La lacerazione del PD nel nome della grande finanza

Indietro non si torna. O se si torna, si tratta di qualche così minuscolo passettino che non riesce ad essere percettibile in termini di svolta, di cambiamento radicale di...

Indietro non si torna. O se si torna, si tratta di qualche così minuscolo passettino che non riesce ad essere percettibile in termini di svolta, di cambiamento radicale di un impianto presuntamente riformatore che ormai procede a passi levati verso la fatidica data del 4 dicembre.
Matteo Renzi non concede molto alla minoranza interna del Partito democratico e rilancia: siano loro a dare fiducia a lui e al Partito, nonché al governo intero, nella battaglia delle battaglie, quella dove il presidente – segretario si gioca praticamente tutto.
Dalla direzione democratica esce, quindi, non quella unità auspicata da Altan oggi su le colonne del povero giornale fondato da Antonio Gramsci, ma una divisione ancora più lacerante del previsto. Spettri di scissionismo si agitano e si paventano mentre qualcuno tenta di operare dei distinguo e tenere aperta una porta ad una forma di speranza legata alla legge elettorale. Cambierà, sostiene Renzi, ma solo dopo il voto di dicembre. Quindi un cappio al collo di una minoranza impotente, divisa essa stessa sul da farsi.
“Democratici per il NO”, Massimo D’Alema, Alfredo Reichlin e molti altri fanno avanzare le ragioni di una opposizione che, disordinatamente, tenta di aggregarsi e di creare un fronte di contrarietà mai visto prima dentro il Partito democratico modello “nazione” così come voluto da Renzi e approvato dalla stragrande maggioranza di iscritti e dirigenti.
Dunque, se calcolassimo le potenzialità del NO solamente sulla base di una somma numerica delle percentuali ottenute dalle forze politiche che oggi si esprimono su questa posizione referendaria, potremmo a ragione affermare che ci troviamo davanti ad una proporzione ondeggiante tra il 70% contro la riforma renziana e il 30% a favore.
Ma un calcolo di queste proporzioni è viziato a monte da una interpretazione errata che si trova tutta nell’impossibile confluenza di voti diversi per estrazione politica, culturale, sociale ed economica.
Non tutto il popolo della destra voterà secondo le indicazioni dei partiti di riferimento. E, così, non tutto il disomogeneo popolo grillino si esprimerà per il NO. Forse una maggiore convergenza e compattezza la possiede ancora il popolo della sinistra di alternativa, sempre in diaspora, che ritrova in queste occasioni un momento di confronto comune, di ritorno al dialogo e di riscoperta di posizioni affini e di valori condivisi.
Le forze vere in campo sono quelle economiche e sociali: grande finanza, Confindustria e borghesia imprenditoriale media da un lato; indecisi, precari, senza futuro, disoccupati, lavoratori, pensionati, studenti, sindacati (non tutti), vecchio e nuovo mondo della memoria e della cultura di sinistra, costituzionalisti, e una larga parte di rivoltosi democratici dall’altro lato.
La separazione verticale esiste, si alimenta ogni giorno attraverso nuove scelte di campo di storici appartenenti a vecchi luoghi di pensiero e ideologie, e diventa un solco insuperabile, dove il Paese prende forse coscienza, per una volta tanto, di una partigianeria che aveva dimenticato nel mare magnum dei populismi, delle indefinizioni e dei trasversalismi di giallo, rosa o nero colorati.
La scelta, quindi, è tra lo stare con un SI’ promosso dai sostenitori di un mercato globale e finanziario che ha bisogno di governi forti e di meno discussioni parlamentari, quindi di un progressivo impoverimento della democrazia repubblicana, oppure schierarsi con il NO e difendere con ogni singolo voto, davvero con le unghie e con i denti, ciò che può ostacolare la facile via del controllo del consenso attraverso la logica del profitto.
In fondo, in estrema sintesi, sta tutto qui il discorso dei discorsi, “lu cunto de li cunti”…

MARCO SFERINI

11 ottobre 2016

foto tratta da Pixabay

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