Cinque milioni di poveri in Italia, 17 milioni «working poors»

L'Istat conferma la gravità della crisi sociale del paese. Il sussidio detto impropriamente "reddito di cittadinanza" si rivolge a una parte dei "poveri assoluti". Resta senza risposte la povertà dei minori e la crisi dell'istruzione: il nostro paese è tra gli ultimi per numero di laureati e tra i primi per tasso di abbandoni scolastici

Nel 2017 gli individui in povertà assoluta erano 5 milioni e 58mila (8,4%). la popolazione a rischio di povertà o esclusione sociale è pari al 28,9% (circa 17 milioni e 407 mila individui), in diminuzione rispetto al 30% toccato nell’anno precedente. Lo ha confermato ieri l’Istat nel «Rapporto SDGs 2019. Informazioni statistiche per l’Agenda 2030 in Italia» e può essere usato per confermare dati già noti rispetto alla politica denominata «reddito di cittadinanza» che, a marzo, ha riscontrato l’interesse di oltre 800 mila persone, di cui poco più della metà sono state selezionate per accedere al programma di «workfare», ovvero lo scambio tra un sussidio pubblico e l’obbligo a lavorare fino a 16 ore a settimana e formarsi obbligatoriamente presso centri per l’impiego e altri enti. Questo «reddito» non è diretto a tutti i «working poors» (oltre 17 milioni), ma a una parte dei «poveri assoluti» sotto i 9.360 euro di reddito Isee.

La rilevazione effettuata dall’Istituto nazionale di statistica ha stabilito un indicatore di povertà o esclusione sociale sulla base della quota di persone che si trovano in almeno una di queste situazioni: sono a rischio di povertà di reddito; gravemente deprivate materialmente, vivono in famiglie con una intensità lavorativa molto bassa. Su questi parametri è stato definito che in Italia la povertà di reddito riguarda il 20,3% della popolazione. Questo valore è sostanzialmente stabile rispetto al 20,6% del 2016. Si trova in grave deprivazione materiale il 10,1% della popolazione, una quota più bassa di 2 punti nel confronto con l’anno precedente. La quota di coloro che vivono in famiglie con una intensità di lavoro molto bassa è dell’11,8%, in diminuzione dal 12,8% del 2016. Le disparità regionali restano molto ampie, sia per l’indicatore composito sulla povertà o esclusione sociale, sia per le tre misure che lo compongono. Il Mezzogiorno presenta i valori più alti per tutti e quattro gli indicatori. Il rischio di povertà o esclusione sociale riguarda il 44,4% degli individui residenti in questa area del Paese contro il 18,8% del Nord. Se si considerano gli occupati che vivono in condizione di povertà reddituale, il nostro paese è quintultimo nella Ue con il 12,2% degli occupati a rischio di povertà nel 2017. La quota relativa al Nord Italia è passata dal 4,5% del 2004 al 6,9% del 2017; quella del Mezzogiorno, già molto elevata, è salita dal 19,2% al 22,8% mentre al Centro Italia è quasi raddoppiata (dal 5,9% all’11,2%).

L’Italia è agli ultimi posti in Europa per numero di laureati, tasso di abbandono», osserva l’Istat. E nonostante i progressi degli ultimi tre anni, rimane il primo paese europeo per «Neet», i ragazzi che non studiano e non lavorano (sono ancora il 30,9% nel 2018). Anche quelli che hanno un impiego, spesso sono precari ed esposti al rischio di povertà. Del resto l’Italia è uno dei paesi europei con più lavoratori poveri, superata solo da Grecia, Spagna, Lussemburgo e Romania. Le difficoltà sono maggiori al Sud Italia e in particolare in tre regioni: la Sicilia, la Calabria e la Campania.

MARIO PIERRO

da il manifesto.it

foto tratta da Pixabay

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Economia e società

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