L’inflazione che sale e la finzione fiscale egualitaria del governo

Carlo Cottarelli fa notare che, per mettere un freno all’inflazione galoppante, servono anche degli interventi di calmierizzazione dei prezzi, come ad esempio quelli disposti per gas, luce e carburanti,...

Carlo Cottarelli fa notare che, per mettere un freno all’inflazione galoppante, servono anche degli interventi di calmierizzazione dei prezzi, come ad esempio quelli disposti per gas, luce e carburanti, ma più di tutto sono necessarie misure che non livellino quelle differenze strutturali che intercorrono tra il potere di acquisto di un salario medio e quello di una rendita da profitto.

Non tutti i redditi sono uguali, perché i percettori sono diversi a seconda dei ruoli che svolgono nella società: imprenditore e operaio, evidenti manifestazioni della lotta di classe tutt’ora in corso, nonostante ne siano pienamente consapevoli quasi esclusivamente i padroni confindustriali e affini, spendono in modo diverso perché il loro portafoglio si riempie in modo molto diverso l’uno dall’altro.

Sono evidenze che devono essere messe sotto la lente di ingrandimento, soprattutto oggi, in un tempo in cui la teoria della fine delle ideologie ha insistito con il voler affermare l’assunto per cui il villaggio globale conosce delle ingiustizie che deriverebbero quasi esclusivamente dagli effetti della concorrenza, dai rapporti economici tra i grandi poli del capitalismo liberista con quelli che vi si differenziano solo nominalmente e che, nonostante si proclamino “economia statali” o “pubbliche“, finiscono con l’essere, tutt’al più, delle fotocopie attualizzate di una statalizzazione mista al privatismo.

Era dal 1986 che il costo della vita non aumentava così tanto: quasi l’8% in meno di un anno. Il raffronto col passato, oltretutto, è altrettanto impietoso se si considera che, poco tempo dopo quella corsa ai prezzi che si fece irruente nei primi anni ’80, ai tempi del governo Amato (ci troviamo temporalmente nel 1992, in piena Tangentopoli e nella fase di transizione dal vecchio regime pentapartitico a quello prossimo berlusconiano), si scelse non di aumentare le aliquote dell’IVA ma di puntare su una operazione più ardita: il “prelievo forzoso“.

Siccome occorrevano una “manciata” di miliardi per corroborare la cifra dei 30 che servivano per la manovra correttiva di bilancio, l’attuale Presidente della Corte Costituzionale decise che l’unica cosa da fare era mettere una tassa “patrimoniale” del 6 per 1000 sui conti correnti bancari.

Si trattava di uno 0,6% che fece inorridire – ed anche piuttosto giustamente – soprattutto chi deteneva in banca cifre modeste e che, per l’appunto, da questo balzello di “sostegno nazionale” aveva molto di più da perdere rispetto ad un grande industriale o anche ad un medio borghese.

L’aumento attuale dell’inflazione, in termini squisitamente ed esclusivamente monetari, somiglia molto a quel prelievo forzoso ma, curiosamente, non innesca una ondata di indignazione popolare come quella che allora investì l’intero Paese. In economia questo fenomeno viene definito “illusione monetaria” ed è – sempre secondo Cottarelli – ciò che sta avvenendo in questo momento in Italia.

Il costo delle merci, in realtà, ci fa mettere mano al portafoglio molto di più di un prelievo bancario in stile Amato, ma la percezione che ne abbiamo è, se non proprio opposta, quanto molto meno impattante su noi perché è indiretta. Proprio come la tassazione dell’IVA: una imposta che riguarda tutti allo stesso modo e che, per questo, appare spalmata su un piano egualitario che viene trasmesso alla popolazione come un trattamento tale e quale.

La giustizia fiscale vera, quella altamente progressiva, al contrario verrebbe dipinta dai sostenitori del libero mercato come penalizzante proprio coloro che devono essere ritenuti i principali produttori della ricchezza dell’Italia: gli imprenditori.

Quelli che, sistemicamente, sfruttano il lavoro altrui per arricchirsi, sono i salvatori della Patria, mentre i lavoratori che sono la vera forza e il vero sostegno del Paese, al pari delle narrazioni di fine ‘800 e di inizio ‘900, sono ridotti allo status di indigenti parassiti, di coloro che, se pretendono sindacalmente un aumento dei salari, rischiano di far andare in corto circuito la dinamica dei costi di produzione, la stabilità dell’economia a partire da un aumento indiscriminato dei prezzi.

Non ci sarebbe da stupirsi di nulla, visto che, da che esiste il capitalismo moderno, il canovaccio narrativo su cui si tengono l’antietica e tutte le pretestuosità e gli alibi con cui il sistema tenta di accreditarsi alle grandi masse per mantenere la “pace sociale“, sono più o meno sempre quelli appena descritti: definire “datore di lavoro” colui che invece il lavoro se lo prende e lo utilizza come meglio crede, dietro il pagamento di un salario che è altamente inferiore al valore prodotto dall’operaio, è il primo degli artificiosi inganni dialettici con cui si fa apparire vero ciò che invece è l’esatto contrario.

In tempi di più crisi coincidenti, come quello in cui viviamo proprio ora, sono, prima ancora che i grandi finanzieri e capitalisti, proprio i governi ad avere bisogno di un racconto alternativo alla realtà dei fatti, perché altrimenti l’accettazione di misure sempre più straordinarie in un contesto di povertà incalzante non potrebbe essere accettato passivamente da lavoratori, precari e pensionati.

L’emergenza della guerra serve, così, a sostenere tutta una serie di prelievi forzosi che entrano nelle casse dell’erario senza colpo ferire: il primo gettito ad aumentare esponenzialmente, quando i prezzi salgono senza accennare a fermarsi, è proprio quello dell’IVA che, tuttavia, è anche la prima voce di entrate che viene svuotata da capitoli di spesa che, come un cane che tenta di mordersi la coda in preda ad un alto tasso di stress, finiscono col finanziare una povertà che non è mai uguale per tutti i poveri.

E proprio questo viene rimproverato da un economista liberale come Cottarelli al governo Draghi: la calmierizzazione dei prezzi di luce, gas e carburanti era necessaria; adesso però servono interventi che tengano conto della progressività, che colpiscano quindi maggiormente chi ha di più e lascino in pace coloro che hanno, per quanto posseggono, già dato fin troppo allo Stato in termini di tasse e di finanziamento dello sforzo anticrisi.

Non si tratta di una proposta formulata da pericolosi marxisti, da ostinati comunisti del nuovo millennio: si tratta di una osservazione che è quasi un appello. Fare in modo che a pagare i costi della crisi siano, ad esempio, gli “extra-profitti” delle grandi imprese. Agganciando al liberalissimo pensiero economico cottarelliano quello più di sinistra sindacale di Landini, non si arriva all’auspicio della patrimoniale, ma ci si avvicina almeno ad un briciolo di giustizia distributiva, di fiscalità tendenzialmente progressiva.

La richiesta della CGIL è infatti questa, nell’immediato: tassare quelle eccedenze di profitto sul profitto stesso. Ma è probabile che al governo Draghi, che pure al suo interno ha ministri, sottosegretari e forze politiche che hanno la pretesa, l’ardire e la sfacciataggine (in diversi casi) di definirsi “di sinistra“, una fiscalità emergenziale progressiva sembri non in linea con i dettami della BCE (che guarda ai comportamenti della Federal Reserve).

La Banca Centrale Europea sta andando a tentoni, scegliendo di puntare sul contenimento dell’inflazione piuttosto che sulla diminuzione dei tassi di interesse sui propri titoli.

Questo significa voler far pagare inegualmente la crisi economico-pandemico-bellica con un ricorso ad una eguaglianza fiscale bugiarda, evitando di correre il rischio – tutto imprenditoriale e finanziario – di una recessione, alla stragrande maggioranza dei salariati, ai venti milioni di pensionati che sopravvivono in Italia e a tutto quel vasto mondo dell’incertezza occupazionale creato in decenni di decostruzione dei diritti fondamentali del lavoratore, di annientamento dei contratti collettivi nazionali e di privatizzazioni fagocitratrici di ogni settore pubblico.

Tra aumento del costo della vita per tutti, orizzontalmente ineguale, e diversificazione delle imposte e dei prelievi fiscali (anche una tantum, senza evocare il grande spettro della patrimoniale per i padroni di ogni risma), il governo Draghi, da buon esecutivo liberisticamente europeista (o viceversa), si uniformerà convintamente e piacevolmente alle direttive di Bruxelles, stabilendo il primato dell’economia sulla politica e operando scelte da comitato di affari del mondo dell’impresa piuttosto che agire nell’interesse complessivo del Paese.

L’interesse nazionale – si dirà – non deve essere egoisticamente distinto dalla sofferenza comune del Vecchio continente. Ed ancora una vola si userà l’arma pelosa della persuasione malevola dell’infingimento per mostrare ai milioni di poveri italiani che i sacrifici vanno ripartiti tra tutti.

E pazienza se tu viaggi in Panda e quello accanto a te in Ferrari. Se reclami un po’ di giustizia fiscale, ti risponderanno che la tua, caro povero, è solo invidia sociale

MARCO SFERINI

2 luglio 2022

Foto di Markus Spiske

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