Nel baratto delle riforme la destra completa la trilogia aggiungendo la giustizia a premierato e autonomia differenziata. Nel mercatino, è la quota di Forza Italia. Dovrebbe comprendere la separazione delle carriere, due organi di autogoverno, un’alta corte. Si parla di cancellare l’obbligatorietà dell’azione penale. Scende in campo l’Associazione nazionale magistrati, che approva nel congresso di Palermo un documento di fermo contrasto. Ma Meloni accelera e annuncia l’arrivo in consiglio dei ministri a giorni, comunque prima del voto europeo.

In realtà, non si guarda al futuro, come sempre ama dire Meloni per le riforme, ma si torna al passato. Già il Piano di rinascita di Gelli, per evitare che la giustizia svolgesse funzioni di “eversione”, chiedeva di separare le carriere requirente e giudicante, di introdurre esami psicoattitudinali per l’accesso in carriera, di rendere il CSM responsabile verso il parlamento.

Cogliamo poi ampie affinità tra quello che la destra mette oggi in campo e la proposta di “riforma epocale” (Berlusconi-Alfano, AC 4275) recante una radicale modifica del Titolo IV, Parte II della Costituzione sulla magistratura. Presentata il 7 aprile 2011, finì per la crisi del IV Berlusconi su un binario morto. Vediamo ora un sostanziale copia e incolla.

L’AC 4275 separava rigidamente le carriere. Sdoppiava il consiglio superiore della magistratura in due organi separati, a composizione paritaria tra laici eletti dal parlamento e togati eletti previo sorteggio. Presieduti dal capo dello stato, eleggevano il vicepresidente tra i laici. Prevedeva una corte di disciplina divisa in due sezioni per giudici e pubblici ministeri, a composizione paritaria, con la componente togata eletta previo sorteggio, con presidente e vicepresidenti di sezione eletti tra i laici. Oggi, un remake. Gli elementi essenziali dell’AC 4275 rimangono, con qualche variazione terminologica.

Vanno segnalati anche altri due punti dell’AC 4275, in specie rilevanti. Il primo. Si modificava l’art. 109 vigente con la formula “Il giudice e il pubblico ministero dispongono della polizia giudiziaria secondo le modalità stabilite dalla legge”. Il secondo. Si riscriveva l’art. 112 prevedendo per il pubblico ministero “l’obbligo di esercitare l’azione penale secondo i criteri stabiliti dalla legge”. Richiami alla legge assenti nel dettato costituzionale vigente. Sono modifiche auto-esplicative, il cui senso era illustrato anche dalla formula del nuovo art. 104: “l’autonomia e l’indipendenza sono prerogative dell’ufficio requirente e non del singolo magistrato”.

Oggi è possibile, anche per le tempeste giudiziarie in atto, che sulla obbligatorietà dell’azione penale la destra proponga una riscrittura. È un punto che più di altri può segnare un radicale distacco dall’assetto costituzionale vigente, aprendo alla subordinazione della potestà punitiva dello stato alla maggioranza politica pro tempore. Di sicuro, richiede si alzino barricate nel confronto parlamentare.

Più in generale, la riforma della giustizia si iscrive tra i sintomi di un complessivo scivolamento verso forme orbaniane di autocrazia. Li segnalano non solo il merito delle riforme, ma anche ad esempio il richiamo insistito di Meloni a una legittimazione plebiscitaria nel futuro referendum costituzionale, lo stallo nella elezione di un giudice costituzionale in attesa che l’uscita di altri dia un pacchetto da spartire tra i partners di governo, la violazione di regole e prassi parlamentari a favore della maggioranza, la gestione della TV pubblica, le manganellate agli studenti, le posizioni sui migranti. Bene le opposizioni – cui si aggiunge la senatrice Segre – che alzano la voce nel dibattito sul premierato in corso in Senato.

Può darsi che l’uscita di Meloni sull’arrivo in consiglio dei ministri sia solo uno spot elettorale o un tentativo di assicurare al governo acque tranquille. Ma sulla giustizia il richiamo della foresta si mostra forte per la destra. Potrebbe cercare sostegno nei lavori dell’Assemblea costituente, come fa la relazione all’AC 4275. È possibile che citi tesi sostenute dalla sinistra. Indubbiamente quel dibattito fu segnato da opinioni diverse e contrasti anche notevoli. Ma non si può riscrivere la storia con posizioni che furono superate e non si tradussero nel dettato costituzionale. Sarebbe comunque falsa la continuità di una Costituzione della destra volta a sostituire la Costituzione antifascista nata dalla Resistenza.

MASSIMO VILLONE

da il manifesto.it

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