Almeno diecimila lavoratori agricoli migranti vivono in 150 ghetti presenti in 38 comuni e collocati in 11 regioni. Questa urbanistica del disprezzo della vita umana, e del capitalismo razzista, è composta da casolari, baracche, tende e roulotte. tollerati dallo Stato crescono in maniera programmata nelle terre di nessuno durante le stagioni del raccolto dell’ortofrutta e sono i punti di raccolta di una forza lavoro che risponde alle esigenze della divisione del lavoro stabilita dall’industria agro-alimentare implicata, direttamente e indirettamente, nel sistema di sfruttamento di persone senza tutele né cittadinanza, soggetto ideale del lavoro servile organizzato anche attraverso il sistema del caporalato.

Nel rapporto «Le condizioni abitative dei migranti che lavorano nel settore agroalimentare» pubblicato ieri dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e dall’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (Anci) la provincia con il numero maggiori di ghetti è quella di Foggia: 8 Comuni, dunque oltre il 20% del totale. In quella di Trapani ci sono 4 comuni, Reggio Calabria (3), Andria-Barletta-Trani (2), Caserta (2), Cuneo (2) e Rovigo (2). Gli insediamenti più grandi – quelli che superano il migliaio di lavoratori forzati sono Borgo Mezzanone a Manfredonia (4 mila presenze) e il Ghetto di Rignano a San Severo (2 mila presenze). 77 insediamenti risultano avere meno di 100 abitanti, 15 insediamenti hanno presenze uguali o superiori a 100 e di questi, come già evidenziato, 2 insediamenti hanno oltre 2 mila abitanti.

I ghetti sono strutturali. Sono gli snodi del sistema dello sfruttamento sul territorio. Lo dimostra il rapporto quando evidenzia come 11 insediamenti esistano da più di 20 anni, 7 da oltre 10 anni, 16 da oltre 7 anni. In alcuni casi i servizi essenziali sono del tutto assenti (32 insediamenti), cioè il 34% dei ghetti ufficialmente censiti. Molto scarsa (meno del 30% dei casi) è la presenza negli insediamenti di servizi igienici e mezzi pubblici di trasporto. Di solito i ghetti sorgono in media a 10 km dai campi.

L’integrazione sociale e lavorativa è un miraggio. Se un lavoratore si ammala, si infortuna viene assistito solo nel 13,8% dei casi. Non esiste la formazione professionale, né la rappresentanza sindacale, senza parlare della lotta al lavoro nero/caporalato. Nel 76,6% dei casi mancano del tutto anche i presidi dell’assistenza sanitaria. Nella grande maggioranza dei casi (90,4%) gli abitanti dei ghetti sono cittadini extracomunitari: Marocco, Bangladesh, Tunisia, India, Nigeria, Senegal, Costa d’Avorio, Gambia.

I rifugiati o i richiedenti asilo sono stati censiti nel 29,9% degli insediamenti mappati. Gli europei sono presenti in circa un quarto degli insediamenti e provengono prevalentemente dai paesi dell’Est Europa (Romania, Bulgaria, Polonia). La presenza di italiani è assolutamente marginale. L’83% dei 10 mila prigionieri del sistema dei ghetti è uomo, il 62% ve in condizioni di irregolarità con il permesso di soggiorno.

Il «Piano nazionale di ripresa e resilienza» (Pnrr), scrivono il ministro del lavoro Andrea Orlando e il presidente Anci Antonio De Caro, ha destinato 200 milioni di euro per «superare gli insediamenti abusivi». I comuni, si legge nel rapporto, avrebbero a disposizione mille unità abitative per ospitare le diecimila persone ufficialmente censite. I posti a disposizione sarebbero 6 mila. Colpisce la percentuale dei comuni che hanno risposto alla richiesta di ospitare i forzati dei ghetti: sono 54, ovvero il 9% dei 608 comuni dove è stata registrata la presenza dei lavoratori agricoli stranieri.

Continua a mancare una politica nazionale capace di riconoscere il diritto all’abitazione dignitosa, insieme a quello al reddito, a un contratto, la tutela integrale della persona sul lavoro e nella società. L’implicita volontà di non intervenire in maniera organica, sistematica e senza sconti per nessuno equivale alla connivenza con il sistema che sospende migliaia di vite, le riduce in servitù, le bandisce dalla cittadinanza e le trasforma in esistenze senza tetto, né legge.

ROBERTO CICCARELLI

da il manifesto.it

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