La colpa comune dei disastri ambientali

L’alluvione che ha colpito Genova e l’entroterra è l’ennesima dimostrazione che, preavvisi o non preavvisi, lo sfogo della natura fa purtroppo il suo corso davanti alla devastazione del territorio...

L’alluvione che ha colpito Genova e l’entroterra è l’ennesima dimostrazione che, preavvisi o non preavvisi, lo sfogo della natura fa purtroppo il suo corso davanti alla devastazione del territorio e davanti alla incuria della sua messa in sicurezza da parte di una burocrazia che si rimpalla le responsabilità e non riesce a mettere in cantiere (per via dei finanziamenti non approvati) una canalizzazione di scolo delle acque di un fiume come il Bisagno che, per fortuna, non è il Po e nemmeno il Tevere.
Nella vicenda genovese, appena poche ore dopo la tragedia della morte di un uomo e la devastazione che le acque hanno portato con impeto maggiore rispetto al 2011, si inseriscono una serie di populistiche polemiche che vorrebbero attribuire la responsabilità al Comune (lungi da me il fare l’avvocato del diavolo per Marco Doria e la sua giunta) e al sindaco che era a teatro.
Solo un sindaco incosciente e in mala fede sarebbe andato tranquillo al Carlo Felice a seguirne la prima sapendo che sarebbero arrivati più di 265 millimetri d’acqua in poche ore sulla sua città.
E’ evidente che i modelli matematici di previsione del tempo usati dall’Arpal questa volta hanno sbagliato o non sono riusciti ad elaborare una dinamica certa e comprensibile nel tempo utile per approntare le anche minime misure di cautela e tutela degli abitanti e del territorio.
Mancanze, errori, lacune ce ne sono e ce ne saranno sempre. Ed è francamente pretestuoso affermare che la colpa è del sindaco Doria. Forse può servire a calmare la rabbia per la propria attività alluvionata completamente nel giro di tre anni. Forse può servire ad esprimere il dolore di pancia che inevitabilmente sopraggiunge davanti ad un disastro che lascia Genova paralizzata dal fango, dalle sterpaglie e dagli alberi piombati dall’alto delle colline fino alla Foce. Può servire. Ma non è la risposta giusta. E forse non esiste nemmeno un’unica risposta per quanto è tornato ad avvenire nel giro appunto di pochi anni.
Ma una cosa si può affermare: aver costruito accanto agli argini dei torrenti e dei fiumi, sempre più a monte e anche a valle, non ha certamente aiutato il territorio, anzi proprio il terreno, ad assorbire e trattenere la furia delle acque e ha invece provocato una impermeabilità delle pareti di defluizione dei fiumi che arrivano come delle vere bombe giù per chilometri fino a quando esondano nel pieno centro di Genova, nella centralissima via XX Settembre che – per chi conosce un po’ l’antica capitale della repubblica marinara – è una via che difficilmente si può immaginare allagabile nel modo in cui è invece avvenuto.
E’ un piccolo Bisagno che si getta verso la zona della stazione ferroviaria di Brignole e si congiunge con il fiume vero e proprio che arriva da Marassi e dall’Alta Val Bisagno.
I fatti sono sotto gli occhi di tutti: degli ambientalisti si ride ogni qual volta lanciano un allarme rispetto alle condizioni di depauperamento delle zone boschive a causa di nuovi insediamenti edilizi. Si maledisce la politica in genrale senza conoscere minimamente le responsabilità dei singoli enti.
Si procede a tentoni. Sempre. Senza sapere nulla del governo del proprio Paese, della propria città. Ci si disinteressa completamente degli affari civici e poi quando accade una tragedia, si assalta “il Palazzo”.
E’ anche questo modo di vivere la politica che ha reso la gente sorda all’ascolto di spiegazioni meramente tecniche e rabbiosa, senza la minima capacità di fermarsi un attimo a comprendere il mondo in cui vive, le necessità di una natura strangolata dagli interessi economici per cui tutto è sacrificabile, tutto è edificabile.
Gronda, Terzo Valico? Basterebbero queste tre parole a rendere bene il dramma della contrapposizione tra le cosiddette “grandi opere” e il minimalismo con cui si tratta il territorio limitrofo in cui si vive.
La mobilitazione permanente contro questi progetti ha preso la forma di una lotta continua simile a quella dei No Tav in Val di Susa ed è quotidianamente alimentata dalla generosa diffusione della criticità contro le speculazioni che aggrediscono valli e montagne, città e borghi, da un numero di cittadini che hanno rischiato e tutt’ora rischiano denunce, processi e quindi devono affrontare anche notevoli spese legali per difendere una lotta giusta e sacrosanta.
Una fotocopia delle lotte contro il ponte sullo stretto, le basi americane in Sardegna, il Mose a Venezia.
In nome del profitto, della guerra o di interessi che valicano anche le Alpi, lo sviluppo sostenibile che possa comprendere vita umana, vita animale e vita vegetale è stato messo in discussione e ridotto ad una variabile dipendente dagli andamenti degli indici di borsa sui titoli delle ditte che perforano con le talpe le colline per fare le gallerie dove dovranno passare sempre più veloci treni e autostrade.
Per una volta diciamo chiaramente che non è responsabile solo l’amministrazione comunale o quella prefettizia per quanto è avvenuto. Viene da citare Fabrizio De Andrè, proprio nella sua amata Genova: “Anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti”. Tutti quanti.

MARCO SFERINI

redazionale

foto tratta da Pixabay

categorie
EditorialiMarco Sferini

altri articoli