Spritz e cena fuori. Quelle finte libertà dell’economia

Le impressioni sono spesso fallaci perché non si basano sull’esperienza, su un empirismo delle emozioni, ma sulla trascendenza di fenomeni intuitivi difficilmente spiegabili se non con balbettamenti di frasi...

Le impressioni sono spesso fallaci perché non si basano sull’esperienza, su un empirismo delle emozioni, ma sulla trascendenza di fenomeni intuitivi difficilmente spiegabili se non con balbettamenti di frasi che vorrebbero poter dire molto di più a riguardo. Però, fisica o metafisica che sia, materialità o immaterialità totalizzante dei pensieri, se si scorrono le cronache di questi giorni, si avverte  come l’impressione (per l’appunto) che i dati numerici dell’evolversi della pandemia in Italia si siano piegati alla necessità di dimostrare che le riaperture sono concretizzabili e che il “rischio ragionato” di Draghi ha un che di scientificamente provabile.

Non si tratta di fare i complottisti. Tutt’altro. Si tratta invece di interpretare anche una esplicita propensione dei mezzi di informazione a mettere al centro della grande svolta epocale del Covid-19 prima di tutto il dramma dei commercianti, la tragedia dell’aperitivo mancato, del non poter pranzare come domeniddio comanda e invece affidarsi al panino in ufficio. Grandissima sciagura, non c’è che dire! Eh sì, perché a leggerle le cronache di questi giorni, sembra proprio che la vita moderna valga la pena di essere vissuta se si può bere lo spritz con gli amici, assembrarsi senza mascherine intorno ai tavoli dei bar sui navigli milanesi, sui lungomare di grandi città del Bel Paese, nei centri storici per bere e stuzzicarsi con gli stuzzichini.

I commercianti, i ristoratori e i baristi si lamentano nonostante le cosiddette “riaperture” da zona gialla: come si fa a servire la gente fuori dai locali, in dehors improvvisati con un aprile ancora freddo, dove il vento fa volare posate, tovagliette e bicchieri di plastica? Tanto vale fare ancora asporto e servire a tavola solo il pranzo. Il dramma italiano sembra tutto condensato in questi dibattiti da Rete 4, dove si urla, si mettono in gabbia gli esercenti per mostrarli come viva metafora plastica di quella che pare essere il dramma economico attorno al quale ruotano poi tutti gli altri.

Saranno drammi pure quelli di chi è partita IVA e non vede un lavoro da un anno e mezzo, ma solo microbici rimborsi statali sempre troppo sottostimati rispetto alle potenzialità fortemente limitate del lavoro autonomo? Saranno drammi pure quelli dei lavoratori dipendenti, dei salariati, che per ora sopravvivono grazie al blocco dei licenziamenti ma che, una volta abbandonata questa scialuppa di salvataggio, non sanno che fine faranno nel mare aperto delle incertezze autunnali? Saranno drammi quelli dei medici e degli infermieri che vedono morire soffocati i malati di Covid in terapia intensiva, coscienti di essere prossimi alla fine per la sempre meno aria cui possono aggrapparsi per alimentare una speranza di vita…?

Saranno drammi quelli dei lavoratori dei supermercati che aspettano ancora il vaccino, che sono costretti ad un contatto con migliaia di persone ogni giorno e che vengono visti come robot che passano la nostra spesa sui rulli delle casse e niente di più? Saranno drammi, sì, come tanti altri drammi, ma i giornali e le televisioni nel 90% dei casi danno voce all’impresa media della ristorazione, al dramma delle discoteche e dei bagni marini, lasciando tutto il resto indietro, concentrandolo in un 10% di informazione che non contribuisce a formare una coscienza sociale e civile dell’oggi, all’epoca del coronavirus.

I messaggi che vengono trasmessi, direttamente o meno, sono quelli della limitazione degli spazi di libertà rappresentati quasi esclusivamente da bisogni fittizi: l’aperitivo, la cena al ristorante… Se ne può fare a meno, continuando – se si può e si vuole – a sostenere anche questi comparti economici duramente colpiti dal lungo biennio pandemico acquistando il cibo da asporto e improvvisandosi baristi a casa propria, facendosi uno spritz tra le mura domestiche.

Ma la rabbiosa protesta di una parte del settore commerciale e della ristorazione, che rischiava di allargarsi a macchia d’olio nell’intero Paese, ha indotto il governo a scegliere quel “rischio” di cui ora deve assumersi tutta la responsabilità. Altro non è se non una chiara scelta politica che elude le criticità espresse da buona parte del mondo scientifico, della medicina impegnata nello studio del virus e nella sua propagazione che segue dinamiche e tempistiche cui ormai siamo abituati: il famoso “effetto a fisarmonica“, il riaprire, allentare le maglie, diminuire le cosiddette “restrizioni” per poi dover tornare a chiudere non appena, trascorso un mese circa, i contagi aumentano inevitabilmente.

Dunque, una parte di responsabilità, nella costruzione del senso comune sulla percezione del pericolo dettato dal Covid-19, la hanno i mezzi di comunicazione di massa che infiorettano le disposizioni del governo con aggettivazioni edulcoranti la gravità del momento, di una primavera in cui le vaccinazioni sono ancora troppo scarse (soprattutto nelle fasce di popolazione più a rischio) e i contagi diminuiscono solamente per effetto delle chiusure che ci lasciamo alle spalle, mentre i morti continuano ad essere quasi 400 al giorno.

Gli antichi sostenevano che prima bisogna vivere (o sopravvivere, a seconda dei casi…) e poi si deve filosofeggiare: ma in questo frangente di parole ne sono state dette tante, forse anche troppe e davvero non si spiega, se non con l’adesione (diciamo così…) ideologica alle tesi liberiste del primato totale dell’economia rispetto a quello degli interessi sociali e del benessere comune di ogni singola persona, di ogni cittadino, la smania delle riaperture che non sono una conquista della Lega – come Salvini vorrebbe far credere – ma sono invece piena convinzione dell’esecutivo.

E’ indubbio che le frenesie sovraniste, tanto di maggioranza quanto di opposizione, non abbiano giocato in favore di una linea più prudenziale nella gestione pandemica dell’oggi e delle prossime settimane: ma il governo condivide le pulsioni confindustriali, ne sposa tutte le richieste che mirano a restaurare il punto di vista del mercato come unico ago di una bussola che ha il nord nella direzione del recupero delle perdite padronali e nella subordinazione di tutto il resto all’efficienza imprenditoriale come (falso) asse portante del benessere della nazione.

Mario Draghi non è in balia di Salvini, tanto meno di Renzi o Berlusconi. E nemmeno lo spaventano troppo le timide incursioni della Meloni che, tutto sommato, senza aver letto o capito nulla (ipse dixit) delle trecento pagine del Recovery Plan, non attacca frontalmente il superbanchiere europeo, ma si limita a criticarne più del merito il metodo con cui è giunto alla riformulazione del piano di spartizione delle risorse europee. Non si può, del resto, bocciare una specie di moderno “piano Marshall“, un novello modello di “New deal” roosveltiano, rischiando di appannare l’immagine di paladina del primato italiano costruito in questi anni anche a discapito della Lega.

Le tante tensioni create dalla potenza numerica del Recovery Plan non vengono troppo scalfite nemmeno dalla polemica sul cosiddetto “coprifuoco“: spostarlo dalle dieci alle undici di sera? Mandare in crisi il governo insieme a Forza Italia e Italia Viva (che bel trio, vero?) su un pretesto così evidente per avere una fettina di elettorato ancora in più? Un’ora val bene la presenza nell’esecutivo? Certo che no. Soprattutto se lo confermano persino i virologi che, con quell’obiettività che manca alla politica italiana, scorgono i problemi della quarta probabilissima ondata pandemica in tutt’altri provvedimenti improvvidi e non certo nell’ora serale in più o in meno per la cena.

Il governo pertanto si assume un rischio che è calcolato: sanno che la curva dei contagi tornerà a salire, a meno di non vaccinare davvero mezzo milione di italiani ogni giorno. Una utopia al momento. E qualcuno un giorno dirà al Paese che la responsabilità di altre migliaia di morti è propria, piuttosto che addossarla ad altri o al destino cinico e baro? Perché qui di cinico c’è solo il carattere liberista dell’esecutivo e di baro c’è il mercato che detta tutte, ma proprio tutte le regole…

MARCO SFERINI

28 aprile 2021

foto: screenshot

categorie
Marco Sferini

altri articoli