La tenacia di una nuova lotta di classe: l’esempio della GKN

Il sostegno alla lotta degli operai della GKN è un manifesto sociale, politico, sindacale: un manifesto di lotta di classe senza alcuna ombra di dubbio. La capacità di questi...

Il sostegno alla lotta degli operai della GKN è un manifesto sociale, politico, sindacale: un manifesto di lotta di classe senza alcuna ombra di dubbio.

La capacità di questi trecento lavoratori di fare della difesa della LORO fabbrica (il maiuscolo è voluto, non è un refuso) un punto di aggregazione della solidarietà diffusa, dagli studenti al mondo del lavoro, dai sindacati di basi alla CGIL, dalle associazioni culturali ai partiti della sinistra di alternativa, dai comitati per l’ambiente e la tutela del territorio ai movimenti per la pace, contro ogni razzismo, contro ogni omofobia e stigma delle differenze, è davvero emblematica.

Risalta in mezzo ad una apatia in larga parte subìta, ma vissuta anche come una sorta di elemento ormai strutturale di una società italiana in cui imperversano le destre più di destra possibile al governo e dove, quindi, ogni spazio di interlocuzione è credibile soltanto se lo si fa sorreggere da un formalismo del tutto privo di qualunque sostanza: siamo al livello dello scambio delle reciproche cortesie istituzionali con un sindacato che, nemmeno per dare sostegno agli operai della GKN ritrova la sua completa unità di schieramento.

Va dato atto alla CGIL di essere al posto giusto, da sempre, e di stigmatizzare l’assenza di CISL e UIL. E’ un po’ la storia delle differenze che sono sempre passate tra la più grande organizzazione sindacale dei lavoratori italiani e le altre due confederazioni considerate, non a torto, più dedite alla concertazione quando ancora era la sola contrattazione a dominare la scena dei rapporti con i governi e con Confindustria.

La globalizzazione ha messo fine a tutto questo e ha imposto, con la declinazione liberista nell’ambito tutto italiano di un ventennio berlusconiano alternatosi alle infelici esperienze di un centrosinistra che ha mantenuto aperte tutte le porte e le strade affinché il privatismo prevalesse sulla necessità di una difesa dei beni comuni e, quindi, di tutta una compartimentazione produttiva di Stato, pubblica e strategica che, invece, le aziende favorite dai governi che si sono succeduti si sono prese facendo ottimi profitti a tutto scapito dell’interesse generale.

La GKN oggi, con i suoi operai in lotta, è l’avanguardia di una lotta che dovrebbe essere molto più generale e che dovrebbe fungere da esempio lampante per chiedere e mantenere vivo uno stato di agitazione permanente contro un governo che sta mettendo fine alle ultime garanzie per lavoratrici e lavoratori, spianando la strada ad una arlechinizzazione del Paese, ad una separazione dei diritti sociali in venti micro-economie da cui saranno fatte dipendere tutte le altre garanzie pseudo-egualitarie in materia di scuola, sanità, assistenza.

La lotta dei operai della GKN di Firenze è l’esatto opposto di quanto sta avvenendo nel resto dell’Italia dell’era meloniana: l’aumento della spesa militare, con l’invio di altre armi al governo di Kiev (con l’approvazione del PD di Elly Schlein e della neo segretaria stessa) corrisponde ad un allineamento con i paesi di Visegrad. Primo fra tutto quella Polonia che punta addirittura – con l’alibi della vicinanza al teatro di guerra ucraino – mette nel suo bilancio un 4% destinato al riarmo.

Invece di sostenere lo sforzo produttivo dal punto di vista, e quindi partendo dai bisogni, delle lavoratrici e dei lavoratori, il governo pensa a sacrificare ogni miglioramento salariale, ogni espansione dei diritti sull’altare della piena aderenza allo schema europeo, alla fedeltà atlantista che gli garantisce un sicuro tragitto in mezzo ad una opposizione oltre modo molto inefficace e incapace di creare delle contraddizioni di carattere sociale come quelle che sono riusciti a concretizzare gli operai della GKN.

L’altro elemento che sorprende positivamente, e regala una certa similitudine col vento di rivolta permanente francese, è appunto la costanza della lotta: non c’è soluzione di continuità nella strenue difesa della fabbrica fiorentina. Le promesse del governo di trovare una soluzione sono state ad oggi solamente aria fritta. Ciò che gli operai chiedono è la costituzione di un consorzio industriale regionale pubblico che salvaguardi lo stabilimento e lo metta a disposizione dei loro progetti di riconversione e di rivalutazione produttiva.

Non è altro se non una richiesta di poter gestire quello che è loro da sempre, nonostante la proprietà privata della fabbrica sia di chi vi ha fatto fino ad oggi profitti con ristrutturazioni aziendali venute prepotentemente avanti con l’acquisizione dell’impianto di Campi Bisenzio da parte del grande fondo di investimento finanziario Melrose Industries nel nemmeno tanto lontano 2018.

La storia degli ultimi anni di traversie della forza lavoro della GKN permette di comprendere tutta la determinazione con cui oggi, dopo tanti e tanti mesi di mobilitazioni, gli operai intendono andare avanti fino a vincere questa partita dal loro punto di vista, di interesse e di riqualificazione sociale dell’azienda. Nel luglio 2021 quattrocentoventi lavoratori venivano licenziati senza alcun preavviso, in spregio agli accordi sindacali raggiunti un anno prima: un messaggino icastico, freddo, cinicamente brutale.

Nonostante le prime lotte, la proprietà dell’azienda rimarca con risolutezza che «La precondizione negoziale di revoca della procedura di licenziamento per i 422 dipendenti della Gkn non può essere accolta, stante la decisione di chiusura assunta». Eppure la domanda non è venuta meno, lavoro ve ne sarebbe: di ammortizzatori per le auto e per i mezzi di trasporto c’è un gran bisogno e le ordinazioni in tal senso non vengono certo meno. Ma l’obiettivo dei padroni è chiaramente un altro, quello che non tarda a disvelarsi: la delocalizzazione.

La magistratura rileva, su denuncia del sindacato, un comportamento palesemente antisindacale e impone alla proprietà la revoca del licenziamento collettivo. Ma questa vittoria non è sufficiente a preservare le garanzie di continuità lavorativa delle maestranze. Gli operai della GKN rimangono in uno stato di agitazione permanente perché la minaccia da parte del fondo Merlose Industries di chiudere Campi Bisenzio e delocalizzare la produzione non è affatto archiviata.

Parrebbe una lotta di classe evidente, più che lampante. Ma molte forze politiche, anche quelle che si dichiarano progressiste e di sinistra, finiscono per leggervi e farvi leggere una diatriba tra proprietà e lavoratori e non invece un endemico, intrinseco e tipico sviluppo delle contraddizioni tra capitale e lavoro, tra sfruttatori e sfruttati.

Ormai in Italia si fa fatica ad affermare, dopo tanti anni di decostruzione delle ragioni dei lavoratori, degli operai, dei precari e di chi è da tempo senza lavoro, il punto di partenza su cui ricreare una politica di affermazione dei diritti sociali: le lotte operaie sono atomizzate, divise, non ricongiunte ad una un’unica rivendicazione nazionale di contratti unitari, di ritorno ad una rinnovata idea di stato-sociale che comprenda uguali diritti per tutte e per tutti.

La controriforma di Calderoli sull’autonomia differenziata evidenzia ancora di più un classismo buono soltanto per chi conduce questa lotta dalla parte padronale, dal lato dell’impresa e privilegia quindi la conservazione dei profitti, del privato che pretende di giganteggiare rispetto all’interesse pubblico, che sarà anche classisticamente trasversale ma che, pur sempre, rimane un principio di socialità da cui partire per rimettere la Repubblica su un piano di comunitarietà.

La sinistra di classe, di alternativa, comunista e libertaria deve aprire il varco delle contraddizioni di quella moderata mostrando tutta l’inefficienza di una dicotomia tra il dire e il fare.

Non basta al presunto nuovo corso schleiniano del PD riferirsi al mondo del lavoro come ad un elemento costitutivo del passato e costituente del futuro di una sinistra riformista, scrivendo nel proprio programma che «dobbiamo cambiare rotta nelle politiche del lavoro. Voltare nettamente pagina dopo gli errori del “Jobs Act” e del “decreto Poletti” sulla facilitazione dei licenziamenti e la liberalizzazione dei contratti a termine» se poi tutto questo non si traduce in una vicinanza concreta e manifesta, ad esempio, nella lotta dei lavoratori della GKN.

Il programma di Elly Schlein sul lavoro è ambizioso, soprattutto se lo si mette a confronto con quella maggioranza “interna” del suo partito che guarda di più alle imprese piuttosto che ai lavoratori come cardine della produzione della ricchezza collettiva e nazionale.

La sinistra di alternativa, per prima Rifondazione Comunista insieme ad Unione Popolare, deve poter entrare in una sintonia permanente con la lotta di classe degli operai: oggi della GKN e domani di cento altre fabbriche che siano minacciate di chiusura per la ricerca di maggiori profitti in paesi dove i salari e i costi di produzioni siano ancora più inferiori rispetto all’Italia. Questa sintonia non si crea dall’oggi al domani: la presenza nei cortei è necessaria e importante ma non è sufficiente.

Senza una sponda anche parlamentare, senza un riferimento nelle istituzioni che sia la voce di questa coscienza critica operaia che non vuole essere messa a tacere, sarà difficile ridare alla sinistra quel ruolo di classe che le tocca naturalmente. Lotta sociale e lotta politica vanno unite. L’una senza l’altra sono quasi completamente inutili e rischiano di essere soltanto fine a sé stesse e non ad un interesse generale: quindi veramente sociale, quindi veramente politico.

MARCO SFERINI

26 marzo 2023

foto: screenshot

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