Draghi in italia e Draghi in Europa: ovvero il consolidamento liberista

Se guardassimo ai rapporti di forza economico-sociali, dovremmo essere certi che lo sciopero generale di oggi può servire a ben poco nel cercare di scalfire anche solo minimamente l’impostazione...

Se guardassimo ai rapporti di forza economico-sociali, dovremmo essere certi che lo sciopero generale di oggi può servire a ben poco nel cercare di scalfire anche solo minimamente l’impostazione determinata del governo Draghi a proteggere la classe imprenditoriale e l’alta finanza, liberisticamente intesi dall’ex banchiere europeo come gli unici capaci di essere il motore dello sviluppo italiano.

Se invece guardiamo alle potenzialità socio-antropologiche, sindacal-associative e alla spinta collettiva che lo sciopero può innescare, ecco che quei rapporti di forza possono anche capovolgersi. Ma serve un lavoro di ritessitura di una rete di interscambi tra tutte le realtà che reclamano più diritti a partire da più giustizia sociale.

Non si tratta di vecchi slogan del passato, bensì di una riattualizzazione di lotte che erano state oscurate dal compromesso costante tra i corpi intermedi e i governi, per la buona pace dei rapporti che intercorrono da sempre tra il centrosinistra e i sindacati, tra questi e i lavoratori. Non si può disturbare troppo il manovratore di Palazzo Chigi, soprattutto se si tratta di un governo considerato “amico“, quindi condiscendente ad ascoltare con attenzione le richieste di redistribuzione delle ricchezze e dei redditi.

L’esecutivo di Mario Draghi è tutto e il contrario di tutto questo, perché riunisce in sé una pluralità di posizioni in materia economica e fiscale che, tuttavia, non impedisce di vedere chiaramente quale sia la linea guida che prevale in sintesi ultima: non la progressività delle tassazioni, nemmeno la riforma dell’orario di lavoro, la sua diminuzione a parità di salari; neppure l’aumento dei salari di una classe lavoratrice che percepisce quelli più bassi in tutta Europa. Per il capitolo pensioni basta ricordarsi che si va incontro alla restaurazione della riforma Fornero e sono molto lontani i 60 anni di età o i 40 di contributi per potersi ritirare dall’attività lavorativa.

Per la prima volta nella sua carriera, Mario Draghi si vede contestato apertamente da una controparte che non è riducibile solamente all’ambito sindacale, e che i sindacati stessi non voglio esaurire in sé stessi: stiamo parlando della grande passa dei produttori, del mondo del lavoro vero, della precarietà e della inoccupazione, del disagio sociale e dell’intersezione che si è venuta a creare tra quella che Maurizio Landini ha chiamato “la pandemia dei bassi salari” e la pandemia vera e propria, quella che ha accorciato le speranze di sopravvivenza per milioni di italiani.

Se c’è una ragione per cui l’Italia oggi merita uno sciopero generale, questa sta proprio nella riattivazione del conflitto per la redistribuzione delle ricchezze, per il ridimensionamento dell’arroganza padronale, mostrando così una energia collaborativa tra tutti i settori del mondo del lavoro in contrapposizione all’asse tra governo e Confindustria, tra governo e finanza nazionale ed europea.

Le contromosse di Mario Draghi sono quelle tipiche di un homo assolutamente oeconomicus, innovatore nell’essere conservatore, molto resiliente (per usare una espressione odiosamente inflazionata), che guarda in prospettiva per assicurare al capitalismo italiano un posto degno tra i direttori della nuova fase continentale post-pandemica che, prima o poi, trascorso il periodo emergenziale, si aprirà.

In questo senso l’asse Draghi – Macron sulla revisione del Patto di stabilità è un segnale importantissimo per valutare cosa attende l’Italia nei prossimi anni. Se, da un lato, i paesi del Nord Europa spingono per una riproposizione pari pari del patto dopo la fase dominata dalle misure straordinarie per la lotta al Covid-19, dall’altro i paesi che affacciano sul Mediterraneo stanno mettendo in discussione dei parametri in cui, oggettivamente, non potrebbero rientrare, mettendo a rischio l’intera tenuta economica dell’Unione europea. Non lo sostiene qualche economista dichiaratamente marxista o anche solo velatamente socialdemocratico: lo sostiene il Commissario per gli affari economici e monetari della UE, Paolo Gentiloni.

I margini stretti del vecchio Patto di stabilità non permetterebbero a Draghi di muoversi liberamente nella modulazione della distribuzione delle centinaia di miliardi del PNRR senza incappare nelle strettoie di obblighi internazionali che solo i cosiddetti “paesi frugali” vogliono mantenere intatti (ovviamente per tutelare i loro esclusivi interessi nazionali a discapito di qualunque discorso comunitario e solidale nella UE).

Ed al contempo non consentirebbero ad Emmanuel Macron di fare quasi lo stesso in una Francia ai nastri di partenza per la partita che si gioca nelle presidenziali. Una serie di convergenze eterogenee che, dal Trattato del Quirinale in poi, hanno avvicinato Italia e Francia che, insieme, ora puntano a consolidare l’alleanza allargandola necessariamente alla nuova (si fa per dire) Germania del socialdemocratico Olaf Scholz. Il nuovo cancelliere pare interessato, molto più di Angela Merkel, a rivedere i parametri del Patto di stabilità: più problematico sarà proporre il tutto in un Bundestag dove il governo semaforo da lui guidato vede una buona componente liberale che guida il ministero delle finanze.

Il draghismo di fine 2021, mentre si affaccia sulla scena la quarta ondata pandemica con la variante Omicron data almeno 3 a 1 sul livello di contagiosità rispetto alla Delta, si tiene in equilibrio mediante la rassicurazione permanente per la grande borghesia italiana, ed anche per una parte del cosiddetto “ceto medio“, di garantire lo sviluppo del Paese attraverso il prelievo fiscale nei confronti della grandezza numerica in superficie rappresentata dal lavoro dipendente, da quello precario e ipersfruttato.

Draghi e i suoi ministri non prendono minimamente in considerazione nessuna ipotesi di tassazione dei grandi patrimoni o di defiscalizzazione solo per chi ha un reddito inferiore ai 50 / 75.000 euro annui. Per finanziare il contenimento dell’impatto delle bollette esponenzialmente rincarate, il Presidente del Consiglio ha attinto dai fondi sanitari e da quelli che servivano a sostenere opere infrastrutturali. Non ha certo imposto una “una tantum” per i ricchi, per coloro che in periodo pandemico hanno – a differenza anche di tanta parte del ceto medio – fatto grandi affari e speculato vergognosamente sulla salute degli italiani.

Chi caricasse lo sciopero di oggi di un potere salvifico, sarebbe prestissimo deluso: anzi, prima di subito. Bisogna avere la consapevolezza che la valenza della mobilitazione è tutta nella possibilità di riattivare il conflitto sociale e di classe, di far sentire a lor signori che dall’altra parte non c’è apatia, indolenza, rassegnazione, ma voglia di farsi sentire, di reclamare dei sacrosanti laici diritti civili e sociali, che si tengono insieme e che governo e parlamento non possono snobbare, ignorare, fare finta di non vedere.

Le grandi manovre per consolidare l’asse Roma – Parigi – Berlino mettono a tacere proposte simili, in merito alla rivisitazione delle clausole del Patto di stabilità, fatte ad esempio dal governo socialista di Pedro Sanchez in Spagna. La linea liberista prevale su quella liberal-socialista: Mitteleuropa versus Europa del Mediterraneo, con davanti l’Africa e di lato un Medio Oriente che richiamano la questione delle migrazioni come uno dei problemi globali che non può essere frenato con i muri dei sovranisti polacchi e ungheresi, con politiche di repressione o con il continuo pagare quegli autocrati moderni tiranni che stanno lì a minacciare costantemente la cosiddetta “democrazia” del Vecchio Continente.

Non c’è differenza tra il Draghi italiano e quello europeo: entrambi sono devoti alla causa del consolidamento del liberismo, con qualche concessione fintamente sociale fatta, si badi bene, con soldi pubblici: mai con un ricorso ai grandi profitti non investiti nell’interesse del Paese intero.

Conta, però, che i lavoratori e i precari, che i disoccupati e gli studenti (coincidenti in gran parte), che i pensionati e tutti coloro che sopravvivono alla fase del liberismo pandemico, percepiscano questa dicotomia: tra loro e non semplicemente un governo, ma un vero e proprio “comitato di affari” della nuova classe dominante, dei nuovi grandi padroni dell’economia e della finanza. Senza complottismi di alcun tipo: ciò che ci serve per riconoscere il nemico è sotto i nostri occhi e a portate delle nostre orecchie. Basta riascoltare gli ultimi discorsi del Presidente della Confindustria o quelli di leader come Matteo Renzi, Antonio Tajani, Enrico Letta, Carlo Calenda, Giuseppe Conte e Matteo Salvini.

Tutti, fatte le dovute differenze, sono concordi nell’affermare che l’operato di Draghi consolida la maggioranza, salvaguarda l’economia nazionale e tutela e garantisce gli imprenditori, demiurghi del benessere collettivo… E’ la grande maggioranza di “unità nazionale” che imbarazza il PD e Articolo Uno in questa giornata, perché il dilemma della pseudo sinistra del centrosinistra è come conciliare la lotta e il governo, quando questo vuol dire aver scelto di stare con il mondo delle imprese a Palazzo Chigi e in Parlamento, per poi mostrarsi interessati a proteggere i diritti del mondo del lavoro nelle piazze.

Questa ambiguità – che è tale solo di nome – andrebbe risolta da una nuova proposta antiliberista e anticapitalista: da una nuova sinistra di classe in questa Italia dove a rappresentare le destre sono i sovranisti neonazi-onalisti, mentre a rappresentare il progressismo sono forze politiche che lo subordinano agli interessi del mercato, ad una visione privata della società, dove il bene sociale è dipendente dagli indici di borsa e dalle quotazioni azionarie.

Forse lo sciopero generale potrà servire anche a questo: a permetterci di superare i piccoli recinti in cui siamo, a ripensarci come comuniste e comunisti, come donne e uomini di una sinistra di alternativa che deve ritrovare sé stessa mediante una weltanschauung che rimetta al centro di tutto il conflitto di classe, l’impossibile convivenza di capitale e lavoro in una società dove si moltiplicano le emergenze, dove il tempo stringe, dove i bisogni sono sempre più grandi e insoddisfabili.

MARCO SFERINI

16 dicembre 2021

foto: screenshot

categorie
Marco Sferini

altri articoli