Lo spionaggio fa capolino nella crisi di governo e nel voto estivo

Un filone spionistico nella caotica canicolare campagna elettorale estiva? La trama è servita e, che sia vera o meno, serve a destabilizzare ulteriormente il già ampiamente agitato clima di...

Un filone spionistico nella caotica canicolare campagna elettorale estiva? La trama è servita e, che sia vera o meno, serve a destabilizzare ulteriormente il già ampiamente agitato clima di questi giorni, in cui i partiti non riescono ancora a trovare una sintesi politica, una condivisione programmatica e, soprattutto, vista l’attuale legge elettorale, un “capo politico“, un leader cui affidarsi per presentarsi con proposte riconoscibili e condivisibili da parte della gente.

Le rivelazioni fatte da “La Stampa” di Giannini, sui colloqui tra esponenti dell’ambasciata russa a Roma e uomini della Lega, rischiano di spostare l’attenzione dai temi veri e propri che dovrebbero interessare un dibattito elettorale ad un avvicendarsi di ipotesi sulle influenze esterne, precisamente quelle di Mosca, in merito alla caduta del governo Draghi.

Se il racconto fatto dallo storico quotidiano torinese risultasse corrispondere alla realtà dei fatti, ne verrebbe fuori un comportamento indebito da parte di una forza politica, una specie di cessione di quella sovranità nazionale che tanto i leghisti declamano e reclamano come loro punto fondante e rigenerante nella nuova Lega di poca lotta e di tanto governo.

Ma, in sostanza, non cambierebbero le ragioni di fondo per cui l’esecutivo a suo tempo è venuto meno: lo sfarinamento di una maggioranza tanto eterogenea quanto guidata da una eterogenesi dei fini che, passato il periodo dell’emergenza subitania, della messa in sicurezza della maggior parte dei fondi del PNRR, ha preso a dividersi sulle singole questioni che avrebbero potuto costituire un fulcro su cui stabilire un trampolino di lancio per affermazioni di nuove verginità agli occhi dell’elettorato, con la speranza di farsi largo tra i partiti più grandi.

Durante tutti questi mesi di guerra in Ucraina, più o meno tutti i mezzi di informazione hanno lavorato alla rappresentazione di contesto di crisi internazionale come se si trattasse quasi esclusivamente di un evento di carattere umanitario, sottovalutando (volutamente o meno saranno i posteri a dirlo) le implicazioni politiche a priori e sottolineando abbondantemente soltanto quelle a posteriori.

Molto facile così moraleggiare sulla guerra, dividendo il mondo in due parti: i buoni occidentali da una parte e i cattivi dell’Est europeo e dell’oriente dall’altra. Un manicheismo che non ha affatto aiutato a comprendere quei meccanismi spionistici, o quanto meno similmente tali, che sono alla base dello scoppio della guerra, che affondano le loro radici negli interessi economici e nella sete di imperialismo che si vive tanto ad oriente quanto ad occidente.

Che la Russia abbia cercato contatti con forze politiche europee per cercare di destabilizzare il quadro istituzionale dei singoli paesi sta, purtroppo, nel gioco di guerra, in quello delle parti, nel truculento teatrino degli scambi di anatemi tra la NATO e il Cremlino, tra Biden, Stoltenberg e Putin.

Stupirsi oggi che questo sia avvenuto proprio a ridosso di una crisi di governo, che mostrava i primi sintomi già nella primavera passata, è trattarsi da ingenui. Sapevamo che il fronte sovranista italiano era in contatti con tutti gli uomini di destra a capo di paesi sia europei sia extraeuropei. Sapevamo che le destre del Bel Paese dialogavano con il partito di Putin, pur fingendosi accaniti sostenitori della linea nord-atlantica sulla cosiddetta “stabilità mondiale” e, successivamente, sulla guerra alle porte di Kiev.

Sapevamo, inoltre, che questi contatti erano uniti in una rete, una sorta di internazionale nera che, dalla Spagna di Vox andava all’Ungheria di Orbàn, dai paesi di Visegrad fino appunto alle porte di Mosca. Avere contezza di tutto ciò poteva indurre a presupporre che, oltre la vecchia Cortina di Ferro, qualcuno avesse un occhio di riguardo per le cattive sorti dei governi liberistissimi di Boris Johnson e Mario Draghi.

Se non si è trattato di una esplicita influenza politica per interposti partiti italiani, allora è stata viepiù di una sorta di fattura magica, di anatema a lunga distanza, di speranza da veder concretizzata con qualche solleticamento, con qualche interlocuzione ufficialmente solo amichevole.

Che l’Intelligence smentisca che non vi sono informazioni di Intelligence a riguardo, fa, onestamente, sorridere. Ma si tratta di un sorriso amaro, perché queste ombre sull’indipendenza delle forze politiche italiane rispetto al quadro internazionale sulla guerra, in relazione alla costruzione di un nuovo assetto di politica interna, regalano un sapore amaro alla contesa elettorale, alla dialettica interpartitica e danno un colpo ulteriore alla restaurazione di una parziale fiducia dei cittadini nella rappresentanza parlamentare tanto di oggi quanto di domani.

I temi su cui ci si dovrebbe confrontare sono talmente elevati, importanti e dirimenti che si è tentati di liquidare questa sorta di “Russia-gate” come una quisquiglia, come qualcosa di effettivamente trascurabile. Eppure non è possibile, perché, ancora una volta, sempre dalla stessa parte, i legami tra il sovranismo italiano e il nazionalismo autocratico putiniano emergono con nettezza e, forse al pari del passato, troveranno una conferma nelle prossime settimane.

Ci abbiamo fatto il callo, siamo abbastanza dediti all’assuefazione in merito: la bolla si gonfia, lo scandalo resta sulle prime pagine dei giornali per un po’ di giorni e poi tornerà, ogni tanto, nelle reciproche accuse che si scambieranno i leader politici in qualche tribuna elettorale icastica, delimitatissima nei tempi di domande e risposte. Perché tutto è violabile nei trenta giorni prima del voto, tranne la sacralità formalissima della “par condicio“.

Le destre hanno questo e tanti altri problemi, ma agiscono compattamente e si muovono unitariamente, come una sola forza politica, fino ad un minuto dopo il voto. Scrivono accordi di spartizione dei seggi su fogli di block notes un po’ disordinatamente rabberciati, perché i tempi delle scrivanie televisive e dei “contratti con gli italiani” sono passati.

L’eclatante ha lasciato il passo ad un pragmatismo stretto nei tempi del voto e, inoltre, se si devono fronteggiare le accuse di collaborazione col nemico oltre frontiera, per far cadere il governo di cui si faceva parte, ci si deve preparare al fuoco di fila degli avversari.

Una battaglia superabile, perché la memoria degli italiani è, da troppo tempo, a cortissimo raggio: nel nome della stabilità finanziaria ed economica (non certo del bene comune), si archiviano nelle stanze dell’oblio tutti gli scandali che hanno segnato quelle forze di destra che si apprestano a governare il Paese.

Fossero stati almeno scandali esclusivamente attribuibili ad una sola parte politica, allora il tracciato nella memoria sarebbe stato più evidente anche dopo molto tempo. Invece la classe politica italiana è stata un po’ tutta attraversata da filoni di inchiesta che hanno denunciato l’interesse privato prevalente su quello pubblico e, così, le contumelie sono piovute su quasi tutto l’arco parlamentare attuale.

Il “Russia-gate” di oggi è l’ultimo capitolo di un lunghissimo libro che descrive molto bene il viaggio a ritroso della politica italiana, la demotivazione della popolazione alla partecipazione, all’interesse per le tante promesse che si rivelano spesso e volentieri solo delle giaculatorie di captatio benevolentiae ormai riconoscibili da lontano…

Per questo, anche la campagna elettorale che si sta per aprire, sarà costellata di altisonanti proclami, bellissime lusinghe soprattutto dai poli che provano a congiungere le diversità più marcate, mentre le forze minori vengono descritte sempre e soltanto come l’impossibile da votare, l’inutile da sostenere, il residuale da non considerare.

Proprio per queste ragioni, Unione popolare deve provare a farcela: deve potersi presentare su tutto il territorio nazionale con le sue liste e, se possibile, in una coalizione larga, in un fronte progressista che la unisca ai Cinquestelle, alle forze della sinistra moderata di Fratoianni e agli ecologisti di Bonelli. E’ questa l’unica speranza di disarticolare le consolidate consorterie che stanno a destra tanto quanto nel centro senza più sinistra.

I soli a mettere al centro della campagna elettorale i programmi, i temi e le urgenze sociali che vi sono, possono essere coloro che non hanno rapporti né con l’Est putiniano, né con l’Occidente atlantico. L’interesse nazionale coincide con l’interesse popolare: del mondo del lavoro, della scuola, della sanità e di tutto quel pubblico che è rimasto in mezzo alla marea delle privatizzazioni.

Sfortunatamente i responsabili della crisi di governo sono gli interessati tatticismi politici dei partiti della ex maggioranza di unità nazionale e non i movimenti sociali dal basso. Per costruire questa opposizione ecco che dobbiamo esserci: ricominciando dalla società e rientrando nel Parlamento del Paese.

MARCO SFERINI

29 luglio 2022

Foto di Faisal Rahman

categorie
Marco Sferini

altri articoli