E’ il rifiuto delle guerre, da quella russo ucraina ai conflitti “dimenticati” nel continente africano, il filo che torna a legare i movimenti sociali continentali, riuniti a Firenze non tanto per ricordare l’esperienza del primo Forum sociale di vent’anni fa, quanto per evidenziare alcuni macro-temi su cui avviare nuove campagne di sensibilizzazione e di protesta. “Le grandi sfide di oggi – sintetizza Tommaso Fattori – che oltre alle guerre ci interrogano sul collasso climatico e ambientale del pianeta, sull’aumento esponenziale delle disuguaglianze, e sullo svuotamento di fatto della democrazia da parte di un sistema di potere a-democratico e sempre più pervasivo”.

Nella prima giornata di una “assemblea di convergenza” che andrà avanti anche oggi, di fronte all’interrogativo su dove stia andando l’Europa e quale sia il suo ruolo in una fase così tumultuosa, gli interventi degli attivisti delle circa 150 organizzazioni presenti si concentrano anzitutto sul conflitto bellico in corso nel cuore del vecchio continente. Denunciando ancora una volta la sordità delle istituzioni nazionali e sovranazionali, che invece di ascoltare le richieste di ampi strati della società per l’avvio di reali negoziati tesi a fermare bombardamenti quotidiani, migliaia di lutti e devastazioni di interi territori, vanno avanti sull’assunto di una guerra che va alimentata “fino alla vittoria finale”.

“Il Parlamento europeo – ricorda nel suo intervento il presidente dell’Anpi, Gianfranco Pagliarulo – ha dato il suo via libera a una risoluzione che parla proprio di ‘vittoria finale’, assecondando la decisione della Commissione Ue di finanziare massicciamente l’invio di ulteriori armamenti. Nella risoluzione non compaiono mai le parole ‘pace’ e ‘negoziato’, stracciando di fatto il Trattato di Lisbona e i suoi principi, all’epoca solennemente scanciti”.

Sembra così di tornare al 2003, quando le proteste di decine di milioni di persone in tutto il pianeta contro la guerra in Iraq, che pure avevano fatto scrivere al New York Times che si era manifestata una superpotenza mondiale, non avevano smosso di un millimetro i governanti dell’epoca. Una ferita profonda, si osserva in sala, che ebbe riflessi negativi anche sul cammino dei movimenti sociali. E che oggi pone, come allora, gli stessi interrogativi: “Perché non riusciamo ad incidere sulle agende politiche nazionali e dell’Ue? – si chiede dunque Fattori – perché non riusciamo a parlare, a raggiungere, quella massa di persone che come noi subisce le crisi del nostro tempo ma resta chiusa in una solitudine arrabbiata, terreno di coltura delle destre?”.

Sono domande a cui, appunto, l’assemblea di convergenza cerca di rispondere tornando ad alimentare nuove mobilitazioni: “Dopo la grande manifestazione italiana del 5 novembre – osserva sul punto Giulio Marcon a nome della rete Sbilanciamoci – il nostro obiettivo, il nostro sogno deve essere quello di fissare una nuova data, per manifestare nelle principali città europee così come abbiamo fatto a Roma”.

Nella grande sala del Palaffari la lingua comune è l’inglese, e un efficace sistema di traduzione simultanea permette agli attivisti di ascoltare nella propria lingua gli interventi che si susseguono. Come quello di Martial Mbourangon della rete Ras le bol della Repubblica democratica del Congo, abrasivo ma efficace nel chiedere ai movimenti europei di non fermarsi alle sole manifestazioni pacifiste: “Perché non iniziate a contestare le fabbriche di armi, quelle stesse armi che vengono vendute in Africa e che condannano il mio continente a guerre su guerre?” Un ragionamento che vale anche per altri conflitti, dalla Palestina al Kurdistan, dall’Armenia allo Yemen.

All’assemblea intervengono anche Luca Sardo dei Fridays for Future, Jan Robert Suesser dell’European Civic Forum, l’ungherese Vera Mora, Vittorio Agnoletto di Medicina Democratica, Sergio Bassoli di Europe for Peace, l’attivista irakeno Sahar Salam, Stefano Castagnoli del Movimento Federalista Europeo e l’inglese Chris Nineham di Stop the War Coalition. Pronto a ricordare una incontestabile verità: “Le conseguenze delle guerre sono sempre patite dalla gente comune”.

RICCARDO CHIARI

da il manifesto.it

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