Quattro colpi di pistola nell’Europa senza un volto democratico

L’attentato quasi mortale al primo ministro slovacco Robert Fico porta alla mente i tempi in cui, sul finire dell’Ottocento, e con l’approssimarsi ormai del Secolo breve, mazziniani alla Orsini...

L’attentato quasi mortale al primo ministro slovacco Robert Fico porta alla mente i tempi in cui, sul finire dell’Ottocento, e con l’approssimarsi ormai del Secolo breve, mazziniani alla Orsini prima e anarchici poi gettavano bombe sotto e sopra le carrozze dei potenti, vi si avventavano con pugnali per assassinare questo o quel capo di Stato, presidente, re, regina, imperatore o imperatrice che fosse.

Questa è stata la prima impressione. A memoria ricordo il mahatma Ghandi ed Indira Ghandi, Olof Palme, Itzak Rabin, Shinzo Abe, un Duomo di Milano in miniatura spaccato sulla bocca di Silvio Berlusconi, l’attentato a Cristina Kirchner e, una coltellata presa da Bolsonaro qualche anno fa. Ognuno di questi fatti ha qualcosa di simile e molto di diverso dagli attentati che i libertari otto-novecenteschi mettevano in pratica contro aristocrazie consolidate.

Le similitudini stanno nei gesti: colpi di pistola, coltelli, aggressioni a mano tesa e diretta. Le differenze riguardano tutto il resto, a partire dalla singolarità degli episodi che vanno, uno per uno, contestualizzati con estrema precisione; soprattutto per evitare di stabilire delle premesse che farebbero parte di nessi tutt’altro che tali.

Di sicuro l’Europa che si avvicina al voto dell’8 e 9 giugno è un caleidoscopio di politiche interne che mescolano tensioni nazionali con crisi economico-ambientali, pulsioni populiste con spinte di estrema destra, conservatorismi liberali e slanci liberisti, senza riuscire minimamente ad intravedere un fronte comune tra i Ventisette su quelli che sono i temi fondamentali della vita dei cittadini: da una riconsiderazione complessiva di uno stato-sociale che protegga dagli effetti dell’economia di guerra fino alla tutela dei più elementari diritti umani.

Proprio la vicinanza della guerra, anche in termini di confini ma anzitutto sul piano della politica internazionale multipolare che strattona l’Europa da est e da ovest, scompagina i vecchi schemi su cui il Parlamento e la Commissione, non di meno la BCE, si erano fino ad oggi prodotti in una sorta di equilibrismo fra le forze socialdemocratiche e quelle ancora più moderate di un centro privo di accenti antieuropeisti.

Il tema dell’uscita dall’Unione oggi passa in secondo piano in paesi come il nostro: l’essere al governo del Paese impone una dose di pragmaticità che ispira una voglia di rappresentanza delle classi antisociali di riferimento di un parterre economico-finanziario che guarda alla continentalità come alla cornice di tutela di questi privilegi ancora molto poco consolidati e, per questo, minacciati dall’espansionismo sino-russo da un lato e neoatlantista dall’altro.

L’attentato al primo ministro slovacco non ha, del tutto probabilmente, a che fare con una analisi di fondo così articolata. È opera di un settantunenne poeta bislacco, tale Juraj Cintula: pare sia un simpatizzante di paramilitarismi; qualcuno lo descrive come filoputiniano, ma le smentite arrivano a stretto giro di agenzia. Non avrebbe senso: uccidere un leader amico del presidente russo? Il motivo è da ricercare nel clima di tensione che si respira a Bratislava.

I giornalisti inviati dai quotidiani e dalle televisioni parlano di una campagna elettorale in cui domina il tema della libertà di informazione; in cui proprio l’antitesi tra pluralismo e controllo della tv di Stato sia uno dei principali fulcri su cui si gioca la tenuta di un governo che ha dei tratti sociali, che guarderebbe anche a sinistra ma che, nella sostanza, agisce come se fosse un esecutivo populista di destra.

Progressisti e liberali slovacchi sono nel mirino della maggioranza che sorregge il governo di Fico: quello che si vuole strutturare è un processo di orbanizzazione delle istituzioni, un adeguamento ad uno standard visegradiano che crei un fronte dell’est contro l’idea di nazione in una Europa in cui le democrazie dell’ovest vorrebbero imporre il modello liberista e nordatlantista.

Di per sé, l’attentato di Cintula ha un risvolto interno alla Repubblica slovacca e rischia di esacerbare ancora di più gli animi. Gli effetti nel resto d’Europa possono essere emulativi da parte di qualche estremista che metta insieme, in un sincretismo confuso di posizioni politiche, inculturali e pure religiose, un principio fanatico che ci riporti indietro nel cammino della Storia, proprio ai tempi in cui, per  cambiarne radicalmente il corso, di sparava o si pugnalava il presidente o il re.

Se ne trae molto più del sospetto che la debolezza della democrazia europea sia qualcosa di molto più profondo delle singole fragilità degli Stati membri dell’Unione: per quanto possano essere pieni di contraddizioni, come tanto nel caso italiano del melonismo quanto in quello slovacco del ficismo, al quarto mandato e passato dall’eredità post-comunista socialdemocratica alle alleanze con l’estrema destra xenofoba, la disomogeneità della politica continentale è evidentissima.

Le divisioni sul riarmo dell’Europa stessa, da due anni a questa parte, quando l’Alleanza Atlantica si riscoprì energica e pronta a fronteggiare la minaccia russa (dopo aver lambito i confini della Federazione putiniana espandendosi come mai aveva fatto prima e continuando a farlo coinvolgendo i Baltici, la Finlandia e la Svezia…), hanno fratturato quell’intesa a due tra Parigi e Berlino che pareva, dopo la fine del merkelismo, aver sostituito il solitario traino tedesco dell’Unione.

C’è stata una vera e propria corsa all’implementazione esponenziale delle cifre dei bilanci nazionali destinati alle spese militari. C’è stato un salto di qualità negativo nel rapporto tra queste e l’economia sociale o, per lo meno, quella che sarebbe dovuta essere tale. La richiesta della NATO, del resto, è stata esplicitissima: almeno il 2% del PIL di ogni aderente all’Alleanza deve essere investito negli armamenti e nella linea di condotta di una tensione bellica imperialista.

Il clima di effervescenza nazionalista ha dato seguito, da destra come dal centro macroniano e dalla pseudo-socialdemocrazia scholziana, ad una nuova strategia di difesa che fosse, anzitutto, improntata alla guerra per procura. Terminologia cui ci hanno abituato i cronisti dall’estero, prossimi al fronte tra Ucraina e Russia: non il conflitto novecentesco, ma qualcosa di diverso, di modernamente inteso come una ipocrisia al cubo.

Affermare che si sostiene la difesa ucraina mentre, invece, si dà manforte al consolidamento della NATO sempre più ad est e si tenta di intralciare i piani russi di espansione ad ovest. La guerra tra due imperialismi, appunto. Sul piano meramente etico, nessuno è dalla parte della ragione. Perché nessuno è dalla parte della pace. Una idea a cui l’Europa dei vecchi fondatori era profondamente legata e sulla quale avrebbe dovuto prendere corpo un futuro di fratellanza tra i popoli piuttosto che un mercato comune e basta.

I quattro colpi di pistola esplosi contro Fico sono, quasi sicuramente, una protesta omicidiaria da destra, da posizioni ultranazionaliste, che rivendicano, nella miscellanea di simbiosi tra etnicità, culture e socialità, un differente modo di concepire le vite pressate da un claustrofobico presente per un piccolo paese sorto dalle ceneri della Cecoslovacchia nel 1993. Un paese in cui Fico è stato protagonista politicamente da trent’anni a questa parte.

Il suo trasformismo, che lo ha condotto da sinistra sempre più verso destra, non è differente da molti altri che appaiono tuttavia meno incoerenti soltanto perché hanno saputo cavalcare meglio l’onda della conversione modernista senza marcare troppo gli accenti nazionalisti e senza diventare apertamente xenofobi e intolleranti. La parvenza e l’essenza: un sapiente gioco di equipollenza che inganna e che, tuttavia, è efficace.

L’Europa di oggi è, quindi, un continente in cui, al pari di gran parte del mondo, la violenza è al centro delle questioni economiche, sociali e politiche, nonché ovviamente culturali. La guerra stessa fa in modo che tutto questo aumenti il proprio gradi di incidenza nelle questioni quotidiane e che, pertanto, influenzi l’opinione pubblica destando tutta una serie di più che giustificati timori per la tenuta dei conti, per la sicurezza delle comunità, per la paura di nuove crisi pandemiche.

Abbiamo alle spalle una serie di traumi psico-socio-antropologici che non vanno sottovalutati, benché siano considerabili ormai come il recente passato. La difficile credibilità della forze di governo dell’asse franco-tedesco è, in questi casi, la conseguenza di un fallimento prima ancora che di politica interna (che pure è drammaticamente evidente, soprattutto per Macron), di politica comunitaria, di quella che sovente viene sinteticamente chiamata la governance istituzionale.

Sembra che l’aumento delle spese militari e la missione della NATO contro la Russia sia l’unica espressione di politica estera che l’Unione Europea riesce a formulare nella sua accondiscendenza nei confronti di Washington. Con le estremità asiatiche di una via della seta, tanto elogiata prima della Covid-19, si mantengono i rapporti di buon vicinato se si tratta di scambi commerciali e si biasimano quelli con Mosca. Il multilateralismo, anche in questi frangenti, è diventato più che evidente.

Ma, se sganciamo l’Europa dal contesto bellico attuale, cosa rimane della sua politica estera? Quali possiamo dire, nel concreto, siano gli assi portanti, al di là dell’economia di guerra, delle relazioni internazionali tra Bruxelles e il resto del mondo? Francia e Germania, con sottolineature differenti in quanto ad energia competitiva sul mantenere canali privilegiati anche con il Medio Oriente (e con parte dell’Africa), fanno comunque a gara nel rifornire Ucraina e Israele di armi.

Il primo posto in questo senso lo hanno gli Stati Uniti d’America. L’Italia fa la sua cinica parte, secretando gli elenchi delle armi inviate. Ma le manda e le continua a mandare, violando, nell’ottica della guerra per procura, il dettato costituzionale, aggirandolo con bizantinismi legislativi di un Parlamento che è irriconoscibile in quanto a critica della guerra, in quanto ad aderenza ai fondamenti della Carta del 1948.

Il clima europeo in cui vengono sparati quattro colpi di pistola a Fico, dunque, è questo: l’assenza di una politica estera comune che vada oltre il dettato neoatlantista del connubio USA-NATO; il “liberi tutti” che nelle riunioni assembleari dell’ONU si registra ogni qual volta si vota sulle risoluzioni contro l’aggressione israeliana al popolo palestinese; il restringimento degli spazi di azione sociale, civile e umanitaria nei confronti di una serie di problematiche epocali.

A cominciare dalle questioni migratorie, da quelle ambientali, dalle risposte che non vengono date quando si tratta di una politica comune interna a questioni dirimenti per l’interezza del sistema-UE, per la totalità globale di una struttura economica che falcidia i più deboli e derelitti del mondo e continua ad impoverire chi è già ampiamente al di sotto di una sogna di sopravvivenza.

Ingiustizia sociale, compressione del pluralismo, democrazie parlamentari che vanno verso premierati e presidenzialismi, assottigliamento dei diritti civili ed umani, ce n’è abbastanza per essere preoccupati non solo di una svolta a destra dell’intera vecchia Europa, ma perché tutto questo sia la premessa di una conversione storica dei valori su cui si era, da Ventotene in avanti, sognato di dare seguito ad un compromesso tra interessi e bisogni, tra privato e pubblico.

Quello a Fico non sarà l’attentato mortale (per fortuna) che fa scatenare una guerra nel cuore dell’Europa, e forse perché la guerra c’è già…, ma di certo è un altro segnale di instabilità sociale, di sgretolamento delle capacità democratiche di gestione dei complessi problemi dell’oggi. Primo fra tutti il confronto omicidiario di massa tra gli imperialismi sulla pelle dei popoli ucraino e russo. Senza dimenticare Gaza…

MARCO SFERINI

17 maggio 2024

foto: screenshot ed elaborazione propria

categorie
Marco Sferini

altri articoli