Armi, migranti e MES: i democratici vanno alle “larghe intese”

La eco delle note di “Imagine“, suonata dalla segretaria del PD Elly Schlein nello studio televisivo di Alessandro Cattelan, è già dispersa nell’aere mentre alla Camera si votano le...

La eco delle note di “Imagine“, suonata dalla segretaria del PD Elly Schlein nello studio televisivo di Alessandro Cattelan, è già dispersa nell’aere mentre alla Camera si votano le mozioni sull’ennesimo pacchetto di armi da consegnare all’Ucraina per continuare quella che, ufficialmente, è la difesa ad oltranza del popolo aggredito e che, ufficiosamente, è la guerra tra due blocchi imperialisti che se ne infischiano beatamente delle sorti della povera gente che muore sotto le bombe, i missili, i cingoli dei carri armati.

Si vede che la sonata della neo segretaria era davvero flebile se non ha persuaso i democratici a votare a favore della mozione presentata da Movimento 5 Stelle e Alleanza Sinistra – Verdi. Forse quella celebre canzone di Lennon è sembrata pure troppo stonata riferita alla politica della pragmaticità, del senso di responsabilità verso la comunità internazionale, addirittura, magari, verso la Storia stessa.

Ma si spiega altrimenti il voto di assenso dato, invece, alla mozione del Terzo Polo che impegna il governo «a proseguire nel programma di sostegno politico, militare e finanziario» a tutto tondo nei confronti del governo di Kiev, in perfetta continuità con i progetti degli Stati Uniti e dell’Alleanza atlantica.

La lotta per la democrazia mica fa sconti! Se la si doveva esportare in Iraq, in Siria, in Somalia, in Libia, in Afghanistan, volete che non la si voglia proteggere in Ucraina, dove i partiti di opposizione vengono messi fuori legge e dove si fanno spallucce in merito alla guerra contro il Donbass che dura da un decennio a questa parte?

Troppa grazia sarebbe stata anche soltanto vedere il PD dividersi per un sussulto di coscienza, per un avvicendamento tra la presuntuosa realpolitik moderna e la condivisione dei valori costituzionali di messa al bando dell’interventismo preventivo, del soccorso imperialista americano, dello scontro fra i blocchi del capitalismo internazionale, oligarchici o pseudo-liberali e democratici che siano.

Di prendere in considerazione il voto a favore della mozione pentastellata, ecologista e progressista che invitava il governo e l’Italia intera ad essere «capofila di un percorso di soluzione negoziale del conflitto che non lo impegni in ulteriori forniture di materiali di armamento» nemmeno l’idea. La posizione parlamentare più avanzata in chiave pacifista e diplomatica era quella di Sinistra Italiana che chiedeva lo stop all’invio delle armi.

La risoluzione presentata da Richetti fa convergere il PD sulle proposte del Terzo Polo (e pure della maggioranza di governo) in merito a migranti e MES: a parte alcuni aggiustamenti sui balneari e sulla riforma elettorale dell’Europarlamento, tutto il resto viene condiviso da un ampio schieramento interclassista che si esprime dai democratici fino a Fratelli d’Italia.

E’ molto difficile, davvero tanto, poter immaginare che il nuovo corso immaginato con l’avvento di Elly Schlein possa controvertire tutto questo: ammesso che sia veramente intenzione sua farlo e farlo nei modi in cui si è espresso il programma scritto per vincere le primarie e dare al PD una parvenza di nuova sinistra moderna al posto del centrosinistra di vecchio modello.

Ma cosa davvero di innovativo si può riscontrare nel comportamento dei gruppi parlamentari democratici? Forse una soluzione di continuità con le politiche liberiste espressione dell'”agenda Draghi” prima e della cosiddetta “messa a terra del PNRR” poi? Forse un nuovo modo di intendere il ruolo dell’Unione Europea riguardo tanto alle questioni interne del nostro Paese quanto alla politica estera e, nello specifico, della grossa grana della guerra in Ucraina? O forse, ancora, un atteggiamento finalmente unitario coi Cinquestelle e la sinistra moderata ed ecologista di Bonelli e Fratoianni?

Nulla di tutto questo. Il PD rimane, almeno per il momento, il partito di un progressismo anomalo, incoerente con sé stesso se intende farsi chiamare così, risolutamente caparbio nel non prendere le distanze da un compatibilismo inquietante con le forze peggiori del liberismo centrista ed anche con quella destra di governo che, nei discorsi parlamentari a favore di diretta televisiva sul digitale terrestre, viene attaccata energicamente, sembrando quasi di avere davvero in Parlamento una opposizione degna di questo nome.

Più che legittimamente, alcuni quotidiani si interrogano o, per meglio dire, affermano che siamo ad una sorta di ritorno intermittente delle “larghe intese“.

La convergenza tra PD, Terzo Polo e maggioranza di destra su temi non certo di poco conto come l’invio delle armi, il MES e le politiche di redistribuzione dei migranti, come altrimenti può essere descritta in un titolo veloce, in una locuzione che faccia comprendere istantaneamente davanti a cosa ci troviamo, se non con un ritorno all’immagine dell’ammucchiata di unità nazionale, della convergenza dei presunti opposti nel nome di un bene comune e universale che mai e poi mai si è visto?

L’effetto “recupero” dei consensi da parte del PD, grazie alla volata progressista schleiniana delle primarie, finirà per esaurirsi ben presto se i democratici procederanno in questa maniera o, se non altro, si stabilizzerà in attesa che le condizioni di un’accantonamento delle disillusioni si facciano velatamente più concrete e regalino ancora una briciola di speranza ad un popolo che ha tentato di credere nel cambiamento al vertice di un partito la cui causa è riposta nella conservazione degli equilibri di un sistema che depreda la povera gente e arricchisce quella già abbondantemente benestante.

Come è pensabile “fare come in Francia” se la sinistra moderata e riformista, quella che non ha mai smesso di essere più centrosinistra che altro, non sceglie di stare dalla parte del lavoro, degli sfruttati e, seppure senza un’orizzonte di alternativa anticapitalista e antiliberista, non fa politica partendo da questo punto di osservazione e di critica, sostenendo quindi una ripresa del conflitto e della coscienza di classe, ma si convince di continuo a supportare la compatibilità tra capitale e lavoro in una scia di compromissione irrefrenabile?

La creazione di un fronte progressista, fatto da comunisti, socialisti, ecologisti, riformisti ed anche da una larga fetta del cattolicesimo di base, non sarebbe impensabile se non ci trovassimo ancora nella condizione di dover fare i conti con l’anomalia sempre e soltanto tutta italiana rappresentata dal PD: che sui diritti civili guarda al progresso e su quelli sociali guarda alla conservazione, quando non anche alla regressione.

E’ sufficiente ripercorrere a ritroso la storia di questo partito per rendersi conto della sequela di contraddizioni che ha inanellato nel corso del tempo e dei governi che ha sostenuto e promosso.

Dunque, rifacciamoci la domanda: è pensabile attendersi dal PD di Elly Schlein, che vota in Parlamento per l’invio di armi all’Ucraina su una mozione di Calenda e Renzi, approvata dal governo di estrema destra, che sostiene il testo di Richetti su politiche atte a «promuovere una maggiore cooperazione tra i Paesi europei per il controllo delle frontiere» e »la definizione di schemi di redistribuzione dei migranti tra i Paesi europei maggiormente efficaci e non su base volontaria», una svolta progressista?

Chi può rispondere seriamente a questa domanda dovrebbe meritare una laurea honoris causa magna cum laude! Il dilemma è davvero inquietante se si pensa ai tanti danni che l’esecutivo di Giorgia Meloni sta riversando sul Paese.

Se questo atteggiamento da “larghe intese” un po’ ritrovate dovesse ripetersi anche per questioni concernenti le controriforme costituzionali, sulle proposte presidenzialiste e su altri progetti di adeguamento della sostanza dello Stato ad una forma meno egualitaria tra i poteri, soprattutto per lasciare più campo libero all’azione del governo? Cosa farà quel PD che ha ancora al suo interno moltissimi di coloro che promossero e sostennero il tentativo di dimezzamento e depotenziamento delle Camere messo in atto col referendum di Renzi e Boschi?

La Francia si allontana sempre di più come esempio di convergenza delle lotte, tanto se si guarda a questa inettitudine della presunta sinistra riformista italiana quanto ad una azione sindacale che, nel ritrovare l’unità tra CGIL, CISL e UIL, per ora congela anche solo l’idea dello sciopero generale e parla, al massimo, di mobilitazioni locali.

La parola “sciopero” dà noia in particolare al sindacato più centrista e più predisposto alla concertazione, mettendo in secondo piano tanto la contrattazione quanto, così, i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori e di tutto quell’arcipelago di precarietà che fa affondare sempre di più la miseria in sé stessa.

Se, quindi, come diceva Totò, è la somma che fa il totale, allora i numeri che se ne ricavano sono altamente insufficienti per pensare ad una stagione primaverile di lotte contro la guerra, contro il carovita, per una riconfigurazione complessiva dei diritti di un mondo di sfruttati che scelgono la rassegnazione alla mobilitazione, la fuga all’estero all’impiego in mansioni che – oggettivamente – mortificano sempre di più gli studi universitari e non lasciano intravedere nessun futuro degno di sorta.

La denuncia di questo immobilismo compatibilista non basta a scuoterne le fondamenta. Sono cambiati, dalla fine dei grandi partiti di massa, i referenti sociali (ed antisociali) a cui votarsi per rimanere nell’area di aspirazione al governismo tout court.

Se davvero Elly Schlein vuole mostrare e dimostrare di fare del PD qualcosa di diverso da sé stesso, per lo meno inizi a votare contro l’invio di ogni armamento alla guerra che alimenta la guerra; ad allontanarsi dall’Europa dei Macron e degli Scholz e a pensarsi come un partito progressista soltanto se rimette in discussione il dogma capitalistico, la sua finitudine, la sua imperturbabilità, la sua imperiturità.

Missione quasi impossibile, mentre la sinistra di alternativa langue e, a parte troppa politica sui social, non riesce a mobilitare niente e nessuno, ad essere anche piccola leva di convincimento ad un cambiamento nella prospettiva di riconquista degli spazi e dei diritti sociali (e civili). Unione Popolare è necessaria, così come è ancora Rifondazione Comunista che, con tutte le sue ristrettezze, rimane un piccolo punto di riferimento per chi esercita una critica radicalmente risoluta e vuole portarla avanti.

Ma non è sufficiente a dare uno sbocco anche minimo alle lotte, a farle convergere, a far cambiare soprattutto idea a chi pensa ancora che il PD, soprattutto dopo l’arrivo di Elly Schlein, possa essere nettamente qualcosa di distinguibile dal suo recente passato, dal suo progetto originario interclassista e, pertanto, non certo amico del lavoro e dei moderni sfruttati.

La partita rimane apertissima. Soprattutto perché in campo a giocarla sono davvero in pochi.

MARCO SFERINI

24 marzo 2023

Foto di cottonbro studio

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