La ricostruzione della sinistra partendo dal pensiero politico

Questa proposta è rivolta a quanti si trovano costretti a rilevare una pressoché totale impreparazione nell’esercizio dell’azione politica a tutti i livelli, fuori e dentro le istituzioni, da parte...

Questa proposta è rivolta a quanti si trovano costretti a rilevare una pressoché totale impreparazione nell’esercizio dell’azione politica a tutti i livelli, fuori e dentro le istituzioni, da parte degli epigoni – giovani e meno giovani – di un presunto “rinnovamento” fondato semplicisticamente sulle categorie dei sondaggi e di un pragmatismo di bassa lega esercitato essenzialmente attraverso “annunci” elargiti al pubblico attraverso i social network e la televisione.

Un “agire politico” esercitato attraverso la costruzione di “cerchi magici” composti di corifei/e di accumulatori di adulazione e facile consenso che hanno finito con il sostituire la complessa macchina delle organizzazioni costruite nella storia, da quelle partitiche a quelle sindacali agli altri “corpi intermedi” associativi di varie espressioni della società.

Tutto un patrimonio da cancellare perché limitante il potere del “gonfiare il petto” di diversi aspiranti dittatori.

In Italia questo fenomeno è comparso sulla scena ormai da quasi trent’anni perpetuando tutto il negativo (vedi corruzione) che si era accumulato fin dalla fondazione della Repubblica, eliminando il positivo (soprattutto sul terreno della partecipazione e dell’aggregazione politica e sociale) esaltando piccoli e grandi conflitti d’interesse a tutti i livelli, trasformando le occasioni di confronto anche elettorale in referendum “pro” o “contro” questo e quello, in un vero delirio di personalizzazione.

La sinistra italiana, quella “storica” che aveva contribuito in maniera determinante alla Liberazione e nell’Assemblea Costituente, è stata colpita al cuore da questi fenomeni, così come anche la Nuova Sinistra sorta in esito alla ventata del’68, e il fenomeno più inquietante è che “Sinistra Storica” e “Nuova Sinistra” rappresentate per decenni da gruppi dirigenti di altissimo livello e intellettuali di primo piano; radicate profondamente sul territorio attraverso ramificate strutture organizzate hanno prima ceduto sul piano culturale (pensiamo proprio alla personalizzazione come già accennato poc’anzi e alle logiche del maggioritario e della governabilità ad ogni costo) e poi su quello concreto della presenza sociale e politica, lasciando dietro di sé il vuoto e aprendo la strada ad avventurieri della politica, se non a faccendieri della tangente, come stiamo ancora una volta osservando nella più stretta attualità.

Il fenomeno, naturalmente, riveste dimensioni internazionali che non possono essere sottovalutate ma ha assunto nello specifico del “caso Italiano” (quello delle anomalie positive del ’68 più lungo perché intrecciato tra studenti e operai, e della presenza del più grande partito comunista d’Occidente pilastro della democrazia repubblicana) una valenza del tutto particolare, al punto da farci pensare dell’esistenza di rischi seri di involuzione autoritaria.

Una situazione determinata, a nostro avviso, dalla rescissione del rapporto tra politica e cultura che ha determinato questo gigantesco sbandamento al punto che neppure una crescita esponenziale dei livelli di diseguaglianza politica e sociale appare foriera dell’apertura di una fase di conflitto tale da prevedere un mutamento di fondo del pericoloso stato di cose in atto.

Il recupero di un’identità, prima di tutto, e poi della capacità di espressione politica e anche organizzativa di una sinistra italiana non passa però semplicemente dall’avvio di un tentativo di ricostituzione di una soggettività politica fondata prima di tutto sull’aggregazione dei soggetti agenti all’interno delle grandi contraddizioni della modernità ma anche, e soprattutto, da un recupero nel rapporto tra cultura e politica, dalla ricostituzione di un nucleo intellettuale all’altezza e ramificato in vari settori della vita non soltanto del Paese ma a dimensione internazionale.

Un nucleo intellettuale che recuperi l’idea di una politica considerata anche come oggetto di studio e sede di riflessione sulle grandi prospettive epocali, sulla storia, sull’approfondimento del pensiero politico.

Per questo motivo seguiranno considerazioni di merito rivolte proprio all’aspetto dello studio del pensiero politico, invitando coloro che non intendono abdicare dall’impegno nascondendosi (come sempre più spesso purtroppo accade) dalla loro identità a riflettere attorno a questo elemento.

Dalla “filosofia della prassi” gramsciana va ripresa in pieno l’idea di fondo del ruolo dell’intellettuale: “Elemento vitale del partito politico è l’unità di teoria e pratica. Questo, però, non è un problema filosofico ma, una “quistione” che deve “essere impostata storicamente, e cioè come un aspetto della quistione politica degli intellettuali“.

Gramsci si pone quindi il problema di elaborare una teoria generale della funzione e del ruolo degli intellettuali (a essa sono dedicate le note raggruppate nel Quaderno 10), il cui concetto principale è quello di “intellettuale organico“. Esso sta a indicare che gli intellettuali, contrariamente a come generalmente si autorappresentano, non costituiscono “un gruppo sociale autonomo e indipendente“, ma “ogni gruppo sociale, nascendo sul terreno originario di una funzione essenziale nel mondo della produzione economica, si crea insieme, organicamente, uno o più ceti di intellettuali che gli danno omogeneità e consapevolezza della propria funzione non solo nel campo economico, ma anche in quello sociale e politico” (ibid., p. 1513). Le funzioni degli intellettuali sono eminentemente “organizzative e connettive“, e dipendono dal ruolo che essi hanno in rapporto al mondo della produzione, all’organizzazione della società e dello Stato.

L’idea allora è quella di lavorare, con tutti gli strumenti disponibili, intorno al rapporto tra cultura e politica, un rapporto che accusa ormai da molti anni un deficit particolarmente vistoso, ridotto all’assemblaggio di un insieme di tecnicismi, in diversi campi da quello accademico per arrivare a quello istituzionale, laddove la politica appare ormai confusa con l’economicismo e il giurisdizionalismo astratto.

Si tratta di partire per una ricognizione di fondo, anche partendo dal proposito di sviluppare una “ricerca di parte”, con l’ambizione di  ottenere il risultato di provocare una riflessione complessiva tale da superare le settorializzazioni, gli schematismi oggi imperanti che, alla fine, hanno danneggiato non soltanto la qualità degli studi e delle ricerche, ma soprattutto la qualità dell’“agire politico”.

Il riferimento è rivolto a un pensiero politico in grado di esprimere interessi, finalità aspirazioni ben individuabili che, a partire da precisi punti di vista di soggettività determinate, è capace di interpretare le sfide reali della storia, e vi risponde in base a parametri e a esigenze di volta in volta mutevoli.

Serve legarsi a un filo conduttore, coscienti del fatto che ciò non significa che il pensiero politico si sia rivolto sempre ai medesimi problemi attraverso le medesime categorie.

Al contrario è necessario prestare grande attenzione e insistenza nel mettere in luce che, se è vero che i concetti politici sono la struttura-ponte di lungo periodo, l’asse portante della storia politica dell’Occidente (perché è dell’Occidente che si è chiamati a occuparci, sia pure giocoforza) è anche vero che solo le trasformazioni epocali, il mutare degli orizzonti di senso, il modificarsi catastrofico degli scenari sociali e politici, oltre che intellettuali, hanno consentito ai concetti politici di assumere di volta, in volta, il loro significato concreto.

Insomma, è necessario mettere in rilievo che la concretezza del pensiero politico consiste proprio nel fatto che esso aderisce alle drammatiche discontinuità dell’esperienza storica, e anzi le riconosce, le interpreta, le mette in forma.

Probabilmente quello che stiamo attraversando è proprio uno di quei momenti storici.

Si deve avere fiducia, ed è questa l’unica nota di ottimismo permessa, nell’importanza e nell’efficacia formativa della storia del pensiero politico, nel suo senso più vasto.

Si tratta di tornare alla capacità di fornire strumenti per interpretare lo spessore storico e concettuale, per decifrare i momenti di crescita e di crisi, di dramma e di trionfo, di chiusura localistica e di apertura universale della nostra civiltà intellettuale e politica: tutto il contrario dell’impreparazione improvvisata che appare di scena oggi nell’arena del sistema politico italiano.

FRANCO ASTENGO

27 agosto 2019

foto tratta da Pixabay

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