Chiudiamo l’era del “voto utile”, apriamo quella del nostro voto

In un lungo calvario per la sinistra italiana, durante le mille trasformazioni che ha subito e che si è procurata autolesionisticamente, scindendo il riformismo dal progressismo e l’alternativa radicale...

In un lungo calvario per la sinistra italiana, durante le mille trasformazioni che ha subito e che si è procurata autolesionisticamente, scindendo il riformismo dal progressismo e l’alternativa radicale dalla pratica della stessa nel nome delle compatibilità spesso elettorali, la consuzione ha fatto da padrona in uno scenario di logorante utilizzo del “voto utile” finalizzato ad impedire alle forze più retrive e conservatrici, nonché apertamente reazionarie, di arrivare alle postazioni di governo tanto del Paese quanto delle Regioni e degli altri enti locali.

Nel nome dell’esercizio resistenziale di un voto diventato alienazione dalle ideologie, antitesi precostituita di un diritto invece sancito proprio sul piedistallo della funzione di delega secondo la propria visione della società che ci circonda, la sinistra è trasfigurata in un epitaffio mortifero sopra uno specchio in cui si è sempre meno riconosciuta, fino a pensarsi così interclassista e capace di mettere insieme lotta e governo, dal finire col privilegiare solo la gestione del potere, lasciando indietro ogni rapporto vero con le classi popolari.

La scissione emotiva, ideale e pratica con la gente che vi si è sempre riconosciuta, tanto nel socialismo riformista quanto nel comunismo riformatore che si autopensava ancora come rivoluzionario, è stata una leva adoperata abilmente sia dal centro in cerca di un nuovo punto di gravità permanente, sia dalle destre che hanno aperto enormi varchi di populismo a cattivissimo mercato per esacerbare gli animi esasperati dalle tasche vuote, dalle privatizzazioni magnificate come risolutive dell’instabilità sociale e del pessimo esistere di milioni e milioni di italiani.

Il consesso europeo non ha per niente aiutato l’Italia a venire fuori da queste secche impolitiche ed anticivili: la UE e le sue istituzioni ci hanno imbrigliato in un insieme di doveri a cui sono sempre toccati dei bilanciamenti iniqui in quanto a diritti e, quindi, a finanziamenti dati per rimettere in piedi una economia veramente pubblica e benecomunista.

Qualora anche l’Europa si fosse prodigata al meglio in questa sua funzione di eterodirezionalità economica e finanziaria, con tutti i risvolti politici del caso, i governi italiani per primi l’avrebbero smentita immantinentemente. Dopo la fine del Pentapartito e la chiusura dell’era della cosiddetta “prima repubblica“, la consistenza politica del cosiddetto “voto utile” è stata fornita allo stesso dalle strumentalizzazioni che le maggioranze parlamentari hanno fatto dello strumento della delega popolare.

Lo stravolgimento del significato più costituzionale possibile del mandato esclusivo ai rappresentanti della Nazione da parte del corpo elettorale attivo è stato possibile, di volta in volta, per una comune e consolidata accettazione reciproca di una decostruzione dei valori repubblicani di uguaglianza, democrazia e libertà.

Forze politiche che si definivano, e si facevano definire, di sinistra hanno collaborato a pieno titolo a riscritture di norme per l’accesso al Parlamento che contravvenivano al principio secondo cui ogni voto conta a prescindere dalle percentuali attribuite dai sondaggi ai partiti e ai movimenti ancora quindici giorni prima della fina della campagna elettorale.

Il complesso marchingegno della mortificazione della democrazia ha viaggiato di pari passo con la decomposizione delle rimanenze di stato-sociale che ancora avevano un qualche spiraglio di utilità nel contesto liberista a tutto tondo.

Vittorie e sconfitte nelle urne sono state, dunque, determinate non dall’attribuzione dei seggi in base al reale computo dei voti assoluti, ma di percentuali create ad arte con leggi costruite a tavolino con il preciso scopo di sovvertire l’esito del voto a proprio, esclusivo e prioritario vantaggio.

Qualunque promessa elettorale, fondata su programmi tanto altisonanti quanto vuoti, era già tradita da questa contorsione immorale e incivile, da questo disprezzo evidente per la volontà collettiva, per il pensiero e la determinazione di ognuno di noi.

Chi ha, come noi comunisti, in questi anni cercato di rimettere in campo l’ipotesi del ritorno ad una naturale e congeniale Legge elettorale esclusivamente proprozionale, è stato deriso, sfottuto e tacciato di antimodernismo, di non vedere le necessità impellenti di un’economia che esigeva una stabilità democratica che avesse un largo basamento edificato su maggioranze che, inevitabilmente, sono sempre state le prime nemiche della Repubblica, dell’interesse sociale, del mondo del lavoro e del non-lavoro, del vasto sottobosco della precarietà e di un disagio diffuso e sempre più vasto.

Secondo i teorici del “voto utile“, anche oggi ricorrerebbero le condizioni di salvataggio della Patria in ultima istanza nelle regionali lombarde e laziali. Bisognerebbe, ancora una volta, solennizzare l’altro da noi stessi, erigere un’ara pagana ad un voto che non daremmo a voto più che utile e più che necessario per battere le destre, questa volta meloniane e post-fasciste, quelle che hanno la fiamma tricolore evindetissima nel simbolo.

La distopia, del tutto lapalissiana, di questa epifania insolita di progressismo è una sorta di nemesi, una presa in giro della Storia, una carnascialesca sciarada che, enza alcuna soluzione di continuità, fa fugacemente apparire un tratto di sinistra nel PD: giusto il tempo delle primarie per l’elezione del nuovo segretario nazionale e poi, senza colpo ferire, il ritorno alla logica del’alternativa tra i poli, cercando di riappacificarsi completamente col terzo polo (in caso di vittoria di Bonaccini) e di dialogarvi senza infingimenti (nel caso di vittoria di Schlein).

Ma davvero, senza fare un minimo appello ad una capacità critica o, quanto meno ad un lembo di pervasività dubitativa, dovremmo accettare di essere sedotti ennesimamente dall’utilità di un voto che non batterà affatto nessuna destra in Lombardia e che non affermerà nessuna sinistra progressista nel Lazio? Questo è quello che intendiamo per rilancio di una stagione di riforme nella politica italiana, per una ripresa, per una lenta risalita delle ragioni della giustizia sociale avanti alla impietosa sfacciataggine delle destre di governo che stanno mettendo mano ai diritti più elementari?

Pensiamo veramente che si possa, una volta per tutte, ridisegnare i contorni di una certa idea di progresso dal punto di vista dei lavoratori, dei pensionati, degli studenti e delle classi più povere e sfruttate senza tenere conto del progetto politico a cui ci si affida? E’ sufficiente pensare di battere le destre sempre e soltanto con alternative inesistenti sul piano economico e molto poco praticate su quello civile, civico e sociale?

E’ davvero pensabile che, oltre la stagione meloniana, a cui dobbiamo mettere fine quanto prima possibile, possa seguire una alternativa rappresentata dall’istituzionalismo bonacciniano (fedele all’idea dell’autonomia differenziata in salsa leghista) o al ridimensionamento dei danni liberisti in una cornice europea e italiana che cerchi ancora una volta di mettere insieme interessi opposti, tra capitale e lavoro?

Se la sinistra vuole ricostruirsi, rimettersi in moto e voltare pagina con i tanti errori del passato, deve abbandonare anzitutto il centro ma, prima che una distinzione geopolitica, deve operare una distinzione strategica, di lungo termine, sapendo che non si può continuare a disaffezionare la gente dal voto proponendole ricette inconcludenti di un recente passato fatto di commistioni di interessi e di vere e proprie disfatte per un tessuto multistrato di diritti e di impianti istituzionali completamente stravolti.

Nel nome del più laicamente sacro antifascismo, non si può continuare a consegnare la propria fiducia non tanto a chi l’ha costantemente tradita, ma a chi si è fatto partecipe di un disegno di alterazione della Costituzione, sostenendo amputazioni di rami parlamentari, gabbie costrittive come il pareggio di bilancio, piena adesione all’atlantismo imperialista e alle dinamiche di mercato, nonché ideatore di politiche davvero inumane nella gestione dei processi migratori dalle sponde dell’Africa alle nostre coste, andata tragica e ritorno all’inferno libico.

Con le destre propriamente dette sarebbe tutto più tremendo e terribile? Ovviamente. Ma, ormai dovremmo esserne consci, la lotta a queste destre non la si fa da destra e tanto meno da un centro-sinistra che agisce in alleanza col terzo polo in Lazio e se ne separa in Lombardia. La tattica è parte della strategia e, senza tema di smentita, riverbera quello che verrebbe messo in pratica a livello nazionale se il PD avesse l’occasione di tornare a percentuali degne di un partito di maggioranza relativa.

Se oggi Meloni e Fratelli d’Italia sono alle soglie del 30% e governano il Paese con il piglio autoritario del post-fascismo di chi tiene i busti di Mussolini in casa per eredità paterna, oppure di chi vuole dividere il Paese tra cittadini di serie A al Nord e di serie B al Sud, se cittadini e politica sono siderlamente lontani e quest’ultima fa sempre meno parte della quotidianità e dell’impegno anche sociale che dovrebbe esprimere, la responsabilità è dello spazio che si è lasciato sul terreno della solvibilità di determinati bisogni ed esigenze di classe.

Ma questa sarebbe un’altra storia: quella di come si sia favoleggiato per decenni e decenni della fine della lotta fra le classi, della fine di un mondo del lavoro che, tutt’ora, si tenta di atomizzare e rendere inefficace sul piano delle rivendicazioni più urgenti con il chiaro proposito di depotenziarlo e renderlo innoquo nella ricerca di una vera alternativa di società.

Unione Popolare sarà sulle schede lombarde e laziali. E’ un piccolo, primissimo passo. Ma importante per ridarci fiducia, ritemprare forze fisiche e mentali, riappropriarci di una speranza e, al tempo stesso, lavorare oggi per un progretto di lungo termine e non solo per qualche campagna elettorale. Cominciamo così, con il votare nuovamente comunista votando popolare.

MARCO SFERINI

11 febbraio 2023

Foto di Monstera

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