Le piazze dei no-vax: piene di odio, dogmi e violenza

Ieri scrivevo che il diritto di manifestare è molto di più quel che meramente può apparire. Non si tratta soltanto di camminare insieme, ma di farlo – come sostenevano...

Ieri scrivevo che il diritto di manifestare è molto di più quel che meramente può apparire. Non si tratta soltanto di camminare insieme, ma di farlo – come sostenevano gli zapatisti – domandandosi il perché e domandandosi dove si vuole arrivare. Un movimento non può mai essere fine a sé stesso, altrimenti è edonismo, forse pseudo-politico, molto poco sociale indubbiamente e, per questo, non raggiunge alcuno scopo, non dà concretezza ad alcuna lotta.

Scendere in piazza ha un senso e dà pienezza alla libertà di espressione e di protesta se dietro a tutto c’è una chiarezza di intenti: non dico un programma politico, ma almeno una organizzazione minima (e non per questo minimale), una auto-organizzazione, se si vuole carezzare un po’ il libertarismo che dovrebbe interessare moti spontanei di opposizione a misure governative. Di qualunque tipo, non necessariamente il tanto inflazionato certificato verde vaccinale.

Ieri scrivevo che manifestare è molto di più di un diritto democratico, che è una esigenza naturale dell’essere umano che ha bisogno di evolvere e di ricercare la migliore collocazione propria dentro la comunità, agitandosi anche, muovendosi liberamente, divincolandosi da divieti e proibizioni ma sempre nel rispetto reciproco e, soprattutto, nella consapevolezza che una vera espressione della libertà di pensiero si riconosce nel rifuggire ogni tentazione dogmatica.

Per questo la politica è importante, perché, se fatta con passione, con quella voglia intellettiva di acquisire sempre nuove informazioni e conoscere per disarticolare meglio la realtà che ci circonda, e con quella tensione emotiva che è il contrario dell’accondiscendenza, dell’acquiescenza e dell’abbraccio mortale con l’insipienza della verità assoluta, se fatta così è già movimento, è già dialettica e dinamica irrefrenabile. E’ critica sagace, è unità delle differenze e valorizzazione di tutte quelle particolarità che arricchiscono la partecipazione, la compenetrazione dei singoli nel diventare moltitudine.

La nascita prima della politica è proprio nella libera associazione dei pensieri, nel confronto tra simili che cercano l’uguaglianza in ogni piano di sviluppo di una quotidianità che, oggi più che mai, è veramente complessità e, sovente, complicazione.

Ieri scrivevo che manifestare è quindi la genesi della libertà; una libertà che si rinnova continuamente. Lo facevo con la mente già proiettata alle manifestazioni dei no-vax che vi sarebbero state nel pomeriggio a Trieste, a Milano, a Roma e in altre città del nostro Paese. Lo facevo senza illudermi troppo, aspettandomi dei cortei magari non più degeneranti nell’aggressione squadrista a sedi sindacali, di partito o associazioni, ma comunque molto poco libertari, democratici e rispettosi delle idee altrui e del diritto di informazione.

Piazze e cortei che reclamano, come fa la minoranza no-vax, la libertà assoluta, la democrazia nella sua pienezza e il rispetto della Costituzione senza se e senza ma (tutte rivendicazioni che mi vedono pienamente convinto delle loro buone ragioni), dovrebbero sapere che il mestiere del giornalista è quello di fare domande scomode, impertinenti, irriverenti e che non vorremmo sentirci fare mai. Perché sta proprio lì il bello della libertà di stampa e di informazione: solleticare il detto e non detto dell’intervistato, le reticenze plausibili di vuole divincolarsi da qualche verità scomoda, di chi vuole sfuggire alle contraddizioni del proprio pensiero che, magari, non aderisce sempre alla realtà dei fatti.

A nessuno piace sentirsi titillare in questo modo, ma è proprio così che si mettono a confronto le idee e si scoperchiano spesso quelle ambiguità che, altrimenti, rimarrebbero tali. I no-vax, nel respingere, spintonare, far cadere e tirare testate ai giornalisti di Fanpage o di Telenuovo, negano quella democrazia che dicono a parole di voler difendere e per la quale sono in piazza. Questa non è solo intolleranza: è una fascistizzazione della cultura e del pensiero. A senso unico.

Se il giornalista non si piega al “mainstream” dei no-vax, automaticamente diviene il migliore alleato delle Big Pharma, delle grandi centrali del potere che vogliono piegare l’umanità al loro volere mediante l’inoculamento dei vaccini che conterrebbero – ormai conosciamo la narrazione fantastica ripetuta sui social e nelle piazze – cellule di feti abortiti (ma spontaneamente!), pezzi di babbuini, forse conigli, certamente microchip o altre nano-tecnologie per surriscaldarci i corpi e farci morire di (crepa)cuore nel momento in cui il signore oscuro del Deep State lo deciderà.

Un milione, forse qualche cosa in più, di italiani la pensa così. O meglio, la depensa così e trascina in questo labirinto antineuronale e sclerotizzante altri milioni di persone che sono invece solamente dubbiose circa l’utilità dei vaccini. Fatto sta che, ad oggi, sono ancora sette i milioni di nostri concittadini che non si sono vaccinati e, consapevolmente o meno, rappresentano il miglior viatico di passaggio per il virus nella sua forma più violenta e devastante.

Violenza, appunto. Quella del virus la si potrebbe arginare abbastanza facilmente. Quella dei no-vax è irrecuperabile, proprio come il loro fideismo che è ormai stratificato e strutturalizzato: un insieme di fantasie di complotto che negano la scientificità dei dati, l’evidenza dell’effetto dei vaccini sulla scena italiana, dove la quarta ondata del Covid-19 riguarderà prevalentemente proprio coloro che non hanno voluto proteggersi dal contagio volontariamente, come atto di sfida a quel potere che, da grandi rivoluzionari quali pensano di essere, sono pronti a fronteggiare anche a suon di revisionismi storici, di improbabili paragoni con il terrore nazista, mentre sfilano accanto a striscioni dove l’acronimo dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) è disegnato con le due esse runiche, simbolo della guardia personale e delle milizie di Himmler.

Tutto questo è violenza. Violenza verbale, scritta, fisica, immorale, anticulturale e antistorica. E’ capovolgimento dei fatti: del passato e del presente, per proiettare le menti in un futuro apocalittico dove si fa credere che il “sistema” (mai e poi mai chiamato col suo vero nome: capitalismo) sarà capace di controllare la volontà delle persone meglio di come fa ora. Per sostenere queste scempiaggini, c’è bisogno di andare ben oltre la semplice dimostrazione della prigione consumistica in cui sopravviviamo, della precarietà esasperata del lavoro, dello sfruttamento antieconomico delle risorse primarie del pianeta. Troppo difficile da comprendere, perché meriterebbe analisi compiute, particolareggiate e spiegazioni che la furia di questi no-vax non può permettersi (nel senso che non le capirebbero proprio…).

Molto più semplice farsi dirigere da semplificazioni disarmanti, da verità assolute, da fantasie di complotto che sono facili da gestire nel passaggio da persona a persona: la disperazione sociale non è l’unico grimaldello con cui si fanno saltare i neuroni di queste centinaia di migliaia di cittadini. Non siamo davanti a masse di sottoproletari cenciosi, ignoranti e cafoni: ci sono tanti soggetti problematici, non certo dei fini cultori del pensiero critico, ma per le vie di Trieste e di Roma, di Milano e di Padova marciano tanti giovani e tante famiglie con figli al seguito.

Alcuni esibiscono cartelli un po’ strampalati, ma protestano pacificamente. E poi c’è una parte di questo movimento che si compone e si scompone ogni settimana, s’annichilisce e rinasce come l’Araba Fenice, che è palesemente provocatorio, probabilmente frequentatore di qualche penitenziario per piccoli reati, tra i quali appartenere ad organizzazioni neofasciste, a frange violente dell’estrema destra, con precedenti per rissa, per aggressioni a cittadini comuni o a pubblici ufficiali. Questi sono quasi sempre alla testa dei cortei e non vengono mai, mai, mai isolati.

Anzi, la gente si lascia dirigere nei percorsi improvvisati – come a Milano proprio ieri – da questi energumeni, ne ascolta i rauchi gracchi da megafoni con sopra qualche croce celtica senza che si levi una protesta, senza che quelle migliaia di persone in corteo si indignino e caccino i fascisti mascherati da cittadini che protesta e che ritmano: “Resistenza! Resistenza!“.

Ieri scrivevo che la libertà di manifestazione, unitamente al diritto costituzionale che la sostiene, è tale se viene apprezzata anche da chi non condivide per niente i motivi che portano una parte della cittadinanza a protestare, a farsi rumorosamente sentire. Mi piacerebbe molto poter scrivere, poter dire che sono contento di aver visto in tutte queste settimane sfilare anche i no-vax per le vie e le piazze delle nostre città, ma non è così. Perché più che delle manifestazioni, ho assistito a cortei di odio, di disprezzo, di violenza verbale e materiale, fisica. Ad attacchi pregiudiziali verso le istituzioni, verso chi non la pensa allo stesso modo e ad una sfilza di preconcetti fondati davvero sul niente.

Non si possono, per questo, paragonare le manifestazioni sindacali con quelle dei no-vax: i lavoratori e i cittadini che scendono in piazza con la CGIL, con l’ANPI, l’ARCI, con una serie di presìdi democratici e sociali del Paese, non sono offensivi (in tutti i sensi) ma difensivi: vogliono proteggere quella libertà che viene negata sul nascere quando, con grande semplicismo, si trasmettono solo messaggi di odio, di disprezzo e anatemi unidirezionali.

No, le piazze dei no-vax non sono piazze di libertà, di pensiero critico. Lì non si cammina “domandando“, ma si cammina soltanto insultando e facendo strame della cultura popolare. Per questo, ancora una volta, piena solidarietà a tutti i giornalisti che vanno in queste manifestazioni e, come si è visto, rischiano davvero la loro incolumità.

MARCO SFERINI

7 novembre 2021

foto: screenshot

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