Ancora sul “green pass”, passando per Kant, Marx e Draghi

Alla notizia, peraltro ampiamente preannunciata, dell’introduzione del “green pass” per accedere a servizi e strutture non certo secondarie per la vita di ognuno di noi, una folla di qualche...
Karl Marx ed Immanuel Kant

Alla notizia, peraltro ampiamente preannunciata, dell’introduzione del “green pass” per accedere a servizi e strutture non certo secondarie per la vita di ognuno di noi, una folla di qualche migliaio di persone si è riversata ieri in piazza Castello in quel di Torino.

Geremiadi non contro il governo dei banchieri che con il Recovery fund lega mani e piedi l’Italia alle sorti dei mercati continentali; non contro la riforma della giustizia che lo stesso Consiglio Superiore della Magistratura stronca nettamente in trenta pagine di disamina della riorganizzazione di un sistema che prevederebbe un indebolimento dell’azione penale, non certo per spirito libertario; e nemmeno proteste contro il rifinanziamento della guardia costiera libica, là dove i migranti sono reclusi in moderni lager invisibili, sepolti tra le rive del mare e la sabbia del deserto che si sono lasciati alle spalle.

No, niente di tutto questo. I cittadini che sono scesi in piazza ieri a protestare, l’hanno fatto perché ritengono che un documento che dimostra che una persona si è fatta vaccinare sia una limitazione della libertà di ciascuno e di tutti. Perché, sostanzialmente, indurrebbe ad un obbligo vaccinale mascherato, spingendo chi anche non è sufficientemente convinto della bontà dei preparati delle Big Pharma a sottoporsi ai trattamenti sanitari. Ne deriverebbe un inizio di scivolamento progressivo in una sorta di “dittatura sanitaria” di cui si era già sentito abbondantemente parlare fin dall’inizio della pandemia.

E’ uno dei binomi più inflazionati, un concetto abusato dopo essere stato inventato per descrivere la volontà presunta dei governi di utilizzare la pandemia per controllare le vite di tutte e tutti noi. Come se fino ad oggi il sistema capitalistico avesse consentito a chiunque di poter vivere davvero liberamente. La grande illusione però esiste e la si percepisce quando si fa il raffronto tra la “normalità” del pre-pandemia e l’oggi. Si considera “normale” vivere dovendo accettare qualunque tipo di lavoro, per sopravvivere, discriminando le proprie tendenze, le proprie propensioni, più ancora gli istinti che abbiamo e che dobbiamo soffocare per adattarci completamente al regime delle merci e del profitto.

E’ tutto normale. E’ normale subire un po’ di ingiustizie, perché sarebbe “nella natura delle cose“: un determinismo che fa impallidire qualunque visione libertaria e anticapitalista dell’esistenza. Eppure ci si sente liberi dove la libertà proprio non esiste in quanto tale, ma in quanto variabile dipendente dall’economia dominante. La superficialità della percezione dell’essere liberi è tale che, per potersi dire veramente tali, basterebbe in questo momento dichiarare che del “green pass” non c’è più bisogno e che tutti possono circolare senza restrizioni.

Ad una coscienza critica e di classe, che individuerebbe prima di tutto l’assenza della libertà nella compressione dei diritti sociali, nella standardizzazione delle specificità e delle differenze di ognuno di noi entro un’esistenza omologata e omologante, si sostituisce invece una coscienza ontologica heideggeriana, nettamente opposta a quella kantiana. Se fosse qui tra noi, il filosofo di Königsberg ci direbbe che, solo per il fatto di pensarla, la libertà non è e non diviene reale. Difficile, certo, tradurre politicamente (e socialmente) tutto ciò, ma la ragione critica deve fare il suo corso e non può non affermare che tra pensiero (intuizione) e realtà c’è molto più spazio di quello immaginato e sostenuto da Platone e da Aristotele.

In fondo la querelle sul “green pass” è piacevole da affrontare filosoficamente. Toglie alla diatriba, verticalmente e chiassosamente divisiva, quel disgustoso retrogusto di polemica fine a sé stessa, persino preordinata da posizioni ormai fin troppo conosciute: delle specie di ideologie pandemiche che oscillano tra gli opposti estremismi. Dagli intransigenti cultori dello scientismo a tutti i costi al muro del pianto dei coltivatori delle fantasie di complotto.

Ed, infatti, il sistema vince ancora, come il banco in un casinò. Vince ogni volta che riesce a dividere l’opinione pubblica così antiteticamente da riuscire a destrutturare ogni congiuntura possibile di lotte sociali e ideali. Vince quando fa della società un campo di battaglia “pro” e “contro” qualcosa che distragga dalle vere ragioni della diffusione della pandemia che non stanno in nessun segreto di questo o quello Stato, ma nella tragica verità che un mondo impreparato alle catastrofi anti-ecologiche e anti-sanitarie finisce per soccombere alla potenza della natura, soprattutto se viene continuamente ostacolata, violentata e vilipesa.

Il sistema vince ogni volta che fa credere che esistano chissà quali complotti dietro le Big Pharma. Esistono, invece, solo enormi interessi profittuali che vengono riversati sul mercato proprio dove si aprono possibilità di occupazione di fette di sfruttamento dei bisogni della popolazione mondiale.

Il meccanismo capitalistico si è evoluto nel corso dei secoli, ma le regole fondamentali rimangono le stesse e uniformano un meccanicismo che non devia molto dal vecchio schema marxiano: D – M – D’. Alla fine si parte da un capitale già esistente per arrivare ad una maggiore somma di capitale ottenuta mediante lo sfruttamento della forza-lavoro che, a proprio scapito, produce quel plusvalore che dà alle merci il senso per poter essere immesse nel processo di circolazione che è così grande da coprire tutto il pianeta.

Di tutto questo i no-vax e i critici dei vaccini vedono poco o niente. Ma anche i fautori senza se e senza ma del vaccinismo si fermano ad una analisi superficiale della fase, pensando che una volta fatte due iniezioni i nostri problemi saranno in gran parte finiti. Le parole di Mario Draghi, però, sono di tutt’altro avviso e parlano molto chiaramente ad orecchie che vogliono ascoltare. I timori per l’autunno, per una ripresa dei contagi che può creare le condizioni per un nuovo stop economico, sono stati circostanziati molto bene dal banchiere europeo: l’autoritarismo denunciato dagli antivaccinisti è tutto tranne una seria presa in carico dell’offensiva liberista che sarà messa in campo con la prossima finanziaria.

Il guaio di una critica di questo tipo è che non è affatto una critica, bensì una mera protesta figurativa, anche visivamente emblematica, ma del tutto insufficiente a sostenere le vere ragioni di un disagio sociale che esiste e che non è certo determinato dal “green pass“. La carta verde è solo il fenomeno evidente di una problematica che sovrasta le nostre vite perché è la pandemia stessa ad imporsi su qualunque aspetto della quotidianità, deformandola e plasmandola a suo piacere.

Magari la libertà che sentiamo venirci meno fosse solamente quella relativa alla limitazione di uno spostamento o dell’accesso ad una struttura culturale, sociale o sportiva. Sarebbe molto più semplice rimediare, con una lotta davvero di piazza, continuativa. Con uno sciopero generale. Invece la libertà che non abbiamo, e che continueremo a non avere, è quella di poter vivere dignitosamente in un mondo dove ogni giorno centinaia di persone muoiono per mancanza di sicurezza sul lavoro, per fame, senza cure mediche appropriate, senza diritti civili, senza tutele di alcun genere.

Proprio perché non bisogna mettere nulla in secondo piano, è bene essere giustamente critici nei confronti della mancata sperimentazione sui vaccini: ma è anche bene non considerare la scienza come completamente asservita al mercato. Esiste un livello di autonomia della ricerca che, nonostante debba rispondere a tempi e modi del capitale, prima di tutto riferisce a sé stessa e alla comunità medica internazionale. Dove i giri di affari sono enormi, dove spesso si sacrificano le vita di tanta gente per gli sporchi interessi delle multinazionali, ma dove comunque si continua a sperimentare, perché senza successi medici non c’è prodotto che possa essere venduto prima agli Stati e poi direttamente alle persone.

La lotta per la libertà dovrebbe essere lotta non contro i vaccini, ma contro la brevettabilità degli stessi. Non lotta contro le affermazioni dei virologi ma contro le grandi case farmaceutiche che si fanno pagare quattro pastiglie per dormire meglio tanto quanto due pizze e due birre al ristorante.

La lotta per la libertà è critica senza appello al capitalismo. Troppo facile ridurla ad una semplice indignazione per un lasciapassare. Ma così il sistema vince. Con i suoi utili idioti che, proprio perché se ne stanno entro la loro ristretta visione dell’esistente, diventano i migliori alleati su cui contare.

MARCO SFERINI

23 luglio 2021

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