La destra in campo e gli avversari, divisi, negli spogliatoi

Gli oppositori della destra seguitano caparbiamente a non capire un dato acquisito per la sociologia elettorale seria: le elezioni si vincono mobilitando i propri elettori

Inesorabili, i sondaggi snocciolano rosee previsioni per la destra e fosche per i suoi oppositori. Qualche stolto promette che non sarà superata la soglia dei due terzi, che consentirebbe modifiche unilaterali della Costituzione e di eleggere un po’ di giudici alla Corte costituzionale. Come se tra i pretesi oppositori della destra non ce ne fossero parecchi pronti a votare le sue riforme, magari in cambio dell’elezione di qualche giudice amico.

In realtà, ciò che i sondaggi annunciano è solo il possibile esito della contesa alla luce delle mosse effettuate delle forze in campo. Che sono vistosamente asimmetriche. La destra prepara dal 2013 la sua rivincita. Al momento, a esercitarne la guida, con discreta perizia, è Giorgia Meloni, avendola sottratta a quel pasticcione di Salvini. Il quale, sostenendo con Forza Italia il governo Draghi, ha comunque reso, grazie al ministro Giorgetti, qualche servizio a ceti imprenditoriali e amministrazioni locali del nord.

Le elezioni municipali e regionali hanno già mostrato come la destra abbia ritessuto i fertili reticoli relazionali che hanno sempre fatto la sua fortuna nell’hinterland settentrionale e nel Mezzogiorno. Le proposte programmatiche sono del tutto secondarie. Flat tax, respingimenti, pensioni, ecc. servono solo a tener desti gli elettori in vista dello scontro finale.

Già, perché una cosa che gli oppositori della destra seguitano caparbiamente a non capire è un dato acquisito per la sociologia elettorale un po’ seria: le elezioni si vincono mobilitando i propri elettori. Ciascun partito, o area politica, ha i suoi. Ogni elettore ha il suo partito e la sua area. Solo shock molto bruschi provocano oscillazioni significative. Come quella di cui ha beneficiato il M5S nel 2013 e nel 2018. Ma ormai la destra l’ha riassorbita, lasciando gravare il residuo seguito del M5S sul centrosinistra, che ne era stato la base di partenza. Potrebbe, forse, comparire un’aggregazione di centro. Ma, come segnalano i sondaggi, dovrebbe essere modesta e comunque graverà per intero sul centrosinistra.

Ora, mentre la destra si aggira baldanzosa per il campo, gli avversari sono negli spogliatoi, a discutere la formazione. Ognuno per suo conto. Questo e nient’altro dicono i sondaggi. Letta ha dismesso l’intesa costruita con il M5S al tempo del governo Conte II e che aveva avuto qualche conferma alle elezioni locali. Ha imbastito un negoziato al ribasso con Calenda, napoleonico leader posizionato sul centro, il quale, intestatosi il seguito di Emma Bonino, prima ha dettato dure condizioni e poi si è defilato, perché Letta ha confermato il precedente accordo con SI-Verdi, verso i quali lui aveva utilizzato i toni ultimativi e oltraggiosi a quanto pare tipici del centro moderato … .Ben più seria, Bonino ha mantenuto la parola. In aggiunta, Letta ha intavolato una piccola trattativa con Di Maio, che otterrà il prezzo del tradimento.

Simili manovre, tuttavia, interessano solo i giornali, i media e una ristretta e più informata cerchia di elettori. Quando invece il grosso dell’elettorato ostile alla destra resta in attesa di buone ragioni per mobilitarsi. Il problema è serio specie per il Pd, che non solo non ha un’identità, ma non ha nemmeno un’infrastruttura territoriale paragonabile a quella della destra, che è il retaggio di quella berlusconiana.

Analogo rimprovero si può rivolgere a Conte. I riti del M5S sono diversi da quelli del Pd. Ma negli spogliatoi del movimento i vertici sono concentrati sul doppio mandato e sulle parlamentarie anziché scendere in campo per giocare la partita: che Di Battista non si candidi non interessa a nessuno. Per ragioni diverse, deve raccogliere le firme, è negli spogliatoi pure l’Unione popolare guidata da De Magistris.

La sostanza è che sui contendenti della destra si è addensato un clima di disfatta, quando trombe e tamburi dovrebbero suonare la carica. La caccia a improbabili elettori di centro e di destra si concluderà senza essere nemmeno cominciata, con la crescita delle astensioni. Eppure, di argomenti da spendere contro la destra ce ne sarebbero. Che sia chiaro. La partita è durissima, tanto più che il divorzio tra Pd e M5S stelle ha già in partenza fatto evaporare un discreto gruzzoletto di seggi all’uninominale: lo capisce l’elettore più inesperto.

Ci sarebbe però da rinverdire la memoria della conclusione catastrofica dell’ultima esperienza di governo della destra e della feroce punizione inflitta al paese dalle autorità europee. Ci sarebbe da parlare ai giovani, cui la Lega promette il ripristino del servizio militarle, forse per respingere i migranti. Ci sarebbe da parlare alle donne, che sono le più a rischio col dio, patria e famiglia di Meloni. Ci sarebbe da esibire il reddito di cittadinanza e promettere qualche seria misura a favore dell’occupazione. Ci sarebbe, al termine di un’estate terribile, da difendere la causa dell’ambiente con soluzione meno improvvide del nucleare e del carbone. No: Letta, quando di affaccia sulla soglia dello spogliatoio, preferisce solo azzannare Conte, il quale risponderà per le rime. Tanto, se butta male, il conto lo pagano gli italiani.

ALFIO MASTROPAOLO

da il manifesto.it

foto: screenshot

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Politica e società

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