Gli Stati uniti si avvicinano all’appuntamento chiave del midterm come un paese che stenta a risolvere le domande fondamentali sulla democrazia sollevate da Trump e dal suo movimento che controlla il partito Repubblicano. Ed è quella corrente “post democratica” che si appresta secondo i sondaggi a riprendere il controllo di almeno una camera del Congresso.

Per riprendersi il Senato basta appena un senatore in più; per controllare la Camera il Gop deve riconquistare 5 seggi. È consolidata tradizione che nelle consultazioni di metà mandato il partito del presidente subisca la rimonta del partito d’opposizione. Tanto più plausibile quest’anno in cui le elezioni cadono nel mezzo della peggiore crisi inflazionistica in 40 anni che non ha certo migliorato la disposizione degli elettori rispetto ai governanti in carica.

Lo scalpore attorno all’abolizione del diritto all’aborto ha in parte risollevato le prospettive democratiche ma i pronostici più accreditati prevedono che almeno alla Camera prevarrà il Gop, instaurando una nuova maggioranza che rappresenterebbe la destra più radicale della storia nazionale. (Come in Italia anche qui la legge elettorale ha l’effetto di ingigantire il peso parlamentare della destra rispetto ai consensi effettivi, ma questo meriterebbe un discorso a parte).

Cosa comporterebbe anche solo una camera repubblicana? Quando nel 2014 il Gop tornò a controllare il Congresso, la strategia dichiarata fu, come disse allora il leader della maggioranza Mitch McConnell, di «far fallire» la presidenza Obama. Fra gli altri obbiettivi vi fu quello di impedire ad Obama di nominare un togato alla Corte Suprema, premessa per la successiva conquista conservatrice del tribunale costituzionale.

Allora il partito subiva forti pressioni da destra da parte del Freedom Caucus, il gruppo parlamentare del Tea Party che aggregava i primi vagiti di nativismo, integralismo e malcelato suprematismo nel movimento precursore di Trump. Ma un Congresso targato Maga promette di esprimere livelli di fanatismo e intransigenza non sperimentati nemmeno nel regime dell’ex presidente. Più della metà dei candidati repubblicani ad esempio continuano a diffondere la mistificazione sulle “elezioni rubate” che portò al tentato golpe del 6 gennaio.

Rappresentati da esponenti come Marjorie Taylor Greene, Matt Gaetz, Lauren Boebert e Josh Hawley, gli eredi “spirituali” di Trump hanno normalizzato l’agenda estremista: famiglia tradizionale, idolatria delle armi da fuoco, integralismo religioso. E hanno adottato lo stile sfrontatamente impenitente e provocatorio che caratterizza le nuove destre. Approdati in parlamento come delegazione minoritaria ma rumorosa, in un nuovo Congresso potrebbero rappresentare la corrente maggioritaria decisa ad ostruire Biden con ogni mezzo.

Taylor Greene, eletta in un collegio bianco della Georgia fu inizialmente fonte di imbarazzo per il partito e rimossa dagli incarichi ufficiali a causa delle minacce di violenza sui propri canali social e l’adesione ai complottismi di Qanon oltre che per il suo stalking in diretta della collega Alxandria Ocasio-Cortez. Oggi è addirittura considerata papabile per la vicepresidenza di un eventuale Trump bis. Il suo caso è paradigmatico della deriva fanatica sdoganata dal partito.

All’atto pratico un ordine del giorno Gop forzerà probabilmente una serie di votazioni “dimostrative” su leggi e misure destinate a provocare il veto di Biden, ma anche a mantenere alto il livello di motivazione nella base e della conflittualità di cui si nutre la campagna elettorale permanente che è marchio di fabbrica della neo destra. Fra le probabili proposte vi saranno limiti federali all’aborto, norme contro gli atleti transgender e diritti Lgbtq.

Un’altra probabile tattica sarà di imporre tagli alla spesa pubblica con il ricatto dello shutdown, il default provocato dalla mancata approvazione del bilancio. Una Camera repubblicana avrebbe inoltre piena facoltà di convocare commissioni di inchiesta.

Esponenti Maga come McCarthy (probabile prossimo speaker) e Taylor Greene hanno già promesso inchieste parlamentari, non solo su Biden «e la sua famiglia», ma su Fbi, ministeri dell’educazione, giustizia, energia, sanità e tutti i democratici per «abuso di potere». Da gennaio sarebbero assicurate “spedizioni punitive” quali indagini sugli attuali membri della Commissione del 6 gennaio e possibilmente procedure di impeachment contro lo stesso Biden.

Una incognita importante riguarda la guerra ed il suo finanziamento. Kevin McCarthy ha di recente preannunciato «la fine dell’assegno in bianco» per l’Ucraina. In una situazione speculare a quella italiana, questa è la pratica più divisiva per la destra americana, spaccata fra antico riflesso antirusso da falchi di guerra fredda e fisiologica affinità per le crociate “culturali” (ed il razzismo) di Putin.

L’affermazione di McCarthy indicherebbe che, pur prevalendo per ora la corrente interventista, il neo isolazionismo promette di avere quantomeno maggiore voce in capitolo, e possibilmente ipotecare l’alleanza atlantica.

Se torneranno padroni del Congresso, i «semi fascisti» per citare Biden, avranno in mano un asse che comprende la Corte suprema e gli stati “ribelli”, come Florida e Texas, già trasformati in laboratori avanzati di post democrazia. L’obbiettivo principale sarà preparare il terreno al “secondo avvento” di Trump, con tutto ciò che ne consegue – in America e nel mondo.

LUCA CELADA

da il manifesto.it

Foto di Michael Judkins