Fabbriche e nevrosi

Signori, si chiude! Ed è pure troppo tardi. Ma ben venga la serrata di tutte le attività produttive non strettamente necessarie alle esigenze primarie: cibo, medicine, informazione. Pare anche...

Signori, si chiude! Ed è pure troppo tardi. Ma ben venga la serrata di tutte le attività produttive non strettamente necessarie alle esigenze primarie: cibo, medicine, informazione. Pare anche i tabacchi. Del resto, sono monopolio di Stato e rientrano in una esigenza fondata su una dipendenza.

C’è da capire chi a sofferenza aggiunge sofferenza: la quarantena è psicologicamente impattante per tantissime persone, lo è anche per chi scrive. Si va dalla depressione da gestire in qualche modo, forse con la paura che è tanto un potente anestetico di ataviche fobie pregresse e quasi ancestrali, quanto uno scatenante punto di partenza di un terrore incontrollabile per via dell’accerchiamento anche mediatico che ci avviluppa e ci fa sentire prigionieri non tanto di quattro mura ma del momento in cui siamo costretti a sopravvivere.

Il punto è questo: dalla vita siamo passati alla sopravvivenza tangibile. Spesso nei miei articoli ho citato la “sopravvivenza” come forma di vita di molti lavoratori, di tanti sfruttati moderni, considerando l’esistenza vera tutt’altra cosa rispetto alle condizioni in cui si trovano a dover svolgere le loro mansioni milioni di donne e di uomini che devono sbarcare il lunario e che sono costretti a farlo con contratti vergognosi, con lavori al limite dello schiavismo.

Oggi la sopravvivenza ha raggiunto tutto e ha fatto, proprio come il virus, un “salto di qualità“: è uscita dal mero ambito dello sfruttamento capitalistico per estendersi a tutti i cittadini, lavoratori o meno che siano. Viviamo nella sospensione, nell’incertezza permanente, davvero giorno per giorno. Arriviamo a sera pensando: “Beh… anche oggi l’ho scampata“, magari sapendo di aver comunque messo in pratica tutte le direttive sanitarie richieste per arginare il contagio, ma mai completamente sicuri, mai veramente pervasi da quella sensazione di certezza che può darci lo svolgimento di un determinato protocollo.

Anche se si seguono le norme igieniche per prevenire il contagio non è affatto detto che il “nemico invisibile“, che il virus non si insinui da qualche parte e si faccia beffe del nostro ligio comportamento. Che va tenuto, che va assolutamente rispettato.

Il governo ha deciso, dunque, la chiusura di tutte le fabbriche non necessarie al mantenimento del regime essenziale della vita di ciascuno: resteranno aperti i negozi di alimentari e i supermercati, farmacie e parafarmacie, edicole e anche i servizi postali, bancari.

Chi soffre di ludopatia si troverà a fare i conti con la chiusura del gioco del Lotto e del Superenalotto. Probabilmente anche delle slot-machine presenti nelle tabaccherie, per evitare assembramenti.

Sono tante le nevrosi, le ansie, le paure che vivevamo già prima del Coronavirus e che questa condizione di restrizione di libertà esaspera ulteriormente. Per questo, se una prima lezione dobbiamo imparare dalla quarantena e dalla paura che tutti abbiamo in questi giorni, è di non disprezzare o giudicare le ansie altrui e di smetterla di fare gli sceriffi dai balconi fotografando chi cammina per strada pensando che sia un untore, rovesciandogli un secchio d’acqua addosso come accaduto vergognosamente a Torino.

Esistono le autorità preposte per il controllo dell’applicazione delle norme emanate dal governo. Pensiamo a fare del nostro meglio per sostenerci gli uni con gli altri, senza giudicare le debolezze di ciascuno, guardando le nostre e vigilando attentamente sulla democrazia che diventa sempre più trasparenze. Per ragioni di emergenza, sì. Ma intanto lo diventa.

Non è chi va a fare un po’ di spesa o porta il cane a fare pipì il nemico che dobbiamo individuare per scaricare la tensione che proviamo e accumuliamo, per sentirci così più al sicuro. Il nemico è la sospensione della libertà singola e collettiva: finita l’emergenza dovranno essere ripristinate tutte le garanzie costituzionali, senza eccezione alcuna.

Se così non fosse, se si tardasse ad agire in merito, anche sconfitto il Coronavirus, saremmo alle prese con un problema se non peggiore quanto meno eguale: ritrovare il senso repubblicano della vita comune, un civismo che abbiamo troppe volte trascurato nel nome di una autarchia tanto economica quanto anticulturale, xenofoba e razzista che ci è servita per sopravvivere alla misera delle nostre vite tutte assorbite dalla frustrazione prodotta dal sistema del profitto e delle merci.

Bene il blocco di tutte le attività produttive (o quasi…). Tardivo, ma assolutamente necessario. La nottata deve ancora passare…

(m.s.)

Foto di Наркологическая Клиника da Pixabay

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