Granate, gas e pestaggi: Israele assalta la Spianata

A Gerusalemme 150 palestinesi feriti, 400 arrestati dopo un'operazione iniziata all'alba e durata per quattro ore. Raid nelle moschee, spari dai tetti, detenuti a terra con le mani legate. Nei giorni precedenti estremisti ebraici avevano promesso di compiere sacrifici rituali ad al-Aqsa. Anp: «Intervenga l’Onu». Hamas minaccia. I giovani reagiscono con pietre e barricate

L’operazione è cominciata con le prime luci dell’alba. In piena notte, le forze israeliane si sono radunate intorno alla Spianata delle Moschee di Gerusalemme e hanno aspettato. Il terzo luogo sacro dell’Islam era già pieno di fedeli, per la prima preghiera del mattino. Giovani, donne, bambini, anziani: è mese di Ramadan, il digiuno interrotto al tramonto era appena ripreso.

Hanno dato tempo alla preghiera di finire, poi agenti e soldati sono entrati. Le immagini raccontano di un’operazione brutale, tra le moschee imponenti e minute della Spianata.

«Quello che è successo oggi è stato un attacco premeditato e orchestrato, la mobilitazione delle forze di sicurezza per reprimere fedeli senza difese», avrebbe detto ore dopo Sheikh Ekrima Sabri, l’imam 82enne di Al-Aqsa.

Qui si crede che il profeta Mohammed arrivò da Medina in una sola notte, in sella a Buraq, cavallo mitologico, ali e volto umano. Dalla «sacra moschea» a quella più estrema. Si posò su una roccia e da lì ascese in cielo per incontrare Dio a una distanza di «appena due archi». Al-Aqsa è stata eretta intorno a quella roccia.

Secondo i movimenti estremisti ebraici è qui che deve essere edificato il nuovo Tempio, su quello distrutto nel 70 d.C dal romano Tito e di cui resta il Muro del Pianto. Per questo nei giorni scorsi hanno promesso che avrebbero sacrificato agnelli in vista della Pasqua, un rito che è una provocazione politica sopra la miccia accesa che è Gerusalemme.

Le autorità israeliane hanno assicurato: non permetteremo che accada, vigileremo. Poi, alla vigilia della Pasqua ebraica, Pesach, l’attacco giustificato con la presenza di centinaia di palestinesi, rimasti di notte a sorvegliare il luogo sacro.

Alle 5.30 gli agenti sono penetrati dalle varie porte che conducono sulla Spianata, quelle dedicate ai fedeli musulmani e inaccessibili ai turisti, molti di loro si sono arrampicati sulla moschea al-Qibli e da lassù hanno sparato lacrimogeni e granate.

Il bilancio finale è di 152 palestinesi feriti, di cui due in gravi condizioni, e almeno 400 arrestati. Al resto pensano le immagini: granate stordenti, lacrimogeni e proiettili di gomma sparati dagli agenti israeliani nei cortili esterni e nelle sale della preghiera, palestinesi ammassati dentro le moschee, spinti contro il muro e pestati, le millenarie finestre ridotte in pezzi.

Intanto fuori era battaglia: i palestinesi, i più giovani, hanno eretto barricate con quel che potevano e hanno iniziato una fitta sassaiola contro la polizia. Intanto, denunciano i presenti, la polizia israeliana impediva l’evacuazione dei feriti.

«Picchiano tutti, giornalisti, medici, donne anziane, chiunque si trovi sulla loro strada. Non hanno risparmiato nessuno», racconta Fakhri Abu Diab a Middle East Eye. Dopo quattro ore, ripulita la Spianata, gli agenti hanno circondato al-Qibli dove i palestinesi si erano asserragliati, le porte chiuse.

Sono entrati dalla vicina clinica e hanno sparato sul mucchio. Poi i palestinesi messi in fila, in ginocchio, le mani legate dietro la schiena. Portati via, le porte per la Spianata sono state riaperte a decine di migliaia di fedeli arrivati dalla Cisgiordania (chi ha potuto ottenere un permesso per motivi religiosi, i più anziani) e dal resto di Gerusalemme.

Le reazioni sono state immediate. Dure condanne da Giordania e Iran, si è detta «preoccupata» anche la Turchia reduce dal viaggio ad Ankara del presidente israeliano Herzog che ha segnato l’avvio di relazioni sempre più calde con Tel Aviv.

«Uno sviluppo pericoloso e una profanazione di un luogo sacro», «una dichiarazione di guerra», i commenti del portavoce del presidente dell’Autorità nazionale palestinese: «Serve un intervento immediato di tutte le parti internazionali per fermare queste barbare aggressioni israeliane».

«Su Israele pesa la responsabilità delle proprie azioni e dei rischi che comporta (attaccare) il popolo palestinese e chi combatte a difesa di al-Aqsa», ha detto il portavoce di Hamas, Fawzi Barhoum.

Di lotta «che non si ferma contro l’occupazione» ha parlato la Lista araba unita, coalizione palestinese in Israele, mentre al-Ra’am, il partito islamista parte della maggioranza di governo del premier Bennett, ha minacciato di ritirare l’appoggio all’esecutivo.

A Gaza a migliaia hanno manifestato contro l’attacco, lo stesso in Cisgiordania: sarebbero oltre 220 i palestinesi feriti nella repressione delle proteste a Nablus, Jenin, Hebron, Betlemme e nei villaggi.

L’operazione alla Spianata segue linee consolidate, una rapida escalation che ricalca quelle degli anni precedenti. A qualche chilometro di distanza, c’è il quartiere di Sheikh Jarrah, su cui pesa da decenni la minaccia di sgombero di 28 famiglie. La loro resistenza, fisica e legale, lo scorso anno fece il miracolo: unificare un popolo diviso da muri, carte d’identità e occupazioni (dunque resistenze) apparentemente diverse.

Lontano dalle divisioni dei partiti politici, Sheikh Jarrah aveva acceso una miccia che dopo decenni aveva infiammato anche le città a maggioranza araba dentro Israele. Finì con un’operazione militare israeliana sulla Striscia di Gaza: 256 palestinesi uccisi dalle bombe di Tel Aviv (di cui 66 bambini) e 13 israeliani dai missili dei gruppi palestinesi, Hamas e Jihad Islami.

Gli ultimi dieci giorni hanno superato un nuovo limite. In pochi giorni una serie di attacchi compiuti da palestinesi dentro Israele hanno ucciso 14 israeliani. Lupi solitari senza legami con movimenti organizzati, secondo le stesse autorità israeliane, che però hanno reagito con raid nelle città e nei campi profughi della Cisgiordania uccidendo 20 palestinesi (l’ultimo ieri mattina, spirato per le ferite riportate da colpi d’arma da fuoco dell’esercito, il 17enne Shawkat Kamal Abed di Kafr Dan, Jenin).

Sullo sfondo c’è la situazione, apparentemente immutabile ma in continua involuzione, di Gerusalemme. Città internazionale per l’Onu, dichiarata da Tel Aviv (e gli Usa di Trump) capitale indivisibile di Israele, divisa a metà da un muro immaginario – dall’ovest dallo stile occidentale all’est negletto e occupato militarmente –, è in questa città che i governi israeliani hanno concentrato l’attenzione.

Con progetti turistici e musei a cielo aperto, un’archeologia di parte usata come strumento di colonizzazione, sgomberi e demolizioni di case palestinesi, l’allargamento pretestuoso dei confini municipali per inglobare le colonie costruite nella Cisgiordania occidentale, il rifiuto a fornire ai palestinesi servizi decenti e persino la cittadinanza. In mano un mero diritto di residenza, revocabile in ogni momento.

CHIARA CRUCIATI

da il manifesto.it

foto: screenshot

categorie
Palestina e Israele

altri articoli