“Yurtta Sulh, cihanda Sulh”

Halle, Germania. Un giovane di ventisette anni, dichiaratamente neonazista, imbottisce la sua macchina di ogni tipo di armamento, si dirige verso la Sinagoga nel giorno dello Yom Kippur e...

Halle, Germania. Un giovane di ventisette anni, dichiaratamente neonazista, imbottisce la sua macchina di ogni tipo di armamento, si dirige verso la Sinagoga nel giorno dello Yom Kippur e tenta di fare una strage di coloro che reputa “la causa di ogni male“: gli ebrei.

Rojava, Kurdistan siriano. Le truppe del presidente turco Erdogan passano il confine  meridionale supportate dall’aviazione che bombarda la città martire dell’Isis (ammesso che esistano città definibili “non martiri” del califfato nero…) aggredendo la popolazione curda con una “missione” che cinicamente, come ogni atto di guerra spietata, “Sorgente di pace“.

Ad Halle muoiono due persone e altre quatto restano gravemente ferite, mentre il killer neonazista tenta la fuga ma viene arrestato.

Nel Rojava muoiono decine di civili, mentre le truppe delle Unità di Protezione Popolare (YPG) tentano di respingere la repressione di Ankara che viene presentata al mondo come un atto di salvaguardia della Turchia e dell’Occidente dai “terroristi“.

La menzogna è insita nella propaganda bellica, in quella di qualunque atto imperialistico compiuto nella storia dell’umanità, perché serve sempre un pretesto per poter esercitare una sopraffazione che altrimenti, secondo i più basilari fondamenti del diritto universale, delle relazioni tra gli Stati sarebbe impossibile.

Ciò è avvenuto per le tante forzature proditorie esercitate da Adolf Hitler fin dalla rioccupazione e dalle rimilitarizzazione della Renania, passando per l’annessione di piccoli territori (Memel, Danzica) fino alle concessioni avute grazie ad una politica espansionistica che muoveva i suoi passi affermando il contrario di quanto era in realtà e mostrava d’essere: una continua acquisizione di nuovi spazi per una Germania che voleva diventare il cuore di una Europa nazionalsocialista.

Molte catastrofi e molti milioni di morti si sarebbero potuti evitare se le democrazie occidentali avessero detto più “NO” ad Hitler che, bluffando abilmente, non possedeva alcuna potenza bellica in grado di minacciare l’Europa: quanto meno nel periodo di recupero dei territori Renani con poche migliaia di uomini. Ma la propaganda è un’abile strumento di manipolazione della verità dei fatti (soprattutto se ad adoperare questo strumento è un genio della falsità come il dottor Goebbels) e, del resto, non era semplice venire a conoscenza, tanto ieri quanto oggi, dell’effettiva forza militare di una Germania che stava puntando al riarmo ma che era ancora lontana dall’essere quella macchina di morte che sarebbe stata messa in campo dal 1939 in poi.

Così, anche nella nostra epoca, a distanza di oltre settanta anni dalla Seconda guerra mondiale, nonostante Internet e tutti i mezzi di comunicazione immediata e di massa, globali e non restringibili più alla sola carta stampata o alla radio, non siamo mai certi di conoscere la vera portata degli eventi e non siamo nemmeno mai sicuri che le notizie siano corrispondenti ai fatti nonostante l’ufficialità delle fonti.

In guerra, più una fonte è “ufficiale“, più è legata agli interessi propagandistici e ha tutto l’interesse a mostrare pacifista e nobile un attacco, una brutale aggressione ad un popolo che, sostenuto dall’Occidente nel frangente della lotta al Daesh, ora si vede abbandonato al destino di uno scontro con un nemico storico che da sempre combatte contro la libertà del Kurdistan, contro il suo desiderio di diventare un paese indipendente, uno Stato che sarebbe potuto nascere dalla dissoluzione dell’Impero Ottomano ma che invece venne sacrificato sulle carte in una spartizione tra i nuovi signori del Medio Oriente di allora: Francia e Inghilterra.

Nonostante le terribili repressioni subite in tutti questi anni, i curdi sono sopravvissuti nella Turchia nazionalista, nell’Iraq di Saddam Hussein e negli altri regimi siriano ed iraniano: tutti ostili anche solo all’idea di una autonomia del Kurdistan.

La messa fuori legge del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), guidato da Abdullah Ocalan (brutalmente sequestrato dai turchi e rinchiuso nelle carceri dell’isola di Imrali), i continui attacchi contro le comunità e le città curde del sud-est della Turchia, le bombe al gas del regime di Baghdad e mille altre vessazioni non hanno piegato questa gente che vive su montagne aspre e che lambisce appena la terra desertica siriana e irachena.

Sono stati proprio i curdi siriani e iracheni a battersi più strenuamente di tutti contro il Daesh e a liberare quel nord della Siria dove il califfato nero aveva posto la sua base: prima cacciando l’Isis dalla città diventata un simbolo di libertarismo, Kobane. Poi, sostenuti dagli interventi russi e americani, hanno potuto armarsi meglio e avanzare in tutto il Rojava, arrivando a Raqqa, la città proclamata capitale da Al Baghdadi, comunque sede del comando centrale dei terroristi dell’Isis.

Oggi quelli che hanno liberato la Siria dai terroristi e li hanno rinchiusi in carceri che rischiano di essere riaperte dall’attacco turco, oggi i combattenti delle YPG sono tacciati di essere loro i terroristi.

Uno stravolgimento così evidente della realtà che persino i più moderati esponenti politici dell’Unione Europea, i meno vicini al considerare la lotta dei curdi come una lotta anche sociale, non possono negare e, per questo, chiedono al presidente turco di fermarsi, di ritirare le truppe.

Ma il gioco è stato abile: il pretesto lo hanno fornito gli Stati Uniti con la falsa mossa del ritiro totale delle loro truppe. “Solo un centinaio” saranno le unità che partiranno dal Rojava. Donald Trump ha fatto repentinamente marcia indietro, ma solo dopo aver consentito ad Erdogan di avere il pretesto per espandere i confini della Turchia, per creare quella fascia di “sicurezza” che gli consente di depotenziare l’attività della guerriglia curda dentro i confini della nuova Sublime Porta e, al contempo, di assumere un ruolo chiave nella problematica costante rappresentata da un irrequieto Medio Oriente mai veramente pacificato.

Siamo davanti al rischio di un nuovo genocidio, di una guerra di aggressione che porta con sé tutti gli elementi caratteristici e quindi tipici di quelle guerre non dichiarate, ma solo annunciate dopo che sono iniziate, come fece Hitler nell’attaccare la Polonia il 1° settembre 1939; e poi la Danimarca, la Norvegia, e poi ancora i Paesi Bassi, il Belgio e la Francia.

Un elenco di violazioni del diritto internazionale di cui i nazisti si facevano beffe affermando di voler portare la pace in Europa con il nuovo ordine nazionalsocialista.

Così Erdogan oggi si fa paladino della “libertà” portando la guerra nel territorio del Rojava, facendo massacrare dall’esercito e dall’aviazione della Mezzaluna un popolo che ha cercato la vera libertà, quella per la propria terra liberandola da un regime di terrore, fatto di tagliagole e assassini finanziati da tanti stati arabi.

Davanti a tutto questo, ditemi davvero: che differenza c’è tra il neonazista che attacca una moschea per sterminare gli ebrei e i turchi che invadono la Siria per sterminare i curdi?

L’ombra della svastica è un cupo gioco di luci fosche sul muro di una storia che si ripete: prende forme differenti dal passato, ma sempre di odio razziale si tratta, di questioni nazionali, di contrapposizioni tanto etniche quanto religiose. Sempre di disumanità parliamo, di crudeltà gratuita ai fini di una supremazia che ciascuno rivendica per sé stesso, pensando di primeggiare per potenza (politica ed economica) su altre aree del mondo ridotte a province di un impero che succede ad altri imperi.

La storia d’Europa, quella del mondo intero, è piena di queste successioni imperialistiche. Il capitalismo non ha fatto altro se non trasformare la guerra in una propaggine ulteriore degli interessi economici e l’ha presa al suo servizio con terribile costanza.

I movimenti mondiali ambientalista – pacifista e quello anticapitalista devono organizzarsi in una enorme rivolta di piazza, che non sia possibile ignorare: una indignazione ferma, risoluta contro questi regimi fascisti che si proclamano “democratici” e portatori di pace.

Per l’appunto… Il 20 aprile 1931, Ataturk, padre della moderna Turchia, pronunciò una frase che divenne il motto dello Stato erede dell’Impero Ottomano: “Yurtta Sulh, cihanda Sulh”. Tradotto vuol dire: “Pace in patria (in casa), pace nel mondo”.

L’esatto contrario di quanto sta facendo oggi Erdogan.

MARCO SFERINI

foto tratta da Flickr su Licenza Creative Commons

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