Accredito estero e compatibilità interne: doppia sfida per Giorgia Meloni

I cari vecchi e nuovi governi di quella che un tempo si sarebbe potuta tranquillamente definire “la borghesia“, per eccellenza, per antonomasia, per controllo del potere politico e imposizione...
Giorgia Meloni

I cari vecchi e nuovi governi di quella che un tempo si sarebbe potuta tranquillamente definire “la borghesia“, per eccellenza, per antonomasia, per controllo del potere politico e imposizione dello stesso sulle fasce sociali più deboli, quei governi non si sarebbero mai lasciati attraversare da pulsioni divisive, da contraddizioni che impedissero quell’esercizio di dominio economico e strutturale sulla sovrastruttura istituzionale.

Capaci di adattarsi ad ogni evenienza, i borghesi di un tempo e quelli di oggi, molto grandi, esosi e che si fanno chiamare “imprenditori” piuttosto che “padroni“, sanno che, per essere ancora passibili di una rispettabilità che ritengono dovuta, non si possono permettere contaminazioni politiche che vadano a scadere in un ideologismo della politica dal retrogusto di nostalgismo, di revisionismo tanto storico quanto propriamente governativo.

Non fa eccezione Mario Draghi che, da buon banchiere e uomo di economia e finanza, lascia i conti in ordine per figurare una crescita del PIL che va oltre le aspettative e che, si badi bene, non significa affatto redistribuzione della ricchezza verso il basso, ma piuttosto verso l’apice della piramide sociale.

I miliardi di avanzo che il governo uscente predispone come eredità del suo anno e mezzo di guida del Paese, sono tutti quanti da destinare ancora una volta alle imprese per tutelarle dai sobbalzi di un mercato che segna il passo su determinati settori e che invece fa registrare extra profitti da capogiro per tutte quelle grandissime, enormi, globali multinazionali del gas e dell’energia.

I dati forniti da ReCommon, frutto di studi e di ricerche approfondite degli ultimi mesi, parlano chiaro: Bp, Eni, Equinor, Repsol, Shell e TotalEnergies hanno ottenuto dallo sfruttamento della situazione contingente 74,55 miliardi di dollari di profitti oltre i profitti che solitamente fanno. Questi extra sfuggono alla tassazione progressiva che, ad esempio, Unione Popolare proponeva in campagna elettorale e che rimane un punto fermo di rivendicazione di politica economica e fiscale per gestire meglio tutte quelle voci di spesa sociale che, ad oggi, piangono lacrime e sangue.

Ma Draghi, da buon superbanchiere e superborghese, non ha pensato nemmeno per un istante di tassare gli extra-profitti: la sua invisibile “agenda” è un percorso ad ostacoli per tutte quelle fasce di popolazione che sopravvivono da tempo e che piomberanno presto nella più nera indigenza se non verrà messo un tetto al prezzo del gas e, quindi, di rimando, al costo delle bollette che si prevedono in aumento del 60% rispetto a quanto abbiamo pagato fino ad oggi.

La crisi sociale che si prospetta nell’autunno del battesimo del governo Meloni non sarà solo un banco di prova per quest’ultimo. Sarà prima di tutto una verifica della tenuta del Paese intero: si rischia per davvero una sommatoria di problematiche inestricabile a cui un esecutivo conservatore e dedito all’eliminazione del reddito di cittadinanza ed alla scellerata introduzione della “flat tax“, risponderà con misure che proteggeranno i grandi profitti livellando le perdite, distribuendole in quella “socializzazione” unica che conoscono gli imprenditori quando rischiano di fare bancarotta.

Della finanziaria scritta “a quattro mani“, come auspicava Guido Crosetto, nemmeno se ne parla. Repetita iuvant: i governi della buona rappresentanza della borghesia imprenditoriale non si fanno trascinare dal piano tecnicistico a quello prettamente politicista e, tanto meno, si fanno portare nel marasma della gestione di una caldissima fase di divaricazione tra le classi che non fa prevedere nulla di buono in termini di mantenimento di quella che, sempre un tempo, si sarebbe definita “pace sociale“.

Il sabotaggio del gasdotto Nord Stream 2 è, al netto del mistero che ne avvolge proprio la distruzione e, forse, il suo definitivo affossamento nelle gelide acque del mare del Baltico, un fattore di ulteriore aggravamento dei rapporti internazionali sia per quanto concerne l’andamento della guerra in Ucraina, sia riguardo agli effetti che, a cascata, si produrranno nei singoli Stati europei per quanto concerne le conseguenze di carattere economico.

Primo fra tutti il problema inflattivo si porrà, unitamente a quello del vertiginoso aumento dei costi energetici che allargheranno la forbice tra ricchi e poveri, che esaspereranno milioni di famiglie e che costringeranno a fare i conti con una contrazione della domanda sui più elementari generi di consumi, sul soddisfare le più banali necessità quotidiane.

Il futuribile governo di Giorgia Meloni, stando ai programmi della coalizione di destra e, segnatamente, a quello di Fratelli d’Italia, dovrebbe affrontare l’emergenza nazionale ed internazionale con interventi tutt’altro che equamente distributivi della nuova tranche di miliardi che proverranno dall’Europa. Non ci si fa illusioni nemmeno – come s è già fatto cenno – sul tesoretto – eredità racimolato da Draghi.

Eppure un certo livello di compensazione il governo dei post-fascisti e dei liberisti di nuovissimo, intransigente modello dovrà trovarlo: pena e contrappasso, nemesi immediata e vendetta subitanea dell’elettorato con uno scontento popolare che farà, nel giro di sei mesi, scendere le quotazioni anche della Meloni, così come avvenuto per Renzi, Conte, Salvini e per quel re Mida dell’immarcescibile che era stato disegnato dalle cronache dei quotidiani come il Salvatore della Patria pronto ad accedere al Quirinale per fare pure una riforma semi-presidenzialista della Costituzione e della Repubblica.

Quale possa essere il punto di caduta per Meloni, lo scopriremo solo sopravvivendo all’autunno freddo. L’affermazione di Fratelli d’Italia non inquieta i mercati tanto quanto spaventa noi per quel che potrà invece accadere sul terreno dei diritti civili, delle libertà singole e collettive. Per Goldman Sachs valgono gli scambi borsistici e gli affarismi transcontinentali e, a detta proprio di una delle più grandi banche del mondo, «solo una piccola selezione delle proposte avanzate durante la campagna elettorale ha una effettiva possibilità di attuazione».

Significa che il capitalismo internazionale intende affermare quella saldatura, tipica del liberismo, tra sé stesso e uno Stato forte, che mette da parte ogni velleitarismo compatibilista, che riduce l’interclassismo non al compromesso di governo tra esigenze e bisogni diametralmente opposti, ma ad un governo del malessere sociale con controriforme che investiranno il mondo del lavoro, delle pensioni, della scuola e delle infrastrutture, spacciando tutto questo come miglioramento delle condizioni di vita, sapendo bene che gli effetti si produrranno su vasta scala in tempi medio-lunghi.

Intanto verranno messi al sicuro gli extra-profitti dalle oscillazioni borsistiche più pericolose, si imiterà Liz Truss nella defiscalizzazione del costo del lavoro, nel taglio delle tasse per i più ricchi (leggasi ancora: “flat tax“) e si finanzieranno le grandi inutili opere, come il ponte sullo stretto di Messina che Renato Schifani, neo Presidente della Regione siciliana, ha già affermato di voler realizzare nel più breve tempo possibile.

Giorgia Meloni, almeno al momento, non ci pensa minimamente ad uscire dall’ambito dell'”agenda Draghi”. Non la afferma e non la nega, non la pretende e non la allontana da sé stessa, nell’immagine che deve regalare ai mercati per rassicurarli, ed anche nella connessione empatica che ha stabilito con una parte di elettorato che l’ha votata con le bollette in mano da 700 euro al mese, affitti esosi da pagare e misere paghe e miserrime pensioni con cui è impossibile arrivare anche soltanto alla seconda settimana del mese.

In televisione scorrono le immagini e si sentono le urla di chi abita nelle case popolari di cintura dei grandi agglomerati urbani: i giornalisti ne intervistano in quantità e quasi tutti dicono di aver riposto in lei, in Giorgia, una fiducia rinnovata, per vedere l’effetto che fa. Per cercare un po’ di speranza in mezzo ad una politica di bassissimo profilo.

Il problema è che quella di Meloni lo è ancora di più, perché non è la politica sociale del fascismo delle origini e non è nemmeno la politica sociale che pretendeva di fare quell’incostituzionale accrocchio di ex repubblichini (fucilatori di partigiani, marescialli massacratori di africani e via discorrendo…) che era il MSI. Il tentativo della destra di governo, oltrepassato il berlusconismo salottiero della Milano da bere e il securitarismo salviniano, che continua a scalpitare nonostante la plateale e sonora discesa agli inferi della singola cifra elettorale, sarà mettere in pratica questo preciso connubio tra accredito estero e tenuta interna.

Le previsioni di Calenda sono di una vita breve del governo. Visto come ha azzeccato il proprio risultato, c’è da giurare che, salvo una mobilitazione popolare, dei lavoratori e della grande palude del disagio sociale che inevitabilmente crescerà, il primo esecutivo guidato da una donna nella storia repubblicana d’Italia rischia di durare. E durare anche parecchio…

MARCO SFERINI

29 settembre 2022

foto tratta da Wikimedia Commons su licenza Creative Commons

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