Per una alternativa alle destre e ai finti progressisti

Se le elezioni politiche che si terranno tra meno di quarantotto ore potessero rappresentare una cesura col passato, allora si potrebbe parlare di “voto utile” in tutti i sensi....

Se le elezioni politiche che si terranno tra meno di quarantotto ore potessero rappresentare una cesura col passato, allora si potrebbe parlare di “voto utile” in tutti i sensi.

Utile soprattutto ad una Italia che, grazie ai governi che l’hanno attraversata in questi ultimi anni, ha conosciuto un ribasso salariale eclatante, tanto da essere divenuto un punto di paragone per tutti gli altri paesi dell’Unione Europea in merito; un’Italia che è rimasta democratica soltanto su un piano meramente formale, mentre apparati finanziaria, potentati economici e confidustriali di ogni tipo sono riusciti, ancora una volta, da buona “struttura” che controlla la “sovrastruttura” istituzionale, ne hanno diretto i rapporti proprio con la UE e si sono fatti accreditare la maggior parte delle risorse del PNRR.

Se le elezioni politiche potessero, oggi, essere davvero una separazione netta con il recentissimo passato del governo Draghi, della concezione quasi totalizzante, che finge di essere pluralista quando tratta di temi civili e di essere, invece, assolutamente concorde nel trattare i diritti sociali e le ricadute che hanno, nell’essere difesi o offesi a seconda delle maggioranze che si vengono a creare (soprattutto se sono di “unità nazionale“…), allora avrebbe un senso parlare di “voto utile“.

Senza nemmeno il bisogno di affannarsi alla costruzione di una critica, di un controcanto rispetto alle proposte di riformulazione di uno stato-sociale degno di questo nome fatte dal PD e dalla sua micro-coalizione di liberisti a buon mercato, per evidenziare questa unanimità di consensi e uniformità di vedute circa l’accettazione dei princìpi del liberismo in materia di gestione delle politiche economiche italiane, è bastata la rivendicazione di quell’araba fenice che è divenuta, all’improvviso, dopo la caduta del governo, l”agenda Draghi”.

Si tratta di un fenomeno davvero impressionante e che rende la cifra veritiera di una completa adesione ai dettami stabiliti da Draghi in merito al rapporto con le istituzioni europee e, quindi, con quelle che vi fanno riferimento sul piano squisitamente economico e finanziario.

Da Renzi a Calenda, dalla Bonino a Letta, da Forza Italia a Di Maio, e persino passando per l’ultima tentazione della Meloni di sfiorare i confini dell’agenda in questione, senza dimenticare le sue origini missine e neoanazi-onaliste, la piattaforma che Draghi non ha mai scritto o dettato è diventata il paradigma della politica italiana.

Lo è diventata per tutti quei partiti che intendono rassicurare i mercati, le borse, la grande finanza e il padronato in generale: chi li vota, può starne certo, dovrà accettare dei correttivi sociali dettati da una specie di compromesso con le classi che scalpitano per poter sopravvivere un giorno in più di quelli che gli vengono concessi dai salari da fame e dalla precarietà conclamata, ma, lo si sappia, la piena aderenza alla linea tracciata da Draghi non è in discussione.

E, siccome sono inconciliabili stato-sociale, o anche timidi riforme in questa direzione, e “agenda Draghi“, lo scopo del nuovo compromesso interclassista che si pretenderebbe di avanzare nella prossima legislatura è quello di trovare una giusta collocazione qualunque coalizione vinca: destre, PD o terzo polo, le classi dirigenti economiche e finanziarie di questo disgraziato Paese hanno la certezza che saranno tutelate nei loro privilegi, nei loro azzardi borsistici e nei loro avventurismi affaristici attraverso garanzie pubbliche su interessi del tutto privati.

Per questo l’insistenza sul “voto utile” è, alla fine, indirizzata a canalizzarsi su una preferenza per un aggregato di formazioni che si differenzi dalle altre soltanto sul piano dei diritti civili che, tuttavia, non avrebbero alcun margine di espansione e di pieno godimento se l’altra metà del cielo dei diritti stessi, quella sociale, fosse oggetto di un costante attacco da parte di un governo tutto proteso a impedire che possa avere una qualche voce, critica e di protesta, un nuovo movimento dei lavoratori, dei precari e di quanti subiranno i peggiori effetti della congiuntura attuale.

La novità politica di queste elezioni, in quanto a discontinuità col passato dei governi politici e tecnici, per ultimo la grande maggioranza di unità nazionale di Draghi, dovrebbe essere rappresentata da una rottura netta della certezza che, chiunque vinca, lo status quo economico e antisociale non possa incontrare alcuna destabilizzazione di sorta.

Il tasso di pericolosità antidemocratica, anticivile e antisociale della destra è indubbiamente più alto di quello della coalizione “democratica e progressista” di Letta, Bonino, Di Maio e Fratoianni; ma quale tipo di ricomposizione sociale intende proporre all’Italia un insieme di partiti che, a parte Sinistra Italiana, ha sostenuto senza se e senza ma ogni misura fatta votare da Draghi al Parlamento del consenso pressoché univoco e universale?

Non si può pensare, del tutto sinceramente, che le potenzialità sociali di questa coalizione compensino l’attacco che la destra farà ai diritti civili e alle libertà già ampiamente compromesse in questi anni: la riduzione delle Camere a ratificatrici delle misure stabilite da Palazzo Chigi è una distorsione della democrazia sostanziale che è, fino a prova contraria, emanazione di quella Costituzione che, a parole, tutti dicono di volere proteggere dalle riforme più invasive.

Nel momento in cui il mio “voto utile” fornisce anche solo un pretesto, a questa coalizione, per agire in nome e per conto del mondo del lavoro contro lo stesso mondo del lavoro, richiamando come necessità impellente la “difesa dell’interesse nazionale” (leggasi: la prevalenza del privato sul pubblico), non introducendo alcuna progressività fiscale, non tassando al 90% gli extra-profitti, non invertendo la rotta sugli investimenti in economia di guerra e tralasciando una riforma necessaria che ridia allo Stato la gestione dei grandi comparti sociali come la scuola e la sanità, devo chiedermi: ma davvero il mio voto è stato utile?

Se bisogna iniziare a sovvertire le logiche di potere che hanno portato i partiti tanto di destra quanto di centro(sinistra) a sposare un governismo a tutto tondo nel nome di sé stessi e della simbiosi con una classe imprenditoriale che ha la necessità di essere rappresentata senza finzioni e senza troppe preclusioni ideologiche, allora occorre iniziare dalla decostruzione del modello stesso che è stato messo in atto.

Bisogna dare un segnale forte a chi pretende di rivendicare la diseguaglianza del voto creando consensi “utili” e altri “meno utili“, affermando che ogni voto ha la sua dignità ma che, a quel punto, se pretende di averla (come è giusto che sia) ci si deve assumere la responsabilità di ciò che si vota, sapendo che l’uguaglianza del voto si ferma laddove lo consente de jure proprio la norma, il principio che la ispira, il dettame costituzionale.

Un attimo dopo questa considerazione, il voto diviene un atto politico, civile, sociale, morale e anche ideale e ideologico. In quella scheda che infiliamo nelle urne dovrebbe esserci anzitutto una visione della società, per come la vogliamo, per come la intendiamo nel presente e nel futuro. Dovrebbe esservi un potenziale rappresentativo che assegni a chi deleghiamo il compito di portare in Parlamento un connubio tra l’interesse del singolo e quello della collettività, impedendo al primo di prevalere sul secondo e viceversa, perché ogni particolarità sociale, ogni differenza e minoranza hanno il diritto di essere tutelate appieno.

Il “voto utile” oggi è un richiamo quasi patetico ad una competizione inesistente tra quella destra che è molto poco centro e quel centro che non ha nulla di sinistra: è stata la trasformazione antropologica di una società in subbuglio e in movimento costante, a determinare le circostanze di un cambiamento che la politica, di per sé, non avrebbe voluto contemplare e di cui non avrebbe minimamente ragionato nella sedi parlamentari.

Si tratta di un ritorno alla proporzionalità del voto, alla fine del maggioritario, dell’uninominalità, delle leggi elettorali pro domo propria, mettendo (forse) fine alla stagione dell’estaticità provocata dall’innamoramento per la democrazia d’oltreoceano, trattata come l’antonomasia incontestabile, sancita dalla Storia dell’involuzione (dis)umana.

Non è sufficiente, però, attendere che i tempi siano maturi di per sé e lasciare al casualità (un po’ meccanicistica) degli eventi, perché le classi dominanti sanno bene fare i conti, anche e soprattutto quando si tratta di prospettive politiche che rientrino senza ombra di dubbio nel più vasto contesto europeo, nella assoluta condivisione dei parametri elaborati da commissioni e banche che seguono i dettami delle grandi organizzazioni poste a tutela del capitalismo globale (FMI, Banca Mondiale…).

Ciò che serve è rimettere in circolazione una criticità diffusa, a cominciare dalla ricomposizione di una sinistra di alternativa che possa tornare in Parlamento e anche da lì, oltre che dai contesti sociali e del mondo del lavoro e del non lavoro, riaprire vertenze che facciano interagire sindacato e partiti, associazioni culturali e sociali, stimolando un dibattito vasto, una coltivazione del dubbio e della messa in discussione di affermazioni e di contesti spacciati per necessari e imprescindibili.

Dall’età pensionabile alla riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, dall’alternanza scuola-lavoro al reddito sociale (perché cittadini dobbiamo poter essere considerati tutte e tutti dentro un contesto collettivo e comunitario), dalla riconsiderazione del rapporto tra ambiente e sviluppo produttivo, dall’interfacciare i diritti civili con quelli sociali, compenentrarli e farne un unico paniere su cui innestare una nuova applicazione della nostra Costituzione.

Dobbiamo lasciare l’ipocrisia pelosa del “voto utile” a chi non vuole più essere di sinistra ma continuare a potersi dire tale facendo politiche da “agenda Draghi“, in competizione (o in alleanza dopo il voto) con il progetto neocentrista di Calenda, Renzi e perfino Toti e Lupi. Dobbiamo esprimere un voto non solo utile, ma utilissimo.

Questo voto non può che essere, superlativamente, un consenso che unisce tanto l’opposizione al tentativo delle destre di oltrepassare la Costituzione repubblicana nel nome di sé stessa, usando la democrazia, quanto l’altro tentativo, quello del centro(sinistra) di portare i diritti del mondo del lavoro al traino della variabile dipendente dell’interesse privato e del liberismo nostrano.

Non è possibile essere di sinistra e, nel nome della tutela del Paese dalle destre, stare anche tecnicamente con chi ha fatto un coerente percorso liberista, provenendo da una connubio tra socialdemocrazia e popolarismo, affermando di essere pronti anche ad «aprire a Calenda» per proteggere l’Italia dal pericolo del sovranismo meloniano. Così si ritarda sempre di più il percorso di ricostituzione della sinistra di alternativa; così si fanno solo le mosche cocchiere di altre carrozze e di altri signori che le abitano comodamente.

Ammesso che, ce lo dica Fratoianni, davvero si intenda ancora essere una sinistra di alternativa e non ci si sia abituati volutamente a rappresentare una diversità apparente, soltanto intenzionale, magari anche in parte sincera, ma oggettivamente insufficiente a modificare gli assetti e gli equilibri di maggioranze di cui, oltre tutto, a quanto si è capito, non si intende fare parte dopo il voto.

Per queste ragioni, il voto ad Unione Popolare è quel voto più che utile, appunto utilissimo che può segnare un primo passo per un inizio di una lunga traversata: non più nel deserto nostro e anche degli altri, ma nelle difficoltà che incontreremo per ridare all’Italia una sinistra critica, sociale, della pace e del lavoro, dell’uguaglianza e dell’ostinazione a lottare contro un liberismo che non può farla da padrone anche con i voti di chi crede di combatterlo votando un progressismo davvero inesistente e inconcludente.

MARCO SFERINI

23 settembre 2022

foto: screenshot

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