Il primo grande errore di Giorgia. Berlusconi dixit

Dovrebbe corrispondere ad una precisa legge della politique politicienne, almeno per una come Giorgia Meloni, di lungo corso tra le fila di partiti storici e moderni dell’estrema destra italica,...

Dovrebbe corrispondere ad una precisa legge della politique politicienne, almeno per una come Giorgia Meloni, di lungo corso tra le fila di partiti storici e moderni dell’estrema destra italica, il contraccolpo appena subito dal governo sulla questione del mantenimento delle accise sui carburanti. Lo scontento popolare, il disagio sociale emergono nel momento in cui qualcosa di realmente tangibile, nell’immediato, contrasta con le promesse fatte in campagna elettorale.

Poco importa siano orali o scritte. Ciò che conta è la “percezione” che tu, leader politico, hai dato del tuo progetto, del tuo futuro mandato a Palazzo Chigi. Ed i messaggi veicolati dalla propaganda, durante tutto il mese antecedente il 25 settembre scorso, sono stati improntati a fare di Fratelli d’Italia e della coalizione delle destre l’ultima speranza, la salvezza prima del burrone per milioni e milioni di italiani indigenti, poveri e poverissimi.

Il primatismo italico, di nuova impronta leghista, abbandonato dal salvinismo in disgrazia, ha trovato un nuovo aggancio nella spinta propulsiva dell’ex blanda opposizione meloniana al governo Draghi.

Stanchi dei tecnicismi, delle discussioni sul PNRR, delle ricalibrature di cifre e controcifre, a fronte di una assenza pressoché totale di alternativa al progetto liberista del tridente storico della destra ex-berlusconiana, milioni di voti di lavoratori e disoccupati, di precari e di pensionati sono andati, invece che a sinistra, tra le braccia, questa volta, della donna della provvidenza.

Tutte le speranze del popolo vengono, appena dopo il voto, riposte in una immediatezza di interventi che, sia detto per tutti i settori politici, per tutti i partiti, sono difficili da realizzare dall’oggi al domani. Ma non è questo il caso delle accise sulla benzina, sul gasolio e sui carburanti in generale.

Qui l’intervento poteva essere fatto. Certo, con delle compensazioni, delle coperture necessarie da mettere a bilancio. Magari si sarebbero potuti tassare gli extraprofitti del 100%, recuperare il maltolto alla società da parte di enormi aziende che hanno speculato nel corso della pandemia e dell’anno di guerra che sta per scoccare, finanziando così, per l’appunto, il taglio delle vecchissime tasse che il nostro Paese ha ancora su petrolio e gas vari.

Proprio ieri si scriveva della naturale impossibilità, congenita per definizione stessa, corrispondente all’essenza della destra nostrana, fascista o post-fascista che sia, di adempiere alla risoluzione delle problematiche sociali rimanendo forza di governo liberista, pienamente aderente ai dettami dell’Europa di Bruxelles e Francoforte sul piano economico, assolutamente alleantista con la NATO sul terreno della guerra imperialista contro l’altro imperialismo, quello russo putiniano.

Non è una schematizzazione artefatta, ma una constatazione de facto. Assolutamente reale e concreta: il vecchio armamentario fintamente sociale del MSI non è arrivato in eredità ad AN prima e a Fratelli d’Italia poi.

Le destre reazionarie sono rimaste tali, recuperando persino la fiamma tricolore, non avvicinandosi nemmeno lontanamente ad una accettazione dichiarata dell’antifascismo repubblicano, del costituzuonalismo resistente, dell’essenza democratica dello Stato rinato dalle macerie in cui Mussolini et similia avevano precipito l’Italia dal 1940 al 1945.

Siamo ancora nell’occasione della vita per Giorgia Meloni: quella di essere arrivata al governo del Paese dopo aver condotto abilmente il suo partito da percentuali piccolissime alle soglie del 30%, livello di accessibilità alla maggioranza assoluta de iure, grazie alle leggi elettorali convenientemente adattate di volta in volta alle dimensioni presumibilmente elettorali dei soggetti che si possono coalizzare e che aspirano a governare, mentre de facto le spetterebbe sì la maggioranza ma quella relativa.

Berlusconi non perde tempo e infierisce: «E’ il primo errore di Giorgia». Accidenti alle accise! Una sottovalutazione? Può essere. Molto meno credibile la “svista” sui conti, sugli interventi per contenere il costo dei carburanti che sono sfuggiti all’occhio vigile ed attento di Giorgietti e di Meloni.

Se ne deduce che, nonostante la premier si affretti a dichiarare a mille telecamere serali, praticamente su tutti i telegiornali, che la maggioranza lavora spedita e che, quindi, vanno tutto d’amore e d’accordo, il governo inciampa vistosamente su una misura che è la quinta essenza dello scontro tra percezione politica dei cittadini e realtà politica dell’esecutivo.

Correranno ai ripari con bonus benzina (in parte già scritti nel decreto), cercheranno di tamponare questa ferita apertasi nella luna di miele con l’elettorato fiducioso nei poteri taumaturgici della Presidente del Consiglio, ma pare comunque di registrare una certa approssimazione nell’azione di governo. Dopo quasi quattro mesi dal voto, l’esecutivo, superato non senza fatica lo scoglio della Legge di Bilancio, naviga a vista, sembra improvvisare e non avere soprattutto una chiara cognizione dello stato reale del Paese.

Dovrebbe saltare immediatamente agli occhi di chi è preposto a gestire il governo della Repubblica che i beni di prima necessità, in un momento di crisi economica globale, europea anzitutto e, pertanto, italiana nello specifico contesto in cui sopravviviamo, sono quelli che vanno tutelati da rincari, da costi aggiuntivi, da tassazioni indirette come l’IVA che vengono, in quanto tali, spalmate con una maligna e malefica egualitaria indistinguibilità sulle tasche di tutti.

Risultato: il ricco, rispetto al povero, avvertirà molto meno l’effetto di aumento dell’inflazione, potendolo sopportare senza intaccare la propria consuetudine quotidiana, potendo sempre permettersi visite mediche anche private, garanzie di ogni tipo; mentre il salariato, il lavoratore dipendente e precario, oppure il pensionato al minimo verranno privati dal privato, esclusi dalla possibilità di accedere a quei servizi che sono dei diritti garantiti dalla Costituzione ed elusi dagli interventi di governo.

Berlusconi ha ragione: il mancato taglio delle accise è il primo grande errore di Giorgia Meloni. E si avverte tutto quanto nella rabbia che monta dai settori sindacali, dalle associazioni dei consumatori, nonché, sull’altro fronte, dalle associazioni di categoria, da quei benzinai che intendono scioperare per giorni contro lo scaricabarile dell’aumento del costo dei carburanti e (soprattutto) del raffronto imposto da Palazzo Chigi tra prezzo di acquisto e prezzo di vendita.

Dagli errori si impara, ma le contraddizioni della destra al governo rimarranno: l’impossibile simbiosi tra interessi popolari e privilegi del ceto medio e della grande imprenditoria non è superabile con l’energica, indomita fierezza meloniana, con dichiarazioni corredate da bei sorrisi di circostanza, con proclami di recupero attraverso una maggiore vicinanza agli italiani con la controriforma presidenzialista annunciata per la prossima estate.

Su queste contraddizioni evidentissime va ricostituito un programma alternativo da parte di un fronte progressista che eviti le circonvoluzioni di Elly Schlein sul cosa e sul come oggi il PD possa tornare ad essere progressista (ammesso lo sia mai stato). Alcune prese di posizione sono apprezzabili e, certamente, molto differenti dall’impronta bonacciniana che ricalca un campo largo lettiano dove lo spazio per la sinistra è solamente un diritto di tribuna a sostegno elettorale di coalizioni di centro, di chiara fisiognomica filo-capitalista.

Non ci si può attendere nessun cambiamento radicale dal PD che verrà fuori da un congresso tutt’altro che ri-costituente. L’opposizione sociale e politica al governo Meloni va fatta ora e va smascherata la grande contraddizione della destra sull’inattuabilità di politiche popolari in un contesto di azione governativa tutta volta a proteggere i grandi ricchi e i finanzieri. La rovina di questo nostro, povero Paese.

MARCO SFERINI

13 gennaio 2023

foto: screenshot

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