Telefonate e piani di ricostruzione: tutto tranne la pace

Tutto ciò che porta verso la soluzione diplomatica e la pace è benvenuto. Ma non è detto che qualunque iniziativa porti con sé un destino migliore per l’Ucraina, per...

Tutto ciò che porta verso la soluzione diplomatica e la pace è benvenuto. Ma non è detto che qualunque iniziativa porti con sé un destino migliore per l’Ucraina, per la Russia e, siccome siamo sulla scena di una crisi mondiale, anche il resto delle nazioni che vi sono direttamente o indirettamente coinvolte.

Quando, ad esempio si fa riferimento a coinvolgimenti “indiretti“, la tentazione di pensare alla “guerra per procura” della NATO, degli USA e anche dell’Europa è forte. Ma si tratterebbe di una cecità prima di tutto politica e, solo in un secondo tempi, di un frantendimento linguistico, di una pessima parafrasi descrittiva di un piano molto bene congegnato per agguantare le circostanze e mostrare al mondo che esiste, in fondo, soltanto un imperialismo, un aggressore che intende allargare i suoi interessi geostrategici: la Russia.

Invece la dottrina Stoltenberg-Biden esige che l’intromissione nordatlantica negli affari di altri Stati si possa esercitare, anche con la guerra, ma facendola questa volta senza invasioni terrestri: utilizzando il popolo ucraino come pretesto, e non certamente solo da oggi, per portare quei confini dell’Alleanza verso est, ai limiti della stessa regione geografica europea.

Per coinvolgimenti “indiretti“, semmai, è più corretto riferirsi alla Cina, né più né meno della Turchia di Erdogan, se si tenta un paragone sul fronte diplomatico: Ankara con lo sguardo verso la NATO (di cui fa parte) e verso un tentativo di accesso al polo economico rappresentato da Bruxelles e Francoforte; Pechino con lo sguardo invece rivolto a Mosca, a cui dimostra una amicizia “senza limitazioni“, senza alcun confine.

Ed ecco che la telefonata di Volodymyr Zelens’kyj a Xi Jinping può essere letta, fatte queste premesse, come una apertura più che politica, anche economica e, in questo senso, nettamente strategica: la Cina gioca su più livelli e non disdegna di mostrarlo ai suoi avversari. Anzi. La telefonata con Kiev fa aggrottare le ciglia tanto di Putin quanto di Biden e rende nervosi entrambi mentre il conflitto ristagna su un fronte che non avanza e non indietreggia.

La facile profezia del capo di stato maggiore USA Mark Milley è da profeta non in patria ma, più che certamente, da attento osservatore di come il conflitto sta languendo, di quanto tempo passa e di quanto ancora ne può passare. Nel mentre Washington, britannici ed europei continuano a promettere sempre maggiori armamenti a Kiev, la Russia richiama altri riservisti e la crisi di Taiwan, soprattutto alla luce dei nuovi fatti, rischia di ingigantirsi ancora di più.

Se Xi Jinping promette a Zelens’kyj il rispetto dell’integrità nazionale del suo paese, resta molto attento a non definire “guerra” quella che per i cinesi è una “crisi” indubbiamente internazionale. E’ una meticolosa attenzione a terminologie che, soprattutto in campo diplomatico, sono utili a circostanziare i limiti entro cui si muove una superpotenza e a parlare senza dire, ad intendersi chiaramente senza nemmeno bisogno degli sguardi.

La Cina funge da mediatore come la Turchia, ma la sua attorialità in questo frangente è tutta rivolta al consolidamento dell’asse con Mosca in funzione antiamericana. C’è un bilanciamento da rispettare se si vuole avere dalla propria parte Mosca nel possibile scontro aperto su Taiwan.

Xi Jinping non si sofferma molto sulla questione dell’integrità territoriale ucraina e del diritto all’indipendenza di questo o quel territorio o popolo. Il problema della Cina nazionalista è proprio quello che potremmo chiamare un “affare interno” per Pechino ma non, indubbiamente, per il resto del mondo occidentale.

Così, riprendendo il filo del discorso iniziale, sono legittimi tutti i dubbi sul fatto che la telefonata tra il presidente ucraino e quello cinese sia veramente un passo verso una apertura di credito da parte del grande drago asiatico nei confronti di uno Stato che non fa che chiedere l’adesione alla NATO, all’Unione Europea e a quell’occidentalissimo schema di costruzione delle alleanze che è il primo nemico proprio del grande paese di Mao.

Che si tratti di un tentativo di maggiore accreditamento internazionale in chiave diplomatica e relazionale, anche con i diretti avversari nel quadro dell’economia capitalistico-liberista globale, è abbastanza ovvio e lapalissiano. Che nella telefonata più famosa dell’anno vi siano i presupposti per un anche cauto ottimismo sul piano della diplomazia e del raggiungimento di un accordo bilaterale per arrivare almeno ad un cessate il fuoco, è una ipotesi come altre, ma ancora timidamente relegata al livello della blanda illazione.

Nonostante la saggia prudenza nel maneggiare questioni di così alto spessore di politica internazionale, con tutte le trame che sussistono e che sono immaginabili, visto che non sono francamente conoscibili, e che riguardano prima di ogni altra cosa interessi di carattere economico e finanziario, non è poi così difficile immaginare come Pechino, più che nei confronti del contesto europeo dell’Est, l’area – per intenderci – intercapedine tra UE e Russia, abbia interesse a destabilizzare ben altri equilibri, inserendo dei cunei di contraddizioni proprio in seno agli alleati presenti e futuri degli Stati Uniti e della NATO.

Un risiko mondiale che ci porta sulla soglia della guerra atomica in Europa e di quella guerreggiata nell’Asia meridionale, senza risolvere nessuno dei conflitti che si agitano nel Medio Oriente e permettendo alla Cina di insediarsi con sempre maggiori garanzie imperialiste nel disperato continente africano. Del resto, si sa che le bande armate putiniane scorazzano in molti paesi in cui sono in atto guerre civili più che decennali.

La crisi sudanese potrebbe essere un ennesimo tragico teatro di prova in questo cinico quadro di riposizionamento delle potenze mondiali in vista di una modificazione strutturale degli interessi del grande capitalismo osservato da Fondo Monetario internazionale e istitui bancari affini.

Mentre tutto questo avviene nel resto dell’Europa e del mondo, in Italia si pensa già alla ricostruzione ucraina, al proittare oltre 600 aziende nel mare magnum dell’appetibilissima cifra di oltre quattrocento miliardi di dollari per investimenti postbellici, concordati con l’Ucraina, per la rimessa in sesto di tutte le infrastrutture, di una economia oggettivamente al collasso.

Un ghiottissimo boccone per una serie di multinazionali e di grandi imprese che non vedono l’ora della fine della guerra, anche se – a continua detta dei servizi inglesi e di altri osservatori sul campo – questa sarà ancora molto, molto lunga.

Giorgia Meloni intende accrescere il prestigio inesistente di un governo impreparato e impossibilitato a gestire la multicrisi attuale proprio facendo del nostro Paese la base ospitante la spartizione della grande fetta di interessi capitalistici e finanziari tanto delle imprese italiane quanto di quelle ucraine. La conferenza bilaterale tenutasi all’EUR è stata solo un accenno, una spolerizzazione di quello che dovrebbe essere lo scenario degli accordi economico-politici tra due anni.

Si prevede che la guerra per allora sarà finita. Nessuno può dire se sarà così, ma di sicuro gli affaristi che hanno sentito il chiaro odore della speculazione a buon mercato sulle macerie morali, materiali e umane del conflitto, possono ben sperare fin da subito, ancora prima che il conflitto abbia preso una qualche, traballante e incerta via del negoziato.

Putin e il suo governo rimangono sulle posizioni espresse in questi mesi: nessuna pace prevede la restituzione dei territori occupati al momento.

Gli oblast di Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e parte di quello di Kherson, vengono considerati ormai parte integrante di quella “nuova Russia” storicamente data come parte integrante e inscindibile dalla madre patria. Permetterne la riconquista da parte di Kiev vorrebbe dire mettere in discussione il controllo pressoché totale del Mar Nero e, quindi, riconfingurare anche gli assetti creatisi sulle importazioni ed esportazioni di materie prime. Il grano fra tutte.

Proprio intorno alle navi ed ai treni carichi di questa graminacea si è svolta una battaglia tutt’altro che conclusa. I produttori polacchi, slovacchi, ungheresi e di altri paesi anche non inclusi nel blocco di Visegrad, sono in costante fermento e minacciano la stabilità politica dei loro governi con proteste e sommosse che, infatti, hanno indotto Varsavia a bloccare i rifornimenti verso Kiev.

Ciò significa che le contraddizioni interne anche allo schieramento occidentale sono evidenti e certamente conosciute dal gigante cinese. Una telefonata potrà promettere le migliori intenzioni sul piano diplomatico, ma non farà finire la guerra come già in tanti troppo ottimistici commentatori si apprestano a scrivere, dire e ripetere. Magari fosse così…

Una telefonata, in uno scenario tutt’altro che ottimistico, rischia addirittura di esacerbare gli animi di altri, di inasprire le tensioni e di estendere i conflitti già in essere o quelli che si prospettano al cupo orizzonte di un’Asia in fibrillazione. Una telefonata, tuttavia, può anche servire a sparigliare i giochi, a fermare un attimo le frenetiche mosse belliche, le pseudo esercitazioni militari, i sorvoli di cieli vietati, le provocazioni che non si contano più quando c’è di mezzo la voglia di fare tutto tranne che la pace.

L’Italia di Giorgia Meloni guarda ad una pace che si fondi sulle rassicurazioni militariste per l’adesione totale alla linea della NATO, al riarmo fino al 2% del Prodotto Interno Lordo della spesa pubblica, sempre in sintonia con i dettami di Stoltenberg e Biden, alla saldatura del capitalismo italiano con quello ucraino (ed americano) per entrare nell’affare della ricostruzione.

Se questa è pace, bisogna allora trovare un altro termine per descriverla meglio, perché a tutto somiglia tranne che all’interesse dei popoli che subiscono gli opposti imperialismi, le simili guerre, le identiche mire di egemonia in una globalizzazione sempre più spietata, disumana e devastante per tutto il resto del pianeta.

MARCO SFERINI

27 aprile 2023

foto: screenshot tv

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