Per Mario Draghi la tempesta perfetta delle conseguenze economiche del Covid, della guerra russa contro l’Ucraina e delle sanzioni non hanno ancora creato un’economia di guerra. «Ma è bene prepararsi – ha avvertito ieri da Versailles – Prepararsi non vuol dire che ciò debba avvenire, sennò saremmo già in una fase di razionamento». In questa terra di nessuno è certo però che esiste una crisi economica.
È stata aggravata dai primi contraccolpi delle sanzioni al regime di Putin e affronta la contraddizione del capitalismo italiano o tedesco: essere dipendenti dal suo gas e pagarlo con i soldi che finanziano la sua guerra. Rinunciare nell’immediato a questo gas significherebbe destabilizzare entrambi i paesi producendo scenari catastrofici con chiusure di aziende, licenziamenti di massa e case al buio.
Non aiutano gli annunci che suonano al momento avventuristici: quelli di fare a meno del gas russo entro «24-30 mesi». Un contributo all’impazzimento dei mercati energetici già sottoposti a enormi tensioni geo-economiche da due anni. Chi paga sono i lavoratori e i consumatori. E poi i contribuenti, se e quando arriveranno provvedimenti multimiliardari in deficit per bloccare i record delle bollette per aziende e famiglie.
Non sarà allora un’«economia di guerra», ma è certamente il secondo tempo della crisi dell’interdipendenza capitalistica iniziata nel 2020, quella che oggi sta stravolgendo i mercati finanziari delle materie prime (cereali, fonti energetiche, minerali), strozzando le catene di approvvigionamento globali e sub-regionali e bloccando la produzione. Uno degli esiti di questa crisi è stato indicato da Draghi: la «fratturazione del sistema europeo» e il ritorno al «protezionismo». Uno dei possibili sintomi di una «guerra economica», appunto.
I costi sono emersi in Italia questa settimana quando i pescatori non sono usciti in mare. La prossima settimana si bloccheranno i camionisti di «Trasportounito». AssoTir Toscana ha chiesto interventi al governo o sarà costretta a fermarsi. La ragione è il prezzo di benzina e diesel alle stelle e la speculazione delle compagnie petrolifere. Nonostante il crollo delle quotazioni degli ultimi giorni ieri erano venduti alla pompa con un prezzo medio di 2,3 euro, 2,2 in modalità self. E il metano per le auto è cresciuto ancora.
Il colpo di frusta ha colpito dappertutto: edilizia, manifattura, acciaio, ceramiche. Solo questo settore ieri si è parlato di oltre 4 mila lavoratori in cassa integrazione, più di 30 unità produttive ferme, altre al lavoro a ciclo ridotto. In un settore energivoro come l’acciaio a gennaio la produzione ha subito una flessione del 3,9 per cento. Per i costruttori dell’Ance «nessuna impresa grande o piccola può reggere un impatto così rapido e devastante».
ROBERTO CICCARELLI
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