La “morale superiore” che Kiev e Mosca pretendono di avere

Le difficoltà militari, politiche ed economiche della Russia putiniana, a due mesi e mezzo dall’inizio della guerra contro l’Ucraina (ma sarebbe meglio dire contro gli USA e la NATO),...

Le difficoltà militari, politiche ed economiche della Russia putiniana, a due mesi e mezzo dall’inizio della guerra contro l’Ucraina (ma sarebbe meglio dire contro gli USA e la NATO), spingono autorevoli membri del governo di Mosca a spostare l’attenzione della propria opinione pubblica, e soprattutto di quella mondiale, su temi che con il conflitto c’entrano davvero poco.

Il ministro degli esteri Lavrov ha rilasciato giorni fa una intervista lunghissima al programma “Zona bianca” di Rete 4: tre quarti d’ora circa in cui ha descritto con estrema precisione il punto di vista del suo presidente (e forse anche di sé stesso…) in merito a tutto quello che riguarda l'”operazione militare speciale” contro Kiev.

Molte opinioni e descrizioni degli avvenimenti erano già abbastanza noti: la propaganda di ambo le parti in campo li aveva trattati abbondantemente. Come definire la guerra, le ragioni prime e immediate, quindi alle origini dei primi scontri nel Donbass, la cacciata di Viktor Fedorovyč Janukovyč dal governo e la cosiddetta “rivoluzione di Maidan“; poi ancora le scorribande dei neonazi-onalisti ucraini nel sud del paese, da Lugansk fino ad Odessa.

Fino a quel massacro di russofoni ad Odessa, nella casa dei sindacati, che proprio ieri, 2 maggio, ricorreva: 48 morti, bruciati vivi dalla follia criminale di gruppi di estremissima destra pronti a sostenere qualunque politica che portasse l’Ucraina lontano dalla sfera di influenza di Mosca.

Altre prese di posizione del ministro degli esteri russo sono state delle rivelazioni estremamente interessanti in quanto a correlazione tra presente e passati, confronti e riferimenti politici tra le varie aree geopolitiche continentali e, non di meno, in merito a vicende che riguardano anche la politica interna dello Stato guidato a-democraticamente da Vladimir Putin.

Tra tutte, l’affermazione che più ha fatto scandalo e che ha inalberato le cancellerie governative di mezzo mondo, per prima quella di Israele, è quella che riguarda Adolf Hitler.

Dall’inizio della guerra Putin ha richiamato, tra i motivi che lo avrebbero indotto a muovere le truppe contro l’Ucraina, la “denazificazione” del paese, attribuendo al governo di Volodymyr Zelens’kyj una natura politica all’ombra della svastica, delle rune germaniche, di altre simbologie ascrivibili al Terzo Reich e, soprattutto nel Donbass, mostrine delle divise del battaglione Azov, oggettivamente ispirato dall’ideologia neonazista.

La propaganda putiniana ha, come del resto è nella natura intrinseca di questi metodi di disinformazione, esacerbato gli animi con strali pletorici che, in particolare nei primi giorni della guerra, volevano, unitamente alla forza scatenata ad Est e in particolare a Nord, nella direttrice contro la capitale, fare piazza pulita in pochi giorni del governo del comico ucraino e risolvere il conflitto quasi senza combatterlo.

Così la Storia è stata utilizzata al pari di qualunque altro armamento bellico, piegata sotto l’egida del potere politico e militare, fatta e disfatta a seconda dell’andamento del fronte. Il governo di Volodymyr Zelens’kyj, che non è certamente un esecutivo progressista a gradazione altamente populista e demagogico, ha tuttavia retto all’urto e non ha abbandonato la capitale. Probabilmente in futuro questo sarà ricordato come un gesto eroico: molto più semplicemente si è trattato di una decisione presa sul tamburo battente, senza troppi calcoli, confidando in ciò che il presidente e i suoi sapevano già da tempo.

Ossia che, in caso di attacco da parte della Russia, la risposta dell’Occidente sarebbe arrivata, dopo gli anni di addestramento delle truppe di Kiev ad una simile evenienza. Washington, Londra, la NATO e molto meno la farfugliante politica estera europea, erano pronti ad una escalation militare.

Presi però alla sprovvista nell’ultima settimana di febbraio, hanno reagito dapprima con la prudenza di chi, ipocritamente, guarda la reazione di un popolo veramente aggredito senza alcun motivo; e poi, vedendo che il castello ucraino in qualche modo teneva, dopo le prime centinaia di morti tra i civili e il consolidamento di un nazionalismo ritrovato, hanno deciso la “guerra per procura“, l’invio di armi sempre più pesanti e sofisticate per far fare all’esercito di Kiev e alla popolazione la guerra che non volevano fare loro direttamente.

In quei momenti lì, Putin ha tentato la spallata militare e politica: con l’esercito impreparato ad un guerra sul campo, in cui molte reclute pensavano di dover presidiare dei territori di confine piuttosto che andare in battaglia, e con la propaganda, accusando platealmente il governo di Kiev di essere un coacervo di “drogati neonazisti”, invitando di conseguenza i militari a ribellarsi agli ordini di Volodymyr Zelens’kyj, rovesciandolo e abbracciando il nuovo regime sotto l’ala protettrice di Mosca.

Ciò non è avvenuto, ma la Storia era ormai a disposizione dei duellanti e, in particolare, dell’aggressore: la narrazione dell’Ucraina nazista è, effettivamente, un eccesso che forse può reggere in larghi strati dell’opinione pubblica russa ma che, qui da noi in occidente, non può fare breccia. Diversa avrebbe risuonato l’accusa al governo ucraino di fiancheggiare e inquadrare nelle truppe regolari elementi e interi battaglioni che esibiscono la loro fede nell’hitlerismo, nell’eredità immorale del Terzo Reich.

Ma questo avrebbe voluto dire poter accusare Zelens’kyj solo di plutocrazia partitica, di autoritarismo nei confronti delle popolazioni russofone e russofile: di aver messo al bando la lingua della vicina Mosca da tutte le scuole del Donbass, di aver messo fuorilegge i partiti di opposizione, della sinistra, compresi ovviamente i comunisti; ed infine di aver contribuito a favorire le pretese espansioniste della NATO contro la Russia, andando ben oltre gli storici confini di spartizione dell’Europa tra le potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale dopo Yalta.

Ed accusare Volodymyr Zelens’kyj di tutto questo avrebbe significato semplicemente dire la verità: perché tutto questo è effettivamente stato fatto, descrivendo un quadro di mancanza di democrazia dove invece USA, Europa e NATO vedono il baluardo della difesa dei “valori occidentali“. Ma niente di più.

Avrebbe significato mostrare al mondo i difetti altrui senza un riscontro in termini di avanzamento delle proprie presunte ragioni tanto militari quanto politiche. Se in Russia, infatti, non vi fosse una situazione quasi speculare a quella ucraina sul piano delle relazioni tra istituzioni e popolazione, sul terreno dei diritti sociali, civili e sul trattamento disumano che viene riservato alle minoranze, alle opposizioni e a chi in generale dissente dalla linea del potere costituito, allora Putin avrebbe potuto anche farsi campione di morale politica.

Ma Kiev e Mosca si somigliano davvero tanto nel negare i fondamentali diritti civili ed umani che sono uno dei pilastri dell’accettazione di una nazione nel consesso formale dei paesi democratici, sotto la bandiera sottile e sfilacciata dell’ONU. Se in Ucraina le forze di estrema destra sono legittimate dal governo mentre quelle di sinistra sono fuorilegge, in Russia ciò avviene nei confronti di chi osa criticare il comportamento governativo. In tempo di guerra, ormai, manca solo la proclamazione ufficiale della legge marziale anche a Mosca e poi la specularità con Kiev è praticamente equipollente.

Da differenti punti di vista e partenze storiche opposte, i due governi fanno un uso delle vicende del passato in termini di mera propaganda politica e militare, rievocando ognuno i propri eroi, le proprie medaglie e i propri meriti. Il collaborazionismo ucraino col Terzo Reich nel corso del secondo conflitto mondiale è in antitesi all’opera di liberazione e, quella sì, di “denazificazione” dell’Europa fatta dall’Armata Rossa nel suo avanzare dalle sacche di Stalingrado e Leningrado fin dentro alla battaglia di Berlino.

Né Volodymyr Zelens’kyj né Vladimir Putin hanno titolo per stabilire una morale superiore: sono portatori entrambi di una distorsione politica dei diritti più fondamentali ancor prima del 24 febbraio 2022, ancora prima che la guerra scoppiasse ufficialmente. Sia la costituzione russa sia quella ucraina proclamano la “democraticità” di entrambi gli Stati, la garanzia di tutte le libertà possibili, l’applicazione dello “stato di diritto“, la tutela dell’integrità personale e collettiva ma, in pratica, questi princìpi sono sistematicamente violati da decenni sia in Russia sia in Ucraina.

Quindi, la guerra almeno sul falsopiano della moralità costituzionale, del diritto positivo propriamente detto, è combattuta al di là di una superiorità etica che possa derivare da affermazioni che rimangono solo sulla carta e che il conflitto non ha reso meno efficaci rispetto allo scoppio delle ostilità.

Il ministro Lavrov non può dare lezioni di storia a nessuno, così come Zelens’kyj non può ergersi a campione di una modernità democratica solo per il fatto di aver incentivato la voglia degli ucraini a cambiare il settore di influenza economico-sociale nel paese guardando ad Ovest, guardando all’Occidente che, un po’ più di Mosca e Kiev, se non altro proprio storicamente parlando qualche diritto di credersi più vicino alla democrazia lo ha.

Ma il tutto si ferma sempre e soltanto sulla soglia di un mondo auspicato, sperato, ricercato e proclamato come tale ai popoli che subiscono poi le peggiori politiche privatistiche del liberismo cui non possono corrispondere concretizzazioni di quei valori davvero universali che un “potere popolare” dovrebbe poter applicare e che, almeno in linea di principio, esigono che il pubblico sia eticamente e praticamente superiore ad ogni ambito privato, ad ogni particolarità, singolarità e privilegio personale.

Quando Lavrov afferma che «…anche Hitler aveva sangue ebraico…» facendo riferimento alle origini semite di Zelens’kyj, cercando così di frangere quell’ovvietà, per cui è impossibile per un ebreo essere filo-nazista, approfitta grossolanamente di un revisionismo storico davvero di bassa lega, di piccolissimo cabotaggio.

L’antisemitismo del Führer non ha origini familiari se non – seppure tra molti dubbi di storici eminenti come Fest, Kershaw, Shirer, per citare solo i più grandi biografi e studiosi della parabola orribile del Nazionalsocialismo – forse nell’antipatia che Hitler poté avere verso un medico che curò l’ormai molto malata madre senza poterla recuperare alla pienezza della salute e della vita.

Ma questi riferimenti pseudo-storici finiscono con l’avere i contorni del mito piuttosto che quelli della verità da cui dovrebbe provenire tutta la serie di ragioni che darebbero un senso alla tragedia avvenuta nel corso del Novecento. La complessità dei fenomeni umani è tale da non poter mai essere ridotta ad un unico, sprigionante fenomeno, una specie di “big bang” degli eventi successivi. La Storia non ha soluzione di continuità, proprio come l’umanità che, giorno per giorno, ricambia sé stessa nell’incessante e vorticoso confronto tra morti e nati, con in mezzo tutti quelli che, nel frattempo, continuano a vivere.

Il problema è non rendersi conto che non esiste nessuna morale superiore nei rapporti di potere che abbiamo descritto e, tanto meno, nel corso della guerra, perché gli Stati che si confrontano hanno nel loro armadio degli scheletri tanti di quei tradimenti dei princìpi di cui si vorrebbero fregiare per la conduzione pacifica, democratica ed egualitaria dell’umanità e del mondo, da non sperare, se non con una altissima dose di ipocrisia, di essere considerati campioni di solidarietà tra le genti, di armonia universale e di progresso sociale.

L’unica morale superiore sarebbe quella della pace fondata su un costante disarmo delle nazioni, su un sempre maggiore depotenziamento del potere stesso ad opera di popoli più coscienti del ruolo che possono avere nella scrittura pratica di un futuro che non imposti la marcia verso l’autodistruzione: se non sarà la guerra mondiale a causarla, andando avanti di questo passo sarà la natura a considerare l’eventualità di una nostra decimazione. Per il bene di tutti coloro che, fino ad oggi, abbiamo sottomesso, maltrattato e reso schiavi di logiche di sopraffazione, privilegio e dunque di potere.

MARCO SFERINI

3 maggio 2022

Foto di RDNE Stock project

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