo prevarrà nelle ali, per così dire, estreme dell’elettorato deluso, frustrato e angustiato dalle improbabili prospettive di futuro, la partita potrebbe interessare di più quelle classi sociali che hanno tutto l’interesse a prevalere sulle istanze della povera gente che, nonostante nomi altisonanti e aggettivi di risulta, non vedranno i loro bisogni primi e comuni garantiti dalle politiche che intendono ispirarsi all'”agenda Draghi“.

Così, la partita del centro se la giocano Forza Italia, Noi moderati di Lupi, Toti, Cesa e Brugnaro, Calenda e Renzi, il PD e i suoi alleati di marcata fede europeista, atlantista e completamente devoti ai dogmi del mercato dominante.

La sfida, almeno a sinistra, dovrebbe riguardare il recupero della fiducia e dell’interesse alla partecipazione per milioni e milioni di giovani e meno giovani che non hanno un contratto decente, che non hanno un lavoro altrettanto decente, che rischiano di morire ogni giorno a causa della mancanza della sicurezza nel posto dove stanno ore e ore al giorno per miseri salari, nonché per tutti coloro che non rientrano né nella categoria dell’occupato né in quella del precario, ma sono rubricati internazionalmente come “neet“.

Il poco edificante spettacolo della politica italiana, ma pure quello di tanti altri paesi europei e occidentali, si infrange contro il muro matematico delle cifre che denunciano quasi 75 milioni di giovanissimi (si stima tra i 15 e 24 anni) che non studiano e non lavorano. Le ragioni non sono da ricercare in una troppo semplice accusa di fancazzismo e bamboccionismo: profonde lacerazioni antisociali hanno creato solchi difficilmente rimarginabili, ed in cui queste ragazze e questi ragazzi sono piombati senza nemmeno accorgersene.

Quando il Partito democratico scrive nella sua propaganda elettorale che intende battersi contro la precarietà, per il salario minimo e contro la disoccupazione crescente, dovrebbe allora dire con altrettanta chiarezza se intende farlo mediante quell’agenda draghiana che è il Santo Graal dei sacerdoti del liberismo politico, che è l’esatto contrario di un piano di politiche sociali degne di questo nome.

La lotta fra Calenda, Renzi, Berlusconi, Bonino, Cesa, Toti e anche Letta su chi primeggerà in quanto a nuovo rappresentante dei privilegi delle classi dominanti, del padronato imprenditoriale italiano, sponsorizzandone all’estero le magnifiche sorti e progressive, diventa un punto di inviluppo politico, perché non fa altro che subordinare all’interesse privato le tante necessità pubbliche che riguardano la vita di ogni persona e anche la crescita economica che investe i settori strategici del Paese.

La disperazione sociale non è governabile dal centro, ma è purtroppo gestibile con politiche repressive di destra che mirano alla preservazione dello status quo nel nome ipocrita di una nazione che così viene negata fin nelle sue fondamenta.

Per questo l’alleanza di destra rappresenta un pericolo per l’intera Italia: anzitutto perché non c’è un vero fronte progressista a contrastarla ma solo alleanze posticce unite alla bisogna per cercare di sopravvivere in un Parlamento che, con tutta probabilità, vedrà una ampia (se non schiacciante) maggioranza del vecchio tridente berlusconiano oggi cucinato in salsa meloniana.

Se non è possibile battere le destre oggi sul terreno del voto, è almeno probabile il tentativo di riassemblare una serie di sensibilità politiche, culturali e sociali che ispirino una agenda del tutto opposta a quella di Draghi e che, quindi, facciano da apripista per un nuovo progressismo, per una nuova sinistra sia moderata sia di classe.

L’Italia ha bisogno di un quadro politico semplificato e complesso al tempo stesso, dove lo spirito proporzionalista riprenda il suo vigore e dia alla classe politica quegli strumenti delicati di sviluppo dialettico per gestire gli equilibri di maggioranza e di minoranza, riaffermando così la centralità del Parlamento nella vita della Repubblica.

Il programma di Berlusconi, Meloni e Salvini è l’esatto opposto: Ponte sullo Stretto, nucleare, flat tax, blocco dei migranti, presidenzialismo e autonomia differenziata. Un logoramento delle ultime resistenze verso gli attacchi alle protezioni sociali e ai diritti fondamentali di tutti i cittadini. Purtroppo, il programma e le intenzioni delle forze neocentriste e del PD non sono così adeguati dal poter creare un effetto “contrasto” che mostri alla popolazione di avere a che fare con una vera alternativa ai sovranisti e alle loro manovre incostituzionali e autoritarie dal retrogusto amaro del neonazi-onalismo magiaro e dei paesi di Visegrad.

Unione Popolare potrà non essere, numericamente parlando, così efficace in questa fase da porsi come elemento di contrasto in questo senso. Ma deve aspirare ad esserlo. Deve poter superare le antiche e ormai anacronistiche divisioni tra le piccole forze della sinistra di alternativa e proporsi come quel nuovo aggregato progressista capace di rappresentare i bisogni dei più deboli, dei meno tutelati, dei più discriminati.

Chi potrebbe fermare le destre sta facendo di tutto per consegnare loro il Paese. Chi vorrebbe poterle fermare non ne ha la forza elettorale. Ma, se non altro, rientrare in Parlamento sarebbe già un importantissimo trampolino di lancio, un fulcro sicuro su cui far poggiare le nuove lotte nelle piazze e nelle istituzioni per ridare all’Italia quella sinistra che gli manca da tanto, da troppo tempo.

MARCO SFERINI

12 agosto 2022

Foto di Susanne Jutzeler, suju-foto

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