Referendum, ipotesi rinvio. Verso l’”election day” a maggio

Riforma costituzionale. Campagna elettorale impossibile, i 5S ritirano le obiezioni. Ma il comitato del No: niente accorpamenti. I soli precedenti di spostamento riguardano quesiti abrogativi, e mai per decreto legge

Rinviare in extremis il referendum costituzionale del 29 marzo. Il governo, che prima dell’emergenza Coronavirus aveva anticipato al massimo la data della consultazione sul taglio dei parlamentari, cercando in questo modo di garantirsi una stabilità, si avvia a prendere questa decisione, ora che l’epidemia ha cambiato anche le prospettive politiche. L’ultima indecisione riguarda il segnale che il paese darebbe all’estero, proprio adesso che la Farnesina annuncia una campagna per spiegare ai turisti che da noi tutto procede regolarmente. Cancellare con all’ultimo momento una votazione nazionale non offre esattamente l’immagine più serena.

L’impossibilità di svolgere la campagna elettorale in almeno tre regioni del nord e la complicazione di dover aprire per i seggi molte scuole che prevedibilmente resteranno chiuse a lungo suggeriscono la strada del rinvio. Lo chiedono con più o meno convinzione diversi comitati del No, anche in considerazione del fatto che la campagna non è mai partita. Ieri il ministro per i rapporti con il parlamento D’Incà ha lasciato intendere che l’orientamento è questo – «decideremo entro giovedì» – ma ha aggiunto che nel caso il referendum sarà accorpato con le elezioni amministrative. In realtà ha detto «con le regionali a maggio», ma la data delle regionali la decidono appunto le regioni: il governo potrà al più stabilire un election day con il referendum per il 17 maggio (prevedibile primo turno delle comunali) o il 24 maggio (ballottaggio), chiedendo poi alle sei regioni dove si vota di adeguarsi. Gli unici contrari al rinvio del referendum, ansiosi di incassare una vittoria sulla loro riforma bandiera, erano i 5 Stelle. Fino a che ieri sera Crimi ha detto che non si opporrebbero a un rinvio «ma solo per motivi tecnici, non politici», ovviamente. Il comitato composto dai senatori che hanno raccolto le firme per il referendum è invece contrario all’abbinamento con altre elezioni.

Di rinviare il referendum costituzionale si era parlato in occasione del voto sulla riforma Renzi del 2016 – per le difficoltà di votare nelle regioni del centro Italia colpite dal terremoto – ma alla fine la data del 4 dicembre fu confermata (e la riforma, com’è noto, bocciata). Così gli unici precedenti di referendum rinviati riguardano referendum abrogativi. Nel 1987 fu consentito lo svolgimento di cinque quesiti sulla responsabilità civile dei giudici e sulle centrali nucleari nello stesso anno delle elezioni politiche, ma a novembre e non nell’intervallo previsto dalla legge sui referendum (15 aprile-15 giugno). Il rinvio fu disposto con una legge ordinaria di iniziativa del governo Goria approvata in appena due giorni con l’appoggio dell’opposizione comunista. Anche nel 2009, governo Berlusconi, il rinvio di una sola settimana rispetto alle scadenze di legge fu deciso con legge ordinaria, approvata in pochi giorni con il voto favorevole del centrodestra e l’astensione del centrosinistra. In quel caso l’abbinamento del referendum con il secondo turno delle elezioni provinciali e comunali non bastò a raggiungere il quorum nazionale (fu raggiunto solo in alcune, non tutte, le città che votavano per il ballottaggio).

L’unico precedente che si può richiamare per una modifica in corsa delle regole elettorali per decreto risale al governo Dini, quando a poco più di un mese dalle elezioni politiche del 21 aprile 1996 si cambiarono le modalità di espressione del voto sulla scheda elettorale. Prima del decreto, il ministro dell’interno dell’epoca si preoccupò di raccogliere il consenso di tutti i gruppi parlamentari, convocandoli al Viminale. La riunione si tenne l’8 marzo e quel ministro – non è uno scherzo – era il prefetto Coronas.

ANDREA FABOZZI

da il manifesto.it

foto: screenshot

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Politica e società

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