Un minuto dopo il ballottaggio, di nuovo anche contro Macron

La domanda che ci siamo posti poco prima dello spoglio delle schede del primo turno delle presidenziali francesi, ossia se il “fronte repubblicano” avrebbe retto alla prova dell’eventuale ballottaggio...
Emmanuel Macron

La domanda che ci siamo posti poco prima dello spoglio delle schede del primo turno delle presidenziali francesi, ossia se il “fronte repubblicano” avrebbe retto alla prova dell’eventuale ballottaggio tra Emmanuel Macron e Marine Le Pen, è oggi più che attuale che mai. Ci sono buone speranze sull’effettiva possibilità di sconfiggere la candidata del Rassemblement national. Soprattutto dopo le dichiarazioni di Mélenchon, Roussel, Hidalgo, Jadot e Pécresse.

A parole, almeno, il fronte repubblicano sembra tenere. Persino sconfinare oltre il consueto: dai gollisti al Nuoveau Parti Anticapitaliste di Poutou. E conta relativamente poco la formula adottata per unire le forze e fare argine all’ennesimo tentativo della destra estrema di arrivare all’Eliseo, perché il risultato è tutto.

La dura legge del doppio turno pone al bivio degli esami di coscienza politica, civile e persino morale: votare il meno peggio? Sostenere direttamente col voto e indirettamente col cuore e con la mente chi è comunque lontanissimo dai nostri convincimenti e dal nostro impegno quotidiano per migliorare una società che vorremmo rovesciare? Oppure riconoscere che, fatte le debite differenze, Macron e Le Pen sono due facce di una moneta falsa, che trucca il gioco delle parti sociali e che mira comunque a dividere i lavoratori, a separare gli indigenti e fare della lotta di classe una lotta nella classe stessa?

I dubbi sono legittimi, le angosce anche, perché senza passione non c’è politica e senza un tormento davanti ad una scelta di questo tipo vi sarebbe da dubitare che si hanno davvero delle precise convinzioni su quello che si pensa e su quello che si fa ogni giorno di conseguenza.

I rigidi analisti politici, tutti calcolo e calcolatrice, scendono nel profondo delle cifre, le disarticolano, ne fanno il campo di lotta dei prossimi quindici giorni: quelli che separano i francesi non “dalla scelta“, bensì “dalle scelte“. La semplificazione forzata del ballottaggio impone di ridurre le scelte del primo turno, al massimo, a quattro opzioni a cui, tuttavia, si arriva da una pluralità di posizioni molto più articolate e differenti fra loro.

La prima di queste opzioni è votare o non votare. Anche l’astensione dalle urne è una forma di espressione democratica, anche se rischia di favorire indirettamente scelte altrui, senza alcun tentativo di ostacolarle con il democratico, eguale (facciamo che sia così…) diritto di voto, quindi con un confronto a distanza, dentro l’indistinguibilità dei consensi nel segreto delle urne. Per questo, tutte e tutti ormai, al cospetto di leggi elettorali che anche in Italia hanno adottato il doppio turno, sappiamo a cosa si troveranno davanti i francesi il 24 aprile: un compromesso con sé stessi.

Un compromesso che, fatti salvi gli elettori convinti dal primo turno a scegliere tra il liberismo centrista di Macron o il sovranismo neonazi-onalista della Le Pen, impone a tutti gli altri di decidere il “che fare“.

Qualcuno può, legittimamente, vedere in tutto questo un alto esercizio di democrazia partecipata, una sorta di prova ulteriore per una partecipazione popolare che consolida così la delega dal basso verso l’alto; e per certi versi può anche essere così, perché di sicuro il ballottaggio impone delle riflessioni e mette davanti a problematiche che investono la natura stessa del consenso, la ragionevolezza di un voto che non è direttamente legato alle proprie intime convinzioni politiche ma che, e qui sta tutta la natura prepotente del compromesso, richiede una buona dose di pazienza e di esercizio nel saper arrivare a patti con sé stessi.

L’ottimo risultato avuto da Mélenchon e quello discreto di Roussel, che supera l’ormai esigua platea di voti socialisti, permettono di fare una considerazione proprio tra la portata del consenso dato alle forze della sinistra di alternativa, la frammentazione delle stesse e i due turni elettorali francesi. E’ evidente che, se il candidato della guache fosse stato solamente il leader de La France Insoumise, il ballottaggio del prossimo 24 aprile avrebbe avuto come primo, enorme risultato quello di relegare al terzo posto madame Le Pen.

Ad una riflessione tutta politica sul rapporto tra legittima presentazione delle differenti istanze della sinistra francese, del più che democratico diritto di esprimere anche le posizioni più diverse davanti all’elettorato della Repubblica, si accompagna il tema, sempre attuale nelle tornate elettorali che prevedono il doppio turno (con sistema maggioritario e uninominale), dell’opportunità sulla presentazione di candidature multiple in uno schieramento ben distinguibile dagli altri.

Ed è proprio questo il punto: la legge elettorale che prevede il ballottaggio tra i due maggiormente votati al primo turno costringe a considerare evitabili alcune posizioni politiche, trascurandone l’importanza per la dialettica anche sociale che si innesta nel dibattito tanto nazionale quanto locale su temi di non poco conto. Quella che può sembrare una doppia partecipazione popolare, facendo prevalere la quantità sulla qualità del voto, si riduce invece ad essere un elemento di nocumento nella considerazione delle proposte politiche che sono in minoranza rispetto ai candidati e ai partiti e movimenti che ottengono la maggioranza (molto relativa) dei consensi.

L’alternanza che un tempo esisteva tra gollisti e socialisti, venuta meno la credibilità e il rapporto sociale che il partito di De Gaulle e quello di Mitterand avevano presso larghi strati della popolazione, viene oggi sostituita da un ripetitivo, e molto poco salutare dal punto di vista democratico, ricorso al “fronte repubblicano” per fare da argine alla minaccia neofascista prima e di estrema destra sovranista successivamente che la famiglia Le Pen – con alterne vicende tra padre e figlia – rappresenta. E non solo per la Francia.

E’ chiaro che non è solamente il sistema elettorale ad essere sotto accusa, visto che esso è solo in parte la causa di scelte politiche preordinate e che, per la maggiore, rispondono ad interessi economici che condizionano l’andamento istituzionale della République. Ma è altresì acclarato il contrappeso che mette sul piatto della bilancia un doppio turno che rischia di non essere più adeguato ai tempi, lontanissimo dal ruolo di nume tutelare dei una democrazia minacciata da spinte nazionaliste, da collisioni antisociali prodotte sull’onda di un pandemonio populistico, costruito ad arte per indebolire ancora di più i patetici giustificazionismi del “presidente dei ricchi“.

Dunque, il ballottaggio ora pone gli oltre 11 milioni di elettori francesi che hanno votato per Mélenchon, Roussel, Hidalgo, Jado, Poutou e Arthaud a scelte che possono prescindere dai singoli appelli dei candidati esclusi dal secondo turno. Sia Macron che Le Pen possono sperare di raccogliere voti nella palude dell’indecisione, dell’astensionismo, della più che comprensibile e condivisibile avversione tanto per un liberista senza se e senza ma, quanto per una neofascista mascherata da esponente di destra moderata soltanto grazie alla presenza di Zemmour e della sua propaganda antisistema, razzista, xenofoba e omofoba.

Ben oltre l’incognita dell’astensionismo del primo turno, il punto dirimente è quanto elettorato di sinistra, moderata o radicale che sia, andrà convintamente diretta sul nome di Macron, quanta vi arriverà in contrarietà alla possibilità che madame Le Pen possa varcare la soglia dell’Eliseo e quanti, invece, si asterranno o voteranno scheda bianca. Una ipotesi, quest’ultima, caldeggiata da Lutte Ouvriere e da madame Nathalie Arthaud: l’uno o l’altra pari sono per la classe operaia. Si riconosce il voto come valore civile e sociale, ma si sceglie di non preferire nessuno ma, così, pure di non penalizzare nessun altro.

E’ la dura legge del ballottaggio: non scegliere tra due opzioni, astenersi o disertare le urne, pur essendo scelte legittime, altro non fanno se non indirettamente (e quindi molto direttamente) permettere una altrui scelta molto di più rispetto al primo turno. In presenza di molte candidature i giochi sono sempre aperti; ma quando la sfida è a due e le nostre possibilità sono più di due, si dovrebbe riflettere su quale delle nostre scelte è più adatta e consona a determinare uno scenario più propenso ad una lotta sociale che si concretizzi nei mesi successivi al voto.

In sostanza, è più utile fare opposizione al liberismo macroniano o consentire al sovranismo neofascista lepeniano di egemonizzare la scena sociale e politica con le false promesse a milioni di lavoratrici e lavoratori, di precari e pensionati su un rinnovamento da destra del disastro economico prodotto dalle politiche degli ultimi cinque anni?

Scambiare il falso interesse sociale dell’estrema destra, sempre pronta a mettere il povero contro un altro povero, il migrante contro il francese e a fare delle differenze uno stigma permanente nelle zone dove il disagio sociale regna sovrano, per una sincera vicinanza ai problemi del moderno proletariato periferico della capitale e delle grandi città della Francia, è l’errore che occorre evitare da parte di tutti gli elettori della guache.

Non un voto deve andare a madame Le Pen. Non un voto di sinistra. Ma nemmeno un voto andrebbe sprecato nel potenziale che gli resta: quello non di essere soltanto “per Macron“, ma “contro Le Pen” fino allo spoglio delle schede e, immediatamente dopo, tornare ad essere una forza di contrattazione per condizionare una presidenza che avrà il suo bel da fare nel rapportarsi con una Assemblea Nazionale dove gli equilibri interni cambieranno. E di molto.

Difficilmente “La Répubblique en marche” avrà ancora 314 seggi di maggioranza tra qualche mese, quando si terranno le elezioni legislative e, ancora una volta, il perverso meccanismo dell’uninominale a doppio turno altererà quella parvenza di proporzionalità del voto che traspare timidamente soltanto dal primo spoglio delle schede.

Con tutto questo dovrà fare i conti l’elettorato francese il 24 aprile. Soprattutto quello della sinistra vera, della sinistra di alternativa. Battere i sovranisti oggi e la maggioranza macroniana a giugno è possibile, lavorando fin da ora ad un ripensamento del sistema elettorale proporzionale, ad una nuova Repubblica francese più vicina alle scelte di ciascuno e non solo a quelle che si rivelano maggioritarie.

MARCO SFERINI

12 aprile 2022

foto: screenshot tv

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