Rudolf Rocker, il pensiero novecentesco di un anarco-sindacalista

Da Gustav Landauer a Martin Buber, da Albert Einstein a Bertrand Russell, da Noam Chomsky a Uri Gordon e Judith Butler, passando per Hannah Arendt, il pensiero di Rudolf...
Rudolf Rocker a Berlino con Milly Witcop

Da Gustav Landauer a Martin Buber, da Albert Einstein a Bertrand Russell, da Noam Chomsky a Uri Gordon e Judith Butler, passando per Hannah Arendt, il pensiero di Rudolf Rocker traccia tanti sentieri in divenire lungo il ‘900 e il nuovo millennio.
Ha fatto bene Elèuthera a pubblicare Contro la corrente (pp. 207, euro 15), curato e presentato in maniera rigorosa da David Bernardini e Devis Colombo, una raccolta di testi che testimoniano la ricerca teorica incessante dell’autore, tra analisi dei fatti storici, lotte e riflessioni.
Personaggio di grande fascino, agitatore, organizzatore e intellettuale, sostenitore di un cambiamento radicale della società secondo i principi della Prima Internazionale, Rocker fu socialista in gioventù, poi anarcosindacalista e amico di Gustav Landauer durante la Repubblica dei Consigli di Baviera. A cavallo tra ‘800 e ‘900 costretto a trasferirsi prima in Francia e poi in Inghilterra, fu attivissimo a Londra, tra la miseria dell’East End, nel sindacato dei lavoratori anarchici di lingua yiddish (come loro stessi preferivano definirsi, visto che per la maggior parte erano atei), imparandone la lingua e dirigendo alcune testate.

Rocker rientrò in Germania dopo la Prima Guerra Mondiale, impegnandosi ancora nel movimento sindacale rivoluzionario; il suo Dichiarazione dei principi del sindacalismo, del 1919, qui tradotto, contiene spunti ancora validi, come l’ostilità al militarismo e al nazionalismo. Sfugge alla repressione nazista ed emigra negli Stati Uniti, dove inizia la sua riflessione «anarchico-liberale», molto affine alle analisi elaborate in Sulla rivoluzione e Le origini del totalitarismo da Hannah Arendt. A questo periodo risalgono i capitoli: «L’importanza dei diritti sociali e delle libertà collettive» e «I pericoli della rivoluzione», in cui Rocker sostiene che lo scontro in atto non riguardasse più principalmente le classi sociali ma l’umanità.

In bilico tra l’accettazione della democrazia e rifiuto del capitalismo, in quanto negazione storica del liberalismo, mantenne la bussola orientata verso l’utopia del «non c’è libertà senza socialismo, non c’è socialismo senza libertà», scriveva: «anche la minima libertà conquistata con le lotte continue rappresenta una pietra miliare sulla strada della liberazione sociale». Spinto dall’aggravarsi della situazione politica in Germania, porta a conclusione la sua riflessione più pregnante e ancor’oggi attuale (di cui si trovano tracce nel libro pubblicato da Elèuthera nel capitolo La via che porta al Terzo Reich) con il suo testo teorico più importante, ossia Nazionalismo e cultura.
«È un importante contributo alla filosofia politica, la sua analisi penetrante», sostenne Bertrand Russell alla pubblicazione della prima edizione. E Albert Einstein trovò il libro «straordinariamente originale e illuminante». È un lavoro che segnala la rottura tra il nazionalismo e il processo generale della cultura, considerando l’ambiente intellettuale nel quale si muove un individuo più forte che le ipotetiche influenze del cosiddetto spirito nazionale.

È un libro che anticipa alcune analisi di Eric Hobsbawm contenute in Nazioni e nazionalismo e L’invenzione della tradizione, decostruisce il mito delle nazioni e dello Stato-nazione, come fatti storicamente determinati ma non per questo necessari. Scrivono bene i curatori di Contro la corrente: la critica radicil manifesto.itale di Rocker al nazionalismo e alle forme di assolutismo può fungere ancora oggi da bussola contro le loro varianti attuali, come per esempio il sovranismo – di destra o di sinistra che sia.

MARC TIBALDI

da il manifesto.it

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