Tutta la “terra dell’abbastanza” che ci gravita intorno

Alcune sere fa, nelle splendide notti cinematografiche di Rai 3, è andato in onda un film che puoi solo guardare d’estate, quando la canicola si fa sentire anche alle...
Manolo (Andrea Carpenzano) e Mirko (Matteo Olivetti) in "La terra dell'abbastanza"

Alcune sere fa, nelle splendide notti cinematografiche di Rai 3, è andato in onda un film che puoi solo guardare d’estate, quando la canicola si fa sentire anche alle due del mattino, quando intorno tutto (o quasi) è silenzio, quando la voce dei due giovani attori si percepisce così flebilmente che devi un poco alzare il volume della televisione.

Peccato doverlo vedere su piccolo schermo, perché la forza deflagrante di questo pugno nello stomaco che è “La terra dell’abbastanza” renderebbe molto meglio se visto e rivisto in sala. Nel 2018 me lo sono perso al cinema; per puro caso, girando annoiatamente da un canale all’altro, invece riesco a vederlo due anni dopo. Roma potrebbe essere comodamente Piacenza, i ruoli si potrebbero scambiare: come in una commedia dove si recita un poco a soggetto e dove si improvvisa pure il canovaccio.

L’improvvisazione teatrale rientra perfettamente nell’inevitabilità di una vita che è, al tempo stesso, necessariamente imprevedibile, canzonatoria delle tante aspettative che ognuno di noi si vuole prospettare innanzi e che vedono invece infrangersi il sogno oppure l’incubo: a ciascuno il suo. Forse la lettura di Sciascia anche in questi frangenti può essere utile per la comprensione di tutto quello che ci sembra non concepibile.

Mirko e Manolo sono amici: si attraggono e si respingono più volte, si incontrano, si scontrano. Si insultano in salsa romanesca, nell’orrendo scenario di una pista da skateboard abbandonata, con attorno palazzi di periferia che mettono una angoscia quasi ancestrale se li fissi poco più di qualche secondo.

Tutta la proletarizzazione moderna emerge da quelle mura screpolare, con balconi penzolanti nel vuoto, dove si vedono le armature nel cemento, dove escono alla luce del sole i nervi scoperti di una micro-criminalità che si impossessa delle vite di due ragazzi di borgata che, prima di un tremendo incidente stradale, nemmeno pensano che la loro esistenza possa da un giorno all’altro essere travolta da un insolito destino fatto di soldi, tanti, troppi; di donne da marciapiede a cui consegnare preservativi, bottigliette d’acqua e crakers spiaccicati tra un sacchetto e l’altro; di spaccio di cocaina prodotta non in raffinati laboratori mafiosi, ma alla brutta e meglio, da chi pochi minuti dopo cucina una carbonara per tutta la banda.

Mirko e Manolo cambiano, trasfigurano proprio, escono dalla loro precedente essenza e si trovano catapultati in un universo che li proietta “dentro“. “Ormai siamo dentro“, si ripetono. Tradotto dal linguaggio di borgata criminale vuol dire che sono “nell’organizzazione”. Non ai vertici, ma riconosciuti come coloro che hanno svoltato. Per caso. Ma l’hanno fatto.

Teletrasportato altrove, potrebbe essere comodamente lo scenario di una mafia orientale, oppure di una americana. Possono cambiare gli attori e i luoghi, ma la consistenza rimane la stessa: si strappano delle vite alle vite, delle vite a sé stesse, si converte il futuro in un eterno presente che regala apparenti soddisfazioni ma che, alla lunga, pallottola dopo pallottola, sfruttamento dopo sfruttamento e dose dopo dose, qualche interrogativo te lo pone. Soprattutto se c’è alle porte il compleanno della tua piccola sorellina o se è tuo padre stesso che ti introduce nell’ambiente…

Ma questa è la criminalità che si serve di giovani frustrati da una vita piena di mancanze già a vent’anni. L’indigenza, i denti cariati di una madre che non può nemmeno farseli curare o cavare, una bocca che parla dovendo stare chiusa per il dolore. La rabbia cresce, monta esponenzialmente e diventa la persuasione per una facilità di vita che prima era solo una chimera, l’irraggiungibile, persino l’impensabile.

Esistono tanti tipi di corruzione: anzitutto morale e materiale. Da queste due tipologie discendono tutte le altre. L’unità di una anti-etica e di una voglia sempre maggiore di denaro e potere (che si alimentano a vicenda) produce ovviamente un sostanziale equilibrio che non è detto che trovi terreno fertile solo nel ventre della criminalità organizzata. Può svilupparsi anche negli apparati dello Stato. La vicenda di Piacenza è solo uno dei tanti esempi che si possono fare in merito.

La terra dell’abbastanza non esiste: così come “assaggiata un po’ di libertà si finisce per volerla tutta” (Carlo Cafiero), specularmente e contrariamente, assaggiato il contrario della libertà, il potere e il dominio su persone, cose, situazioni e luoghi, si finisce con il divenire cannibali, bulimici.

Non ci si può più fermare, perché il richiamo del rialzo della posta in gioco è forte: più ci si trova ad agire impunemente, più si agisce e si allarga il cerchio. Mirko e Manolo diventano killer, spacciatori, magnaccia quasi senza rendersene davvero conto: lo stare “dentro” ad un certo momento sono loro stessi e viceversa. Non c’è più separazione di ruolo, confine di identità tra singolo e organizzazione. L’adrenalina che esce dall’epidermide che trasuda dopo un omicidio è come la goccia che, lentamente, scava quello che pensavi di essere: la roccia.

Per un attimo Mirko e Manolo somigliano a “Chicco e Spillo” di Samuele Bersani, che sfrecciano tutto a manetta, che fuggono dalla polizia. Ma qui nemmeno l’ombra di una divisa. Tutto si tiene sul fulcro del dualismo tra la bellezza dei tratti giovanili, puri e non erosi dalla increanza del male e una vita che ha superato l’adolescenza, una età adulta che previene i tempi, che li scavalca e che ti fa decrescere nella autostima, già precaria da molto. Un regalo non voluto di una società priva di senso. Anzitempo. Quando ancora eri un ragazzino.

Dall’inanimata vita delle borgate, che gravita stanca attorno alla frenesia della vera esistenza, quella del centro del mondo e dell’Italia, di una Roma che rimane in disparte, quasi scostante in tutto il film, alla percezione della propria esistenza con la mediazione feroce dell’annullamento dell’altro: che passi per un colpo di pistola, per una dose di cocaina o per il marciapiede su cui fanno avanti e indietro i piedi pesanti di una giovane prostituta, poco importa.

Tutto lo squallore dell’esserci a questo mondo pare transitare per questi “sempiterni calli“. Le vie obbligate di una terra dell’abbastanza che non basta mai, che ti fa fare a cazzotti con tua madre, che ti rende persino sessualmente oppressivo e prevaricante con la dolcezza della tua ragazza.

Mentre guardi Mirko e Manolo che entrano in una cascina, mentre li vedi sparare, mentre vedi la loro crisi incipiente, il paragone con te stesso sale: la loro coscienza deborda di rimorsi e sensi di colpa, sedimentati sotto la copertura posticcia della sfrontatezza e della spavalderia.

Maschere di cartone, imbevute del sudore della fronte, sfruculiati dai tentativi di riportarli sulla retta via, alla “normalità“, che è inconoscibile per chi non ha mai potuto fare il raffronto con la “bella vita“. Magari proprio della capitale, che entra nelle scene solo attraverso il romanesco degli insulti volutamente piegati al sessismo e ad una omofobia falsa e bugiarda, ma arma a doppio taglio per stuzzicare il cane che dorme.

Svegliata stancamente da un sonno molto poco riposante, la madre trova una colazione perfetta davanti a sé. E’ il principio di un tentativo di catarsi che il figlio mette in moto. La separazione dal “troppo, presto e subito” è iniziata. Forse, però è tardi. Anche per chi guarda il film, come me, alle due del mattino e si sente tanto lontano da quelle scene.

Nessuno può dirsi immune dalle trasformazioni dettate dall’imprevisto. Perché nessuno è una roccia al riparo dalla goccia che, lentamente, la scava e la scolpisce nell’esatto opposto di ciò che pensava di essere, di vivere e anche di morire.

Per questo, nel buio della notte fonda, cercare la terra dell’abbastanza può essere difficile, ma deve sempre poter essere necessario. Quindi possibile.

MARCO SFERINI

24 luglio 2020

foto: screenshot YouTube

categorie
Marco Sferini

altri articoli