Il potere della Chiesa tra infantilismo religioso e fede sincera

Torno su Ratzinger. Nel senso che torno a parlare della sua dipartita, però volendo trattare molto superficialmente il tema della religiosità che, a ben vedere, è distinguibile da quello...

Torno su Ratzinger. Nel senso che torno a parlare della sua dipartita, però volendo trattare molto superficialmente il tema della religiosità che, a ben vedere, è distinguibile da quello della credenza, dell’ascesi rintracciabile non solamente nel culto cristiano e, nello specifico, nella sua occidentalissima trasposizione cattolica.

Durante i funerali dell’emerito pontefice Benedetto XVI, eminente titolo inventato alla bisogna, vista la compresenza di due papi sulla scena della modernità della Chiesa di Roma, qualcuno ha tentato l’ovazione al grido di «Santo subito!».

Si è issato uno striscione un po’ improvvisato, ed è certamente mancata l’organizzazione del proscenio da offrire ai media di tutto il mondo che, invece, si era avuta nel momento in cui Giovanni Paolo II passò a certo migliore vita.

D’istinto mi è venuto un commento: si tratta di isteria religiosa. Ed infatti, almeno in parte, siamo in presenza di una celebrazione che sorpassa l’agiografico, che si spinge oltre la metafisica dell’indagine, che punta direttamente ad un qualcosa di più della beatitudine: appunto, alla santità. Del resto, i papi già in vita posseggono questo titolo reverenziale. Perché non attribuirglielo anche post mortem quasi per decreto, per convenzione, per acclamazione popolare?

Se diventasse una consuetudine però, rischierebbe di minare quell’autorevolezza che la Chiesa si attribuisce nell’essere l’unica giudicante oggettiva di qualcosa di impossibile da oggettivare realmente, visto che, molto spesso, le cause di santificazione poggiano su affermazioni miracolistiche o su atti, gesti o parole il cui riscontro è, più che altro, una intersezione di indizi, un confronto di dichiarazioni, un riscontro mai veramente “scientifico” che colleghi la causa e l’effetto.

Se il miracolato afferma di essere divenuto tale grazie ad un sogno, una visione onirica in cui il tale sacerdote, vescovo o papa che gli avrebbe indicato la via per guarire, per rinascere a nuova vita, è evidente che dobbiamo starcene della sua parola, prenderla per buona; fare, quindi, un atto di fede entro la fede stessa di una persona che ha avuto bisogno della religione e della religiosità praticata per sopportare l’inferno in terra di una malattia, di una condizione disagevole, di una sofferenza inenarrabile.

La religiosità, tuttavia, non è superstizione immanente: non necessariamente sfocia nella credulità, nell’esaltazione del miracolistico, nella chiamata osannante al luogo dove è apparsa la Madonna, dove il sole si è mosso vorticosamente in circolo nel cielo, oppure dove ogni giorno alla medesima ora appare sempre la madre del Cristo visibile solamente a qualche analfabeta che sostiene così di essere il collegamento tra il terreno e l’extraterreno, tra la fisicità e l’incorporeità, tra il concreto e l’impercettibile.

Se si trattasse di una questione meramente ontica, presa per quello che veramente è, se ne potrebbe velocemente dedurre che l’isteria religiosa esiste in quanto tale, in quanto si manifesta supportata dalla voglia di celebrità che, neanche a dirlo, è la madre di un interesse anche economico tutt’altro che nascosto o nascondibile.

Purtroppo, ogni pretesa di associazione dell’umano al divino, dell’esperienza terrena a un qualcosa di esattamente opposto e opponibile, come il trascendente in tutto e per tutto, non è mai completamente ascrivibile ad una caratterialità isterica dell’individuo.

Chi, ai funerali di Benedetto XVI, ha sguaiatamente urlato alla necessità di una proclamazione veloce, velocissima dello stesso in un nuovo santo della Chiesa Cattolica Apostolica Romana, lo ha fatto probabilmente spinto da una convinzione che non per forza deve essere scambiata per isteria religiosa, così come frettolosamente ho fatto io.

Quanto rispetto si debba a queste richieste e quanto se ne debba all’infantilismo che permea il fenomeno religioso, come soluzione degli enigmi che circondano la nostra vita dentro un universo misterioso e, per questo, terribilmente affascinante, è un giudizio di metodo e di merito che spetta alla sensibilità di ciascuno.

Credere in un qualche dio, origine di tutto quello che esiste, invisibile e visibile, è risolvere facilmente il problema dell’insensatezza della vita, così come la percepiamo attraverso la straordinaria capacità di autocoscienza dell’essere umano.

Attribuire tutto a Dio è molto semplice, così come rifugiarsi in una dogmatistica che elenca una serie di enigmi irrisolvibili perché non possono avere risposta. Non si può discutere di dio con Dio e non lo si può fare soprattutto se l’interrogativo riguarda l’oggetto finale della sua creazione: quell’uomo che, in questo modo, ha antropocentricamente subordinato il “creato” al suo volere e potere.

La religione cristiana, al pari degli altri culti monoteisti, non equipara tutti gli esseri viventi in quanto a diritti di vita ed esistenza, pur riconoscendoli come “creature di Dio“. L’uomo, sostiene la Bibbia, deve dominare sugli altri esseri animali, sulla natura, rispettando in questo proprio il volere di “Io sono colui che sono“.

L’antropocentrismo benedetto da Dio è un riconoscimento del ruolo primario dell’uomo (molto meno della donna) all’interno della storia sempre meno laica di una civiltà che evolve asservendo tutti gli altri esseri dotati di un sistema nervoso molto simile al nostro: quindi in grado di provare emozioni di ogni tipo. Dolore compreso. Sofferenza inclusa.

Le contraddizioni delle tante isterie religiose che, nel corso dei secoli, si sono sommate alle credenze e alle pregiudizialità che si sono sviluppate in questa sommatoria di prevenzioni discriminatrici, sono tante e tali da perderne il conto. In nome di Dio si è fatto il contrario esatto di quello che il messaggio di Gesù Cristo proponeva al mondo e che è possibile studiare e conoscere praticamente soltanto attraverso i Vangeli.

Uguaglianza, pace, fratellanza, libertà e rispetto per tutti, sono divenuti argomenti dottrinari, trattati filosoficamente dai Padri della Chiesa e negati, nella pratica, da un potere che la stessa ha iniziato a costruire divenendo religione e culto dell’Impero Romano.

Tutta la storia del cattolicesimo è storia temporale, inseparabile ovviamente dal necessario basamento di un culto che è stato modificato e adattato per radicarsi tra le masse, per diventare l’intangibilità di una autorità che, similmente al potere dei Cesari, avvicina il più possibile a Dio il rappresentante in terra, il papa. Non ne divinizza la figura, non ne va un “divus” come Giulio Cesare o Augusto, ma ne fa il “vicario“; comunque colui che è il punto di connessione del circuito tra immanenza e trascendenza.

Qui, in questo corto circuito indescrivibile, indiscernibile e dogmatico di per sé stesso, necessariamente tale, altrimenti non reggerebbe al confronto con gli altri poteri terresti, l’eccezionalità della religiosità è la discriminante per assegnare ai credenti un ruolo di protagonisti nella grande volontà di Dio che tutto tesse e tutto dispone.

Si prega per soffrire meno e per cercare conforto alla durezza della vita. Si prega per sostenere la salute e felicità altrui.

Si prega per preservare sé stessi e i propri cari dalle malattie, dal dolore, dalla crudeltà di altri esseri umani, per difendersi dalle ingiustizie. Del potere stesso. Anche se è Gesù stesso che raccomanda di non sfidare l’autorità oltre il lecito, pur affermando di essere il portatore di un messaggio rivoluzionario che, quindi, è probabilmente un invito alla rivolta contro Roma, contro il suo potere, contro la sua occupazione della Palestina.

La rivoluzione di Gesù non si compirà, almeno quella terrena, quella per cui un gruppo di seguaci lo avevano sostenuto come maestro, lasciando al fanatismo seguente la sua morte l’occasione per farne il “Messia” o, grazie a Paolo di Tarso, addirittura il “figlio di Dio“.

E’ facile, come si può vedere, creare la santità in terra. Farne un mezzo attraverso cui elevare gli esseri umani e portarli ad un livello di intangibilità: resta la venerazione che sfocia nella preghiera, nel richiamarsi a quella figura per far trovare spazio alle proprie pene dentro una comprensione esistenziale altrimenti detonante, insostenibile perché non si arriva a capire il “senso” di ciò che ci accade.

Il potere della Chiesa e delle chiese in generale è, oggi, più che altro nel timore dell’esistenza invivibile, soprattutto economicamente, piuttosto che nel vecchio “timor di Dio“.

La religiosità è sempre meno superstiziosa perché è la stessa mater ecclesiae ad adattarla ai tempi, impedendo che venga ridicolizzata da fenomeni dal sapore troppo paranormale e troppo poco invece riconducibili ad un sincero trasporto – anche soltanto emotivo (visto che la razionalità ha davvero poco spazio in tutto questo) – nei confronti di una fede di cui, davvero, va rispettato ogni contorno.

Questo non toglie che l’infantilismo della religiosità sia oggettivo se confrontato alla complessità della ricerca scientifica, anche alle dispute tutt’oggi filosofiche e, indubbiamente, culturali e accademiche sulla necessità della presenza di una divinità nella vita umana, nella storia umana, giorno dopo giorno.

Una indagine antropologica, in questo contesto, si unisce ad una epistemologia del futuro che ci proietta verso una continua ricerca, una incessante fame di conoscenza consapevole dei propri limiti oggettivi. Limiti che, tuttavia, sono superabili progressivamente, grazie ad una commistione di scoperte disparate che si uniscono e formano quella evoluzione descrivibile nel processo dell’intera umanità.

Aspirare alla santità dei papi è, per certi versi, una infantilità dell’infantilità religiosa: è scontato, innaturale nell’essere naturalmente tale, perché, vista la condivisione mediatica di qualunque evento moderno, diviene conseguente l’autoesaltazione di qualunque “divo” che lambisce sempre più la “divinità“. Senza blasfemia alcuna. O forse sì… Dipende, come sempre, dai punti di vista.

MARCO SFERINI

7 gennaio 2023

Foto di cottonbro studio

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