Il voto del Parlamento europeo per una guerra totalizzante

Se dal 24 febbraio di quest’anno la guerra in Ucraina fosse soltanto stata la guerra della Russia per la liberazione del Donbass dalle discriminazioni e dalle vessazioni del governo...

Se dal 24 febbraio di quest’anno la guerra in Ucraina fosse soltanto stata la guerra della Russia per la liberazione del Donbass dalle discriminazioni e dalle vessazioni del governo di Kiev contro la popolazione russofona, e se l’azione di difesa e contrattacco fossero state la strenue resistenza del popolo di Zelens’kyj all’invasione di Mosca, sarebbe stata tutta un’altra guerra.

Ingiustificabile, intollerabile, irricevibile, ma sarebbe stata la resa dei conti tra due nazioni per un preciso punto tutt’altro che di principio.

Invece, l’aggressione russa nascondeva, nemmeno tanto velatamente, il capzioso intento di estendere un dominio nazionalista e imperialista, pur rispondendo in questo modo a due esigenze (dal punto di vista di Mosca, ma anche piuttosto oggettivamente): l’espansionismo della NATO ad est e la posizione sempre più insostenibile delle autoproclamate repubbliche di Lugansk e Donetsk entro un contesto internazionale che lì, affacciato sul Mar Nero, diventava sempre di più una spina nel fianco per tutti.

Mentre Putin attacca per cercare di respingere la NATO al di là dei confini della vecchia Unione Sovietica, ben prima del Baltico, dei Carpazi e della vecchia Bessarabia, gli Stati Uniti e l’Alleanza atlantica ne approfittano per inscenare una difesa a tutto tondo democratica del popolo ucraino e, in questo modo, fare una guerra per procura alla Russia, ai suoi tentativi espansionistici speculari e contrari a quelli occidentali.

E’ questa, alla fine, la dinamica che muove il conflitto e che ora, mentre sta arrivando il generale Inverno, segna, dalla parte del fronte ucraino un rallentamento delle operazioni controffensive per la diminuzione dell’invio di armamenti (anche da parte del più potente alleato a stelle e strisce), mentre da parte russa si intensificano i bombardamenti sulle città, sulla capitale e oltre dieci milioni di persone si trovano a dover sopravvivere senza luce, gas e persino acqua corrente.

Demoralizzante è, poi, la presa di posizione del Parlamento europeo davanti a questa tragedia: dopo aver sostenuto la linea atlantista senza alcuna criticità di sorta, senza alcun rilievo o osservazione che potesse spingere ad una qualche velatissima ipotesi di apertura negoziale tra le parti in causa, viene approvata una risoluzione proposta delle destre che definisce la Russia “stato terrorista“, tenendo ovviamente conto di tutte le implicazioni del caso.

Agire in questa direzione, significa esacerbare il conflitto, renderlo permanente nella sua immanenza bipolare tra Est e Ovest, farne una sorta di nuova guerra europea tutt’altro che fredda, in cui il concetto di “terrore” è piegato alla logica della convenienza del momento, a tutto sostegno dell’imperialismo atlantico, senza minimamente prendere in considerazione la possibilità di cercare un dialogo, di trovare una via di uscita diplomatica allo scontro tra i due blocchi.

Il punto focale è proprio il carattere della guerra: non è la guerra dell’Ucraina contro la Russia, ma la guerra in cui l’Occidente si mostra democratico sulla pelle del popolo di Kiev, di Leopoli, di Kharkiv, di Odessa e di tutte le città che sono al buio, al freddo e che muoiono anche di sete.

E’ la guerra in cui Putin sceglie di affiancare ai suoi nuovi comandi militari la tragicità della discesa verticale delle temperature per impantanare le forze militari, stabilizzare gli attacchi aerei che sono tanto più efficaci quanto paralizzano il grosso della popolazione civile, riducendo, così, anche le perdite militari che sono ingenti.

Oltre duecentomila morti non sono ancora bastati ai due imperialismi che si fronteggiano per mettere fine a questo conflitto.

E questo non perché il livello di pietà umana sia così basso in entrambi i campi di battaglia, ma perché gli scopi politici, economici e geostrategici che entrambi si erano preposti non sono stati raggiunti: la Russia non ha conquistato l’intero paese con una invasione lampo (un blitzkrieg moderno…) da nord verso Kiev e da sud verso il Donbass e Kherson, ed anzi fatica a mantenere il controllo delle regioni “liberate“; dall’altro Zelens’kyj, Stoltenberg e Biden non possono dire di essere nella posizione più felice per trattare.

Soprattutto ora, con un paese distrutto, in cui le infrastrutture sono sempre più oggetto degli attacchi russi, in cui la minaccia di una catastrofe nucleare è meno presente nelle dichiarazioni offensive dei falchi russi, ma rimane ben presente sulla scena quotidiana del conflitto, attorno alla centrale di Zaporižžja.

La risoluzione del Parlamento europeo volutamente non dà alcun sostegno all’abboccamento diplomatico, perché l’unica pace possibile per i fautori della guerra di liberazione dell’Ucraina dall’invasore russo è la sconfitta di quest’ultimo, forse anche la sua umiliazione politica, oltre che militare.

Il sapore amarissimo della guerra totalizzante, espressione di un sincretismo tra nazionalismi da un lato e zerbinismi d’oltreoceano dall’altro, diviene la cifra espressiva di una politica estera di una Europa incapace di presupporre la pace come elemento fondante di sé stessa. La NATO diventa sempre di più la gabbia militare entro i cui confini sta una UE impotente nei confronti della volontà politica e militare di Washington.

Uno scenario inquietante che apre le porte ad una serie di ipotesi che si fanno, invece, ogni giorno che passa maggiormente concrete: il pericolo che a succedere a Putin siano dei Putin ancora più Putin di lui, quindi uomini descrivibili nella cerchia dei “falchi“, degli intransigentissimi, che già oggi rimproverano (cautamente) al presidente di essere stato troppo condiscendente e troppo morbido nella condotta della guerra, è un pericolo oggettivo.

Yevgeny Prigozhin, a capo del famigerato “Gruppo Wagner“, è tra questi. Ma così pure Dmitrij Anatol’evič Medvedev, già a capo del Cremlino tra i mandati presidenziali putiniani. Se l’Occidente democratico e liberale vuole davvero la pace (che non vuole nei termini in cui la reclamiamo noi pacifisti), allora deve pensare ad una vittoria che non abbia le conseguenze nefaste di un peggioramento del quadro politico interno della Russia.

La risoluzione della guerra in Ucraina può anche essere, un giorno, la ritirata militare russa, la sconfitta di Mosca. Ma non sarà mai questo il viatico per avere, al di là di quelli che saranno i nuovi confini della NATO ad est, un rapporto distensivo con una Russia che, a quel punto, non potrebbe fare altro se non saldare ancora di più il legame con la Cina, nonostante il canale aperto al G20 tra Biden e Xi Jinping.

Gli interessi economico-finanziari sono, e resteranno, le ragioni della ridislocazione geopolitica mondiale. Quindi l’unica pace possibile è una frapposizione di massa tra i governi che muovono le irragionevolezze belliche in uno scacchiere che tiene conto dei popoli soltanto e sempre come carne da macello, come carne da cannone, da drone, da missile moderno, da nuova minaccia nucleare.

Pacifismo e anticapitalismo si devono saldare in questa prospettiva di movimentazione delle coscienze e degli interessi di miliardi di individui. Non è possibile pensare ad una pace duratura dentro il sistema degli interessi di una classe sociale che domina sulle altre, di un ristretto gruppo di individui che fa agire il mondo in rapporto alla tutela dei propri privilegi e non di un benessere comune, comunitario, anzi planetario.

La miopia che noi attribuiamo alle risoluzioni delle destre sulla guerra, approvate anche da liberali e sinistre istericamente schierate con la NATO, è in realtà la lucida consapevolezza che solo così si preserva uno status quo economico attraverso un terremoto mondiale tra le relazioni a blocchi, tra i grandi compartimenti di agglomerati di interessi finanziari che comprendono – come ovvio – anche il mercato degli armamenti e dell’omicidio legalizzato nello sterminio di massa delle guerre.

Fermare la guerra è imprescindibile. Lavorare ad un superamento delle vere ragioni che ne faranno nascere altre è più che necessario se vogliamo ancora pensare di risolvere le grandi, epocali questioni che sottendono alla sopravvivenza della specie umana su questo pianeta. Ma non più a discapito delle altre specie e della natura stessa.

MARCO SFERINI

24 novembre 2022

Foto di Pixabay

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