Con emozione altissima, compagno Fidel

Una piccola isola dei Caraibi, a poche miglia dal più potente paese del mondo, la più grande potenza economica e  militare del pianeta, è diventata dal Gennaio del 1959,...

Una piccola isola dei Caraibi, a poche miglia dal più potente paese del mondo, la più grande potenza economica e  militare del pianeta, è diventata dal Gennaio del 1959, da quando i Barbudos, guidati dal giovane Fidel Castro entrarono nella capitale l’Avana,  una nazione protagonista della politica mondiale, rispettata, ammirata,  temuta e da alcuni odiata.

E’ stata rispettata per la sua determinazione nel difendere la sua indipendenza dagli Stati Uniti, dall’Imperio, che la portò ad essere addirittura pronta ad ospitare missili nucleari, pur di allontanare la pesante minaccia del poderoso e arrogante vicino, che pochi mesi prima aveva tentato di far morire la giovane rivoluzione con il noto piano della CIA dell’invasione nella Baia dei Porci.

Una determinazione grazie alla quale ha resistito (e resiste) all’embargo imposto dagli Stati Uniti, che, nonostante molti credano il contrario, rimane purtroppo intatto anche oggi, dopo la ripresa delle relazioni diplomatiche avvenuta con Obama, e nonostante la quasi totalità delle nazioni del mondo ne chieda da anni nell’assemblea generale dell’ONU la fine.

Una determinazione che l’ha portata a resistere al crollo di tutte le sue relazioni economiche e commerciali con il resto del mondo, frutto della scelta del legame con il campo socialista (pur facendo parte del blocco dei paesi non allineati), quando da dopo il 1989 si trovò allo stremo, e seppe eroicamente resistere, mentre qualsiasi altro stato o nazione al mondo si sarebbe presto arreso di fronte alla difficoltà estrema.

Tutti si aspettavano che Cuba sarebbe caduta. Questione di mesi, dicevano. Forse qualche anno. Ed invece ha resistito e tenta ora di introdurre cambiamenti che possano far riprendere l’economia, affrontare i problemi della doppia moneta e dello sviluppo, mantenendo intatte le conquiste della sua Rivoluzione, quelle per cui è ammirata.

E’ ammirata per gli indici di sviluppo umano da paese del primo mondo, nonostante non lo sia, per i suoi successi nell’educazione, nella medicina, nella biologia, nello sport. Per la sua musica, la sua poesia, il suo cinema.

E’ ammirata perché Cuba esporta medici. Non armi. Esporta farmaci e medicine. Non bombe. Ha inviato soldati all’estero. Lontano, in Africa. Non per occupare paesi terzi, ma per lottare contro il mostro dell’apartheid e per la liberazione dal colonialismo. Senza ricevere nulla in cambio, se non la riconoscenza e l’ammirazione del mondo di sotto, dei paesi africani, delle ex colonie, di chi aspirava alla liberazione dal giogo secolare dell’imperialismo e del colonialismo.

Ecco spiegato perché da alcuni è temuta. Perché hanno paura che altri potessero seguire il suo esempio. Quelli che vogliono stati docili con elite politiche pronte a soddisfare i desideri delle multinazionali che Cuba espropriò.

Da alcuni odiata perché testarda nel voler mantenere l’idea di una società che non sia fondata solo sul primato del profitto e del denaro.  La odiano gli apologeti della globalizzazione, del liberismo, della privatizzazione dei beni comuni, della distruzione della sanità e della scuola pubblica, in nome del loro Dio unico, il mercato.

Parlo di Cuba, mentre mi accingo a partire per L’Avana, per rappresentare il PRC e la Sinistra Europea nella celebrazione di massa che si terrà martedì per salutare il comandante in capo della Rivoluzione Cubana, Fidel Castro. Un onore ed un privilegio. Perché chi parla di Fidel come dittatore, gli sciacalli che in queste ore si affrettano a lanciare anatemi sulla sua figura, dai nemici di sempre ai voltagabbana pentiti dell’ultima ora, dai pennivendoli al soldo di qualche potente ai mediocri scopiazzatori di veline, non ha capito che Fidel è stato un grande leader mondiale perché Cuba e il suo popolo sono stati al suo fianco in tutti questi anni.

Costoro, dai loro comodi salotti, dalla sicurezza di appartenere a quella poca parte di mondo che controlla e concentra nelle sue mani gran parte delle ricchezze, non capiscono quanta umanità e civiltà vi sia in un paese e una rivoluzione che cura l’infanzia e la vecchiaia, che non lascia soli i suoi cittadini nella disperazione del non poter dare istruzione o cibo ai propri figli, o cure e carezze ai loro vecchi. Che non ti chiede assicurazioni per curare la tua malattia.

Certo che vi sono stati errori, limiti, ed anche ingiustizie, a Cuba. Ma ció che rimarrà nella storia è ben altro. Certo che con Fidel scompare un protagonista del ’900. Ma chi si affretta a voler chiudere la pagina della liberazione dal colonialismo, di cui Cuba e Fidel sono simbolo e orgoglio, sappia che l’eresia della quale è stata ed è portatrice, di una società di liberi ed uguali, l’aspirazione alla giustizia sociale e all’indipendenza,  anche se non è stata raggiunta nel ’900, non si chiude con la morte di Fidel. Le sue idee e la sua tenacia, vivranno e continueranno a vivere nella lotta per  una società migliore di quella fatta solo di pubblicità e marketing, di antidepressivi, violenza, guerra e solitudini.

E come avrebbe detto il nostro caro compagno Paolo Vinti, con emozione altissima, compagno Fidel, hasta la victoria, siempre!

FABIO AMATO

da rifondazione.it

foto tratta da Pixabay

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