La nuova storia, i vecchi poteri e la politica della paura

Viviamo in un Pianeta sempre più globalizzato ed interconnesso: il giro del mondo, che pareva prodigioso in 80 giorni, oggi si fa in 24 ore, ossia il tempo che...

Viviamo in un Pianeta sempre più globalizzato ed interconnesso: il giro del mondo, che pareva prodigioso in 80 giorni, oggi si fa in 24 ore, ossia il tempo che sino al XIX secolo era necessario per fare un centinaio di chilometri. Nel frattempo, la popolazione umana, che ha impiegato cinquecentomila anni per raggiungere il Primo miliardo all’inizio dell’Ottocento, nei duecento anni successivi è sestuplicata, conferendo alla storia un’accelerazione senza precedenti.

Tale processo, reso possibile in seguito allo sviluppo dell’economia capitalistica e delle tecnologie ad essa legate,se da un lato ha certamente significato – seppur sempre con limiti di classe, e solo in seguito a grandi lotte sociali – l’aumento dell’aspettativa di vita, la fine di malattie secolari, l’affrancamento di milioni di persone dall’analfabetismo e la crescita della mobilità sociale, dall’altro ha determinato degli squilibri ecologici globali tali per i quali, a giusta ragione, possiamo inserire il nostro tempo in una nuova era geologica, l’antropocene, ché le tracce dell’uomo, sotto forma di emissioni, di plastiche e di polimeri, si trovano ormai anche all’interno delle rocce.

Allo stato attuale, dunque, la globalizzazione, la quale si presenta sotto un segno regressivo per la sua natura capitalistica, ha sviluppato due linee di faglia che rischiano di travolgere il Pianeta e la civilizzazione umana: la diseguaglianza che cresce in progressione geometrica, “grazie” ad una tecnologia che affina sempre di più la capacità di fare profitti e la crisi ecologica innescata da un sistema che è programmato per svilupparsi all’infinito, l’economia di mercato, all’interno però di un sistema chiuso, la biosfera.

Che tale fase regressiva, iniziata a partire dalle periodiche crisi finanziarie del capitalismo del secondo Novecento, sia in atto, è ben chiaro alle classi dominanti,che non a caso puntano alla privatizzazione integrale dei beni comuni,terreno di accaparramento senza scrupoli per multinazionali che impoveriscono milioni di persone, costringendole alla fame e alla migrazione in territori dove altri milioni di persone vengono aizzati contro di loro, scudi umani contro scudi umani, al fine di impedire nelle grandi masse del nord del mondo la presa di coscienza che pure nei secoli precedenti si era avuta.

Le classi dominanti, a differenza degli sfruttati, hanno infatti fatto tesoro della storia: onde evitare il rischio dello sviluppo di un nuovo socialismo e di una nuova coscienza di classe, e dunque un’espansione della democrazia sul terreno delle politiche redistributive, le classi dominanti fomentano lo sviluppo di partiti e movimenti xenofobi, utili idioti e gendarmi del sistema, mediaticamente sovraesposti in quanto fondamentali per deviare il malcontento popolare dalle reali cause (l’accaparramento delle risorse, la demolizione dello stato sociale, la distruzione della democrazia rappresentativa e della cultura di base) del loro malessere a quelle fittizie.

L’esplosione dei partiti e dei movimenti di estrema destra in tutta Europa – partiti di cui la Lega Nord è la variante nazionale – e della cosiddetta “fasciosfera”, ossia la bulimia di siti xenofobi che si autoreplicano diffondendo bufale e allarmando masse di persone deprivate degli strumenti critici di base, va dunque letta entro il contesto di redistribuzione della ricchezza verso l’alto mediante politiche austeritarie presentate come “riforme necessarie” e di conseguente abbandono di qualunque idea di intervento pubblico sul terreno sociale, civile e culturale.

Il rifluire delle grandi masse, dalla condizione di cittadini coscienti, a quella di plebe di consumatori indebitati, l’un contro l’altro armati grazie alla xenofobia ed al securitarismo, non è dunque un “danno collaterale” delle politiche neoliberiste, ma una precisa scelta che data almeno dalla metà degli anni Settanta, quando la Trilateral ammoniva il grande capitale circa i rischi degli “eccessi di democrazia” (sic!) che potevano danneggiare i profitti.

In sintesi, quando, di fronte al montare dell’estrema destra e del discorso razzista divenuto senso comune, ci troviamo ad essere impotenti, e frustrati assistiamo alla messa in mora di qualsiasi idea di solidarietà, dobbiamo mantenere la lucidità di un’analisi che ci permetta di storicizzare e contestualizzare il fenomeno, il quale è tutto tranne che spontaneo, e che dia, di conseguenza, la possibilità di invertire i rapporti di egemonia, attualmente drammaticamente sbilanciati dalla parte di un sistema che, per garantire la propria sopravvivenza, non esita a condannare a morte intere generazioni dell’Africa subsahariana, costruendo intere fortune politiche sulla rimozione collettiva delle migliaia di morti in mare e nel deserto, dato tanto certo quanto non percepito da quegli strati popolari europei che vengono aizzati come cani rabbiosi contro i più dannati fra i dannati della terra.

Ma è proprio nel momento di massimo scoramento, quando pare che l’avversario, la cui brutale razionalità sfida quotidianamente la ragionevolezza, abbia una potenza economica, mediatica e politica soverchiante, è proprio in tale momento che, lucidamente, dobbiamo renderci conto di un punto di partenza costituente anche la più grande contraddizione del sistema capitalistico, accanto a quelle con l’ambiente e con il lavoro: dal punto di vista antropologico, l’animale uomo non è un predatore individuale (come lo sono, ad esempio, i felini), ma fonda la propria sopravvivenza nella catena alimentare sulla sua capacità di agire collettivamente, di coordinare le proprie azioni con altri uomini.

Senza tale agire cooperativo, la specie umana sarebbe stata condannata a perire innanzi agli animali di grossa taglia e a quelli più veloci e più forti. Da questo dato di specie, nel corso dei secoli, si è evoluta poi l’etica in quanto prodotto storico, nata a partire dall’empatia con il prossimo, riconosciuto parte di un comune cammino di sopravvivenza. Ecco perché, se andiamo a scavare al fondo della questione, la grande distopia della destra, ossia il superuomo, non è altro che una super scemenza dietro alla quale sta una volontà non individuale (come viene propagandata), ma di classe, di difesa di una PARS di società contro un’altra, e dunque politicamente battibile attraverso lo sviluppo e la diffusione di diverse forme di pensiero.

Del resto, per paradosso apparente, il punto di massima forza delle propaganda di estrema destra è anche quello di estrema debolezza: quotidianamente, e ventiquattr’ore su ventiquattro, gli apprendisti stregoni delle classi dominanti e i loro utili idioti non fanno che gridare all’assedio, all’invasione e all’insicurezza, e, a loro modo, hanno ragione: i comunitarismi chiusi, gli egoismi di classe e di corporazione, i piccoli individualismi eretti a barriera dei grandi, sono effettivamente sotto assedio, invasi ed insicuri, ché un mondo nuovo, come si è visto all’inizio, avanza a passo spedito ed assedia i fortilizi dei poteri, rimescolando antropologicamente, ancor prima che politicamente, le carte in tavola, e determinando lo sviluppo di una storia che solo la miopia di una politica che si illude di sopravvivere alla crisi economica ed ecologica non sa o non vuole vedere.

Sta a noi mostrare la nudità del re, per poi abbattere la monarchia.

ENNIO CIRNIGLIARO

8 luglio 2017

foto tratta da Pixabay

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