Nell’anno primo della trasformazione pandemica

Il 21 febbraio diventa da quest’anno una nuova ricorrenza: è l’inizio formale della pandemia da Covid-19 in Italia. Formale, perché quando realmente il virus abbia iniziato a circolare nel...

Il 21 febbraio diventa da quest’anno una nuova ricorrenza: è l’inizio formale della pandemia da Covid-19 in Italia. Formale, perché quando realmente il virus abbia iniziato a circolare nel nostro Paese, nemmeno gli scienziati sanno stabilirlo con precisione. E’ probabile che già nel novembre del 2019 il coronavirus fosse tra noi che, ignari di tutto, andavamo tranquillamente al cinema a vedere l’ultimo episodio della saga di Star Wars, con sale ricolme di prenotazioni, piene di popcorn e bibite dimenticate ai lati delle poltrone dopo lo scorrere dei titoli di coda, pieni dell’emozione di aver finalmente visto come andava a finire l’epopea degli Skywalker.

Era ancora il tempo della scuola in presenza, degli aperitivi del fine settimana, della movida e di quella “vita normale” che normale non era mai stata, debordante di ingiustizie, contraddizioni di ogni tipo, ma sopportabile (purtroppo) attraverso l’incoscienza delle differenze di classe, dello sfruttamento esponenziale in contratti sempre meno tali e sempre più formalità di acquisizione di lavoro precario, sottopagato e privo di qualunque tutela sindacale.

Era il tempo del mondo bello e terribile, quello della crescita dei sovranismi in metà del pianeta, quello in cui molti vorrebbero tornare, dopo la pandemia, come rappresentazione ideale di una esistenza in cui non ci si affanna troppo a cercare nuovi diritti ma ci si accontenta delle briciole e si tira a campare. Perché il virus, che ha scosso l’economia mondiale, e l’ha sconquassata al punto da imporre alle grandi centrali del capitalismo (FMI, Banca Mondiale, BCE, eccetera…) un ricorso ad ingentissime risorse per affrontare la crisi sociale che ne sarebbe derivata, non ha modificato le intenzioni pronte a sostituire le costrizioni emergenziali, quelle che oggi fanno apparire buoni, dediti alla sofferenza dei più diseredati e poveri i capi di Stato e i grandi banchieri internazionali.

Non è affatto vero che il nostro modo di vivere sarà migliore non appena avremo superato il biennio (e si spera non triennio…) pandemico. Il volto disumano del capitalismo emerge laddove si concentrano grandi interessi e possibilità di aprire nuovi spazi di mercato: è naturale che sia così, perché è esattamente nella “natura” del sistema del profitto, delle merci e della proprietà privata dei mezzi di produzione agire secondo le leggi che lo regolano e gli permettono di perpetuarsi.

Lo stupore non dovrebbe essere la prima reazione a tutto ciò. Ma è comprensibile che, quando si assiste alla gara nella produzione, assegnazione e diffusione dei vaccini da Stato a Stato, da continente a continente, ogni bel discorso sull’investimento nella sanità pubblica tanto italiana quanto europea diviene l’ennesima simbiosi tra formalità istituzionali da assolvere e retorica necessaria per convincerci che, tutto sommato, in mezzo al marcio, forse in Danimarca c’è anche qualche rimasuglio di buono…

Ognuno di noi potrebbe scrivere il proprio “diario della pandemia“: molti racconti si somiglierebbero, perché l’estrema democraticità del virus ha fatto in modo di non tralasciare davvero nessuno nel colpire, diffondendosi così rapidamente e inaspettatamente da impedire anche allo Stato col miglior piano pandemico di dirsi preparato ad una tale evenienza. Abbiamo tutti perso qualcosa, qualcuno; siamo stati privati delle nostre microscopiche, ma necessarie, libertà: di movimento, di interazione sociale, di scambio di idee, di liti, contrasti. Non è realistico dire che abbiamo imparato a convivere col virus: non ci si abitua per niente.

Anzi, la frustrazione aumenta proprio con l’avanzare del tempo, perché le informazioni sono tante, troppe e ci martellano i crani ogni giorno, dalle televisioni, da Internet. Pensavamo che la pubblicità fosse il peggio nella comunicazione unidirezionale, ma ci eravamo sbagliati: un dentifricio, se vuoi, lo compri o lo lasci sullo scaffale del supermercato. Ma non puoi non ascoltare il parere dei virologi, l’interpretazione del mondo politico, da Palazzo Chigi all’opposizione; così come non puoi sfuggire ai telegiornali: ed anche se decidi di guardane uno solo al giorno, è già una overdose di contraddittorietà che ti si affollano in testa e da cui non sfuggi.

Se a ciò aggiungiamo il variopinto e istrionico mondo dei no-vax, no-mask e del negazionismo in generale, ce n’è per scrivere un saggio sulla propria vita al tempo del coronavirus e non soltanto un diario quotidiano, come se si tornasse un po’ studenti ai tempi della “Smemoranda“…

E’ generoso, da parte di grandi direttori di altrettanto grandi giornali nazionali, scrivere che le cose stanno cambiando in mezzo mondo e che, ad esempio, Trump è sparito dalla circolazione e gioca a golf, vedendo nel cambio dell’amministrazione americana, e nei passi indietro fatti dai sovranisti dall’Asia all’Europa, dalle Americhe persino all’Africa, una nuova stagione della politica che nasce e si sviluppa nel secondo anno della pandemia. Ma l’illusione ciò rappresenti una nuova vita per miliardi di persone è pericolosa, perché tendenziosa, volta a far intendere che l’economia globale può cambiare se cambia un presidente; oppure se ad un governo Conte se ne sostituisce uno dal nome Draghi.

Certo che tutto muta e che vi è un peggio rispetto al meno peggio: ma dipende dalle latitudini dei punti di vista. Se negli USA è indubbiamente meglio la presenza di Biden alla Casa Bianca, in Italia non è certamente migliore l’avvento del governo dell’ex presidente della BCE. Si stabilizzano le connessioni internazionali tra i nuovi governi che nascono anche dalla crisi economica causata dall’emergenza sanitaria, ma la stragrande maggioranza della povera gente, dei lavoratori e dei precari, non percepirà cambiamenti rilevanti. E quando li percepirà, almeno in Italia, saranno peggiorativi sul lungo tempo, perché gli imprenditori reclameranno sempre più margini di recupero delle manovre a protezione dei loro interessi, e questo potranno farlo esclusivamente a nocumento della controparte sociale: quella rappresentata dai loro dipendenti, dai salariati.

Il mondo non è e non sarà migliore. Potremo anche sconfiggere la pandemia, avere la dimostrazione di tutta l’efficienza possibile del draghismo nella politica italiana e nelle sue ripercussioni (anti)sociali, ad esempio nella campagna di vaccinazione che traballa come un ubriaco appena uscito da una taverna, ma la qualità della vita di chi non ha le redini proprietarie dell’economia resterà, nel migliore dei casi, uguale a prima e, nel peggiore dei casi, amplierà l’indigenza e la povertà strutturale già così pesante sul bilancio sociale italiano.

Gli effetti della globalizzazione del virus si sentiranno con un’eco temporale spalmato su generazioni. Non sappiamo quali mutamenti creerà. Ma a volte dai piccoli esempi si possono trarre anche intuizioni sulle trasformazioni future. Un conduttore di una nota trasmissione televisiva, intervistato su come il Covid-19 abbia modificato la produzione dei programmi fin dentro le più meticolose particolarità gestionali ed anche economiche, ha confessato che, quando saremo usciti dall’emergenza, non sarà necessario tornare ad invitare in studio gli ospiti. Per lo meno quelli più lontani dal luogo di produzione televisiva: i collegamenti via web sono più semplici e, soprattutto, non necessitano dell’invio di una squadra di tecnici per poterli organizzare.

Se ne deduce che si sta già pensando ad una rimodulazione dei costi e, pertanto, del personale impiegato nel comparto radio-televisivo. Deduzione su deduzione, si può francamente ipotizzare che il “risparmio” sarà al centro della ristrutturazione economica globale e che includerà tutti i settori produttivi. Se non si troveranno nuovi campi di impiego del lavoro, la crisi pandemica porterà con sé molto di più di un riflusso disoccupazionale: darà vita ad una vera e propria rivoluzione che utilizzerà la tecnologia per ridimensionare ulteriormente la forza-lavoro e costringerà a migrazioni inattese, a spostamenti oggi inimmaginabili.

Nessuna forza politica può dirsi pronta a programmare la propria azione su così vasta scala, soprattutto se si considera che ancora oggi siamo nel pieno della pandemia. Ma sarebbe utile iniziare ad analizzare gli effetti di questo primo anno dell’era del Covid-19, indagando a fondo sui “movimenti“, non solo di capitali, ma anche umani che si sono prodotti.

Di una cosa possiamo, però, essere certi: siccome le disuguaglianze non scompariranno, non è consentito a nessuno di noi di mostrarci sicuri della bontà antietica e antisociale, ipocrita e ingenerosa del sistema capitalistico. Per questo va costruita, in Italia, l’opposizione sociale e politica al governo Draghi. Come il comunismo, anche questa è una cosa semplice che è difficile fare. Ma non ci resta altro da fare. Facciamola.

MARCO SFERINI

21 febbraio 2021

Foto di pisauikan da Pixabay

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